Meno male che c'è Mourinho
Per fortuna c'è Mou. Si ricomincia con lui e meno male. Si ricomincia col pallone, con una panchina e con un personaggio. L'unico. José Mourinho è quello che resta al calcio italiano, è la ragione per la quale siamo ancora un campionato che conta. Non abbiamo più Kakà, non c'è più Ibra. C'è Mou che vale per entrambi e forse di più: attrazione, polemica, divertimento, schema, gioco, monologhi, duetti, tattica, tecnica, comunicazione.
Per fortuna c'è Mou. Si ricomincia con lui e meno male. Si ricomincia col pallone, con una panchina e con un personaggio. L'unico. José Mourinho è quello che resta al calcio italiano, è la ragione per la quale siamo ancora un campionato che conta. Non abbiamo più Kakà, non c'è più Ibra. C'è Mou che vale per entrambi e forse di più: attrazione, polemica, divertimento, schema, gioco, monologhi, duetti, tattica, tecnica, comunicazione. Cioè tutto. L'inizio del campionato non sarebbe stato lo stesso senza il duello verbale con Marcello Lippi. Dicono che abbia sbagliato, José. Ha difeso se stesso e la sua squadra, ha difeso il campionato italiano. E poi anche se avesse sbagliato, chissenefrega. Bene così, con lo spirito di competizione, con la voglia di vincere, con la paura di perdere. Il calcio è un gioco di magnifici perversi: lo sono i calciatori, lo sono i presidenti, lo sono i tifosi. Quindi noi. Che cosa cerchiamo se non l'eterna voglia di rivalità? Mou, in questo precampionato, ci ha regalato gli unici sprazzi di interesse per un torneo che sembrava da oratorio over 60: le prime uscite anti Ancelotti in America, il freddo distacco da Ibrahimovic, lo scambio di battute con il ct della Nazionale. I picchi di un'estate da svacco pallonaro sono nel cilindro di Mourinho: per il resto il calcio italiano ha visto partire i campioni e prenderne uno solo, cioè Eto'o, che poi l'ha avuto proprio José. Certo è arrivato Diego: magari sarà meglio di Kakà, magari no. Quello che è certo è che c'è Mou, con tutto quello che gli gira attorno, con la nuova scia che si porta a spasso, con la vitalità che ha dato al ruolo del mister. Non sapremo mai quanto conti davvero il tecnico in una squadra: l'Inter di Herrera sarebbe stata grande allo stesso modo senza Helenio? Il Milan di Sacchi sarebbe stato invincibile con un altro allenatore? Non ci sarà mai una risposta, non ci sarà mai la verità. La storia non ha un verdetto, perché non può averlo. Sappiamo però che ogni allenatore importante ha rafforzato il compito di chi va in panchina. Ogni volta che c'è stato un uomo forte alla guida di una squadra ne hanno beneficiato tutti gli altri tecnici. E' così che l'allenatore è diventato qualcuno e non solo un burattino nelle mani di un gruppo di calciatori, è così che la gente ha cominciato a chiedersi in che percentuale c'è merito e demerito di un allenatore nell'andamento di una squadra. L'identità di una squadra con il suo allenatore è direttamente proporzionale al carisma e alla celebrità del tecnico. Ma il bello è che con un criterio scriteriato la popolarità di un mister arriva al mister della squadra più piccola. Tutto collegato, tutto intrecciato. Oggi sembra che l'allenatore sia mezza squadra. Questo è merito di José che non avrà cambiato il modo di giocare, però ha modificato il costume del calcio. Italiano ora, inglese prima. Dicono sia stato e sia solo un fenomeno mediatico. E allora? Sembra poco? Ha trasformato tre modi di dire, in tre tormentoni che esisteranno dopo di lui: “Zero Tituli”, “prostituzione intellettuale” e “99,9 per cento”. Basta questo per dire che ha dato più lui al calcio italiano di migliaia di giocatori fortissimi. Così ha dato anche ai suoi colleghi. Un solo uomo per un movimento. Nel suo primo anno in serie A ha avuto battibecchi con Ranieri, Ancelotti, Spalletti. Sarà un caso ma tutti e tre sono stati messi in discussione o esonerati o allontanati. Li ha messi in difficoltà, ma contemporaneamente li ha salvati: Ancelotti è andato a guadagnare al Chelsea quanto non avrebbe mai potuto fare a Milano, Ranieri è diventato il martire di una nuova dirigenza juventina più impreparata di quanto si immaginasse, Spalletti è stato l'uomo più cercato per le panchine importanti rimaste vuote: il Milan e persino lo Zenith di San Pietroburgo a campionato italiano quasi cominciato. Gli altri, la massa, ha avuto da Mourinho un regalo inconsapevole che è proprio il nuovo riconoscimento dell'importanza dell'allenatore. Non cambia quello che fanno i mister, cambia come lo fanno. Cambia quello che hanno attorno.
Mourinho ci resta, per fortuna. E' la certezza che ci divertiremo, che andremo allo stadio o ci metteremo davanti alla tv sapendo che uno spettacolo ci sarà. Nel pre partita e nel post partita è garantito, magari arriverà anche quello durante. E la scommessa di José, che tutti i criticonzi faciloni hanno, per tutta la passata stagione, accusato di essere sostanzialmente vuoto, un contenitore, una maschera d'apparenza: a loro e a tutti, Mourinho vuol far vedere che l'allenatore più forte del mondo è lui. L'Inter gioca meglio dell'anno scorso, hanno detto tutti. Poi però hanno già precisato: chissà per quanto. E se fosse per tutto l'anno? Se ci accorgessimo all'improvviso che era tutto calcolato, tutto studiato, tutto previsto? C'era Ibra e bastava. Adesso che non c'è, può emergere il talento puro di chi sta in panchina, col taccuino e con gli schemi, con le idee. Il resto, cioè il contorno, le chiacchiere, le polemiche, faranno parte di lui e di noi. E' il divertimento, insomma. Quello che in fin dei conti ci fa essere tifosi, appassionati, simpatizzanti. Calciofili, cioè una delle esperienze più esaltanti della vita: ha ragione chi dice che col pallone ci sono più sofferenze che gioie, più giornate negative che domeniche da orgasmo. La felicità del calcio è effimera, veloce, non lascia quasi traccia. Mou serve a questo: a farci arrabbiare e quindi a far dimenticare la delusione, poi per chi potrà, a farci esultare e quindi a far ricordare la gioia. Mourinho siamo tutti noi, quelli che ce la fanno e quelli che no. Averlo è una consolazione, un privilegio, una fortuna: senza Kakà, senza Ibrahimovic, si potrebbe anche vivere. Senza uno così no. Vale per chi lo ama e per chi non lo sopporta. Anzi Mou serve a questi ultimi, a quelli che lo odiano perché realizza i loro sogni. Tutti contro di lui, si comincia da oggi. Vediamo che succede, vediamo che fa. Prepariamoci a divertirci anche senza campioni.


Il Foglio sportivo - in corpore sano
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