Dalla dea Latona all'attuale primato gossiparo
Il lago di Como fa della sua anatomia il terreno ideale per ogni desiderio
Tuoni e fulmini, ma altrove. Su per la Valtellina e anche di là, oltre il dorso del drago montagna che mi sta di fronte, in Svizzera. Ci piove tutto intorno, insomma, quando invece di un po' d'acqua ne avremmo bisogno anche noi. Sarà perché siamo speciali e così, stando all'asciutto, ne paghiamo il prezzo? E' il dazio per il destino che ci ha messo a vivere e moltiplicarci lungo i confini di questo lago cui non manca alcun attributo per definirsi umano?
di Andrea Vitali
Tuoni e fulmini, ma altrove. Su per la Valtellina e anche di là, oltre il dorso del drago montagna che mi sta di fronte, in Svizzera. Ci piove tutto intorno, insomma, quando invece di un po' d'acqua ne avremmo bisogno anche noi. Sarà perché siamo speciali e così, stando all'asciutto, ne paghiamo il prezzo? E' il dazio per il destino che ci ha messo a vivere e moltiplicarci lungo i confini di questo lago cui non manca alcun attributo per definirsi umano?
Cito, senza riserva, prendendo da un bellanese pari mio: Antonio Balbiani, autore di romanzi e di novelle, ma soprattutto di un'esemplare guida al lago di Como, alle sue ville e alle sue valli.
Per descrivere sinteticamente il lago, ha fatto ricorso a una strofetta in vernacolo: versi tanto briosi quanto anonimi, che descrivono il lago di Como come un uomo, con un piede a Lecco e l'altro a Como, la testa Domaso e, se ne avete presente la silhouette, non sarà troppo difficile immaginare cosa ci sia a Bellagio.
Non è poi così strano che un luogo così antropomorfo abbia anche, dell'uomo cui tanto assomiglia, certi caratteri, certe debolezze, certe propensioni. E dunque il suo microclima si offre a ozi dorati, a vacanze appartate, magari anche a qualche fuga d'amore oltre che, naturalmente, a ritiri quasi spirituali dove vengono decisi i destini del mondo o giù di lì.
La cronaca recente, gossipara e no, ha portato alla ribalta questo lago. Calciatori, attori con relative fidanzate più o meno veraci, politici e “artiste” delle più varie branche l'hanno nobilitato con la loro presenza, rinverdendo un antico primato di “singolarità” che, sin dalla notte dei tempi, ha fatto del lago di Como un luogo consono a soggetti che definire particolari è appena sufficiente.
Penso, per esempio, ai donghesi d'antan. Sopra il loro paese, Dongo appunto, e verso ponente, si alza il sasso di Musso, che sul mezzogiorno oscurava il paese, orbandolo del sole. Fatti, con mine e cannoni, numerosi tentativi per frantumare l'importuna roccia senza giungere ad alcun risultato, passarono allora ad applicare l'idea di un bello spirito che aveva ragionato lungamente sull'intima natura dei fagioli, “la cui virtù è quella di muover flati”. Scavato un foro all'interno dell'indesiderato masso, lo riempirono, narra la leggenda, con mille sacchi di fagioli, nella speranza che, dopo la debita lievitazione, una scorreggia di inaudita violenza disgregasse l'ostinata roccia. Il tentativo, così come due altri che seguirono, non sortì l'effetto desiderato se non quello di bucherellare qua e là il sasso, originando caverne abitate da un'invidiabile frescura: quei crotti insomma che ai giorni nostri visitiamo specie d'estate.
Se invece si vuole parlare di turismo d'élite, le eccellenze che oggi calpestano le sue sponde hanno un illustrissimo precedente nella dea Latona. Addirittura Latona, madre di Apollo e di Artemide, i due gemelli che mise al mondo dopo averli concepiti mica con uno qualunque ma con Zeus. Una prosetta leggendaria, piccolo poema in rime, ricorda il passaggio della dea sul lago di Como. Accadde quando, gravida dei gemelli e perseguitata dall'invidia di Era, sorella di Zeus, che aveva proibito a qualunque luogo del mondo di ospitarne travaglio e parto, la povera Latona dovette girovagare assai a lungo prima di trovare il luogo ove sgravarsi. E in quel suo peregrinare passò anche dal lago di Como, in quel di Arbiola: stanca, affranta, soprattutto assetata, si vide però rifiutare un poco d'acqua “da quei d'Arbiola”. Per tutta risposta, ricordandosi di essere una dea, usò uno dei suoi poteri e trasformò quei rozzi in rane.
A fronte di questa ospitalità negata, si registra invece un bell'esempio di solidarietà (con giudizio, certo, ma pur sempre di solidarietà si tratta). Risale ai tempi in cui le animalesche e impestate orde dei lanzichenecchi predilessero la riva orientale del lago per discendere verso Milano. Risparmiati dagli infettivi alemanni, gli abitanti di Bellagio ebbero l'opportunità di correre in soccorso di quelli di Varenna cui, stante l'occupazione dei lanzichenecchi, era venuto a mancare il bene primario per il nutrimento dell'uomo, il pane. Si tramanda che, visibile da Bellagio, spuntasse dalle acque del lago un sasso, chiamato sasso del Pane. Lì avveniva lo scambio tra i bellagini, che consegnavano il pane, e i varennesi che lo ritiravano dopo aver consegnato il prezzo pattuito: denaro che veniva versato in un contenitore colmo d'aceto, a garanzia di sterilità. Non è struggente, come certi tramonti settembrini, l'immagine: aceto, per disinfettare il soldo. Ma acqua, tanta, un'infinita distesa per preservare il pane, dono di Dio.
Quella pessima consigliera. La fame, brutta e pessima consigliera. Ne sapevano qualcosa gli abitanti di Carate che, disperati per non aver nulla da mettere sotto i denti, si rivolsero a sant'Albino protettore, chiedendo una pesca soddisfacente e promettendo in ringraziamento una messa cantata. La pesca, a giudicare da quel che accadde, non fu certo una di quelle che si può definire miracolosa. Tanto che, fatti i conti del pesce che avrebbero dovuto vendere per pagare la messa, i caratesi decisero diversamente.
Recita una strofetta: “Sant'Albino, abbi pazienza, che far senza tu ben puoi de' doni altrui, non già noi de' doni tuoi.”
In sostanza, si tennero il pesce. Ma per poco. Poiché il santo, piccato, fece sparire d'incanto tutto il pescato, innescando nel popolo dei suoi ex fedeli una drammatica reazione che li portò a dar fuoco alla statua del povero Albino.
Sono, quelli citati, piccoli esempi, lontani dalla cronaca odierna ma che illustrano, proprio grazie alla distanza temporale, quanto sia singolare l'aria che si respira sulle rive di questo lago. E come tale si sia mantenuta nei secoli dei secoli.
Poiché certamente ogni lago ha un suo fascino particolare (anche se in verità quello di Garda assomiglia a una cotoletta con l'osso e l'altro concorrente in bellezza, il Maggiore, ha l'aspetto di una gamba spaiata). Ogni lago ha un suo fascino particolare, si diceva. Ma pochi – e forse solo uno, forse solo quello di Como – fanno della loro anatomia il terreno ideale per ogni genere di desiderio. Sarà perché ci sono nato e ci vivo?
Sta di fatto che sono felice del primato che in questi anni sta vivendo e mi auguro che sempre più personaggi eccellenti lo frequentino e magari se ne comprino anche un pezzettino. Poiché sono certo che, gelosi di tanta bellezza, faranno di tutto per mantenerla, difendendola dagli assalti di incongrui cementi.
Del resto lo diceva anche il mio concittadino Antonio Balbiani, scrivendolo nella nota introduttiva della sua guida: “Ella è cotesta una passeggiata simpatica, a cui si invita il pubblico delle quattro mura della città ai piani azzurri del più bel lago d'Italia…”.
Certo, non posso negare che anche lui fosse un po' di parte. Per rendersene conto, bisogna però andare a vedere, verificare di persona. Portandosi sottobraccio magari, oltre che una morosa, la sua guida, dalla quale sono tratti questi aneddoti, strofe e rime.
di Andrea Vitali


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