Le farfalle di Sierra Leone/19

Lorenzo si sveglia e vede alla finestra un uomo che parla con gli scozzesi

Sandro Fusina

La pendola sulle scale batté le quattro. Alvise si svegliò. Per un attimo cercò di capire dove fosse. Era seduto al tavolino della sua camera alla locanda. Un attimo prima era nella casa di suo cognato sul lago. Cercò di ricostruire il sogno. Un merlo cantava sul tiglio fuori della finestra. Andò alla finestra. La spalancò. Un merlo cantava, ma non c'erano tigli.

    La pendola sulle scale batté le quattro. Alvise si svegliò. Per un attimo cercò di capire dove fosse. Era seduto al tavolino della sua camera alla locanda. Un attimo prima era nella casa di suo cognato sul lago. Cercò di ricostruire il sogno. Un merlo cantava sul tiglio fuori della finestra. Andò alla finestra. La spalancò. Un merlo cantava, ma non c'erano tigli. C'erano solo gli scozzesi che dormivano intorno al carro, c'erano solo le rimesse e la stalle. Si era addormentato con la testa sul tavolo. Non aveva dormito molto. Aveva sentito battere le tre, si ricordava che nella stanza accanto Lorenzo e la servetta parlottavano ancora, ridevano, si muovevano. Adesso tutto taceva, solo il merlo cantava.

    Annunciava al creato che anche quella notte era riuscito a sfuggire alla caccia del gufo. Al falco che lo aspettava allo spuntare del sole non pensava ancora. Alvise tornò al tavolino. Le ultime righe dell'ultimo foglio che aveva scritto erano sbavate. Si guardò la manica della camicia. La destra era sporca di inchiostro. Raccolse la penna che era caduta per terra, provò col polpastrello del pollice la punta, era spezzata. Prese un'altra penna. Cazzo, non era preparata. Aprì il coperchio del necessaire da viaggio che aveva appoggiato sul comò, estrasse un coltellino con il manico d'argento, lo aprì.

    Ogni volta che faceva quell'operazione sentiva la voce della madre che gli leggeva le istruzioni da un libro di calligrafia. Bisogna tenere la penna con le prime due dita e il pollice, avendo la precauzione di appoggiare la penna sul primo dito. Bisogna tagliarla un po'. Poi bisogna fendere la punta con il coltellino, stando attenti che il taglio non sia troppo profondo. Eseguì. Non a regola d'arte. Non era mai stato bravo a scrivere, a cominciare dalla preparazione della penne. Appallottolò il foglio. La madre lo avrebbe sgridato. Non sai che la carta è cara? Lesse le ultime righe dell'ultimo foglio che aveva scritto. Riguardavano le carature che aveva su un brigantino che si chiamava Nautilus. Erano un buon affare. Ma le cose stavano cambiando. Al mattino non avrebbe avuto forse il tempo di parlare a lungo con Lorenzo. Doveva spiegargli il problema. Lorenzo doveva essere al corrente, se doveva prendere una decisione.

    Aveva il sospetto che il Nautilus c'entrasse con il pasticcio in cui si trovavano. Riprese a scrivere con una scrittura minuta, molto inclinata verso destra, poco rispettosa delle leggi della calligrafia e dell'ortografia. Come era riuscito a ottenere le carature sul brigantino lo aveva già spiegato. “Le carature sulle navi che facevano quel tipo di commercio erano molto ambite. Per uno straniero era difficile ottenerle. Un paio di gentiluomini che erano nell'affare e ai quali avevo fatto qualche favore avevano garantito per me. Uno era lord Russell, che ci aspettava a Trevor Manor. Era stato un ottimo investimento, tanto che sono stato tentato più volte di aumentare la mia partecipazione, ma non sono riuscito mai ad acquistare altri carati. In compenso incrementavo il profitto occupandomi del carico. Facevo in modo che non ci fosse pezza di calicò, non ci fosse fucile, non ci fosse barra di ferro che non passasse dalle mie mani”. Scrivere era troppo faticoso per dilungarsi in particolari. Lorenzo poteva chiedere al suo segretario a Londra, che ne sapeva quanto lui. Anche Jacques ne sapeva probabilmente molto. Gli era sempre stato vicino e aveva il naso per gli affari. Il brigantino era iscritto al registro di Bristol. L'attuale capitano, al quale Lorenzo avrebbe potuto rivolgersi, era Stephen West. Secondo le notizie portate da una nave di Liverpool che l'aveva incontrato, in quel momento il Nautilus doveva essere in porto a Kingston. Per vendere gli schiavi e caricare prodotti tropicali. Anche se non era tagliato per gli affari, lo stesso Lorenzo poteva capire che quello era un ottimo investimento.

    Bastava pensare che il carico di partenza era tutta merce poco costosa, di cattiva qualità, come le armi da fuoco, o di scarso valore, come il calicò o le barre di ferro. Erano però prodotti molto ricercati dai piccoli sovrani della costa di Guinea che li scambiavano volentieri con gli schiavi. Gli schiavi in America venivano pagati molto bene. Con una parte del ricavato si riempiva all'inverosimile la nave con zucchero, melassa, tabacco, caffè, cotone, prodotti che costavano molto poco nelle Indie Occidentali e che si vendevano molto bene in tutta Europa. In gergo si chiamava commercio triangolare, nella sostanza era un commercio in cui il capitale si moltiplicava a ogni scalo. In quel momento che non c'erano guerre, l'unico vero pericolo erano le bonacce che potevano inchiodare la nave durante la traversata dall'Africa all'America. Purtroppo negli ultimi tempi erano sorti dei contrasti tra i soci. “... le cose sono cambiate. Una parte dei soci, sostenendo di essere mossi da ragioni morali, vuole ...” Spuntava il giorno. Al merlo si erano uniti in un concerto tutti gli uccelli dei dintorni. Alvise si distrasse. Per abitudine cercò di distinguerne le voci. I più numerosi erano sempre i passeri. Individuò una coppia di fringuelli. Ogni tanto nel coro interveniva un batticoda. Posò la penna. Scrivere lo affaticava. Sentiva intorno agli occhi, alla base del collo, il peso della notte. Rimpianse di non avere dormito abbastanza. Per esperienza sapeva che verso le undici avrebbe sentito di più la stanchezza. Proprio verso le undici, quando avrebbe dovuto essere più lucido. Dal cortile salivano i rumori del giorno che ricominciava. Sentì un tramestio nella stanza accanto. Quando udì aprire la porta si affacciò sul pianerottolo.

    Come aveva immaginato era la servetta rossa con un pitale in mano. La chiamò. La servetta si fermò sulla porta con gli occhi bassi. Alvise le chiese di portargli una cuccuma di caffè. - Non credo che ci sia, signor conte. Signor conte? cosa le aveva detto quel mona di Lorenzo? - C'è il tè? - Credo di sì, signor conte. La padrona lo beve. Anche questo è un brutto indizio per il Nautilus, pensò Alvise, preferiscono tutti il tè che viene dalle Indie orientali. Tutta colpa di quel mona di Jacques che ha perduto Pondicheri. Sorrise tra sé. - Vuole il tè, signor conte? - Sì, se la tua padrona è disposta a rinunciare a un po' della sua acqua calda. Molto tè, molto caldo, e una bottiglia di rum. Almeno il rum viene dall'America. Fanny non capì cosa voleva dire. Imboccò le scale. - Fa presto. Se quando torni dormo, svegliami. Tornò al tavolino. Prese il foglio che stava scrivendo, tentò di rileggerlo stando in piedi. Ricominciò da capo alcune volte. Dopo le prime due righe perdeva la concentrazione. Sentiva una lieve vertigine. Sempre con il foglio in mano si distese sul letto. Si accorse che per tutta la notte non aveva tolto gli stivali. Aveva i piedi gonfi. Si mise a sedere sulla sponda. Sfilare gli stivali fu una tortura. Gli dolevano soprattutto le ginocchia e le caviglie. Si chiese se per caso non soffrisse di gotta. Come mio nonno e mio padre, pensò. Si distese. Le immagini del nonno e del padre si sovrapponevano. Sentì un peso in tutta la parte destra del corpo che lo trascinava in basso. Credette di svenire. Si addormentò. Nello stesso istante da qualche parte una porta sbatté. Lorenzo si svegliò di soprassalto. Dormiva sul fianco destro. Si girò a cercare Fanny. Il letto era vuoto. Aveva un'erezione.

    Probabilmente stava sognando, anche se non ricordava. Aveva osservato che quando si svegliava di colpo mentre stava sognando aveva il cazzo duro. Si stirò. Osservò il suo corpo compiaciuto. Stese il braccio per cercare Fanny. Il letto era ancora caldo. Roteò sul fianco sinistro e si mise a pancia in giù. L'occhio gli cadde sul comodino. C'era ancora la catenina d'argento con la medaglia della madonna. E c'era anche la sterlina. - Che scema - disse con un sorriso e si alzò con un salto. Aveva bisogno del pitale, anche se sapeva che l'operazione sarebbe stata difficile. Lo cercò nel comodino, lo cercò sotto il letto. Capì che Fanny lo aveva portato via per vuotarlo. Nudo com'era andò alla finestra. Il fagotto inerte, abbandonato sul carro lo depresse. Se ci fosse stato il pitale non avrebbe più avuto difficoltà a pisciare. Ma dove aveva già visto l'uomo in nero che parlava con gli scozzesi davanti alla stalla? (19. continua)