Paradossi letterari e moraleggianti nella Palermo anti racket
Da un libro pasticciato di Camilleri nasce un inciucetto tra mafia e antimafia
Capita a tutti di sbagliare. E anche i miti come Andrea Camilleri possono fare – direbbe lui – una minchiata. Il creatore di Montalbano, nel libro “Voi non sapete”, fu coerente col titolo del suo volume, datato 2007: non sapeva che una cosa da lui scritta era destituita di fondamento. E così, per evitare guai, la Mondadori, di fronte a un'immediata citazione civile da parte di una coppia che si era ritenuta diffamata, preferì transigere e pagò ottomila euro alla signora e al marito.
Capita a tutti di sbagliare. E anche i miti come Andrea Camilleri possono fare – direbbe lui – una minchiata. Il creatore di Montalbano, nel libro “Voi non sapete”, fu coerente col titolo del suo volume, datato 2007: non sapeva che una cosa da lui scritta era destituita di fondamento. E così, per evitare guai, la Mondadori, di fronte a un'immediata citazione civile da parte di una coppia che si era ritenuta diffamata, preferì transigere e pagò ottomila euro alla signora e al marito. Cosa fecero, i due coniugi? Sin dall'inizio della causa l'avevano promesso e lo mantennero: daremo l'eventuale risarcimento, avevano detto, ad Addiopizzo, l'associazione di chi si ribella al racket del pizzo.
Addiopizzo incassò così, senza saperlo, ottomila euro dai coniugi Silvana Pecora e Francesco Sbeglia: figlia di un costruttore considerato prestanome dei boss lei, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa lui, che è anche figlio – per di più – di Salvatore Sbeglia, un altro condannato per mafia. Per festeggiare la donazione, il 28 novembre 2008, ci fu una piccola festicciola, in via Alcide De Gasperi, a Palermo, nella sede dell'associazione. La signora Pecora in Sbeglia, figlia, nuora e moglie di costruttori ritenuti vicini a Cosa Nostra, fu accolta dai ragazzi dell'associazione con spumante e pasticcini.
Capita a tutti di sbagliare. Addiopizzo, come l'autore di Montalbano, non sapeva che Silvana Pecora aveva quelle parentele. Ma quando il pm Roberto Scarpinato ha fatto sapere che il marito della signora, Francesco Sbeglia, era dipendente di Aedilia Venusta, azienda edile che ha lavori in mezza Palermo, Addiopizzo non solo ha preso le distanze, restituendo subito gli ottomila euro, ma ha anche innescato un meccanismo che ha messo in allarme tutte le organizzazioni impegnate nella lotta alla mafia. Confindustria Palermo, in base a un proprio codice etico, ha cacciato Aedilia Venusta dall'elenco dei propri iscritti. E, come se non bastasse, l'impresa di costruzioni ha perso di colpo anche le commesse avute da una holding di imprenditori, anch'essi iscritti a Confindustria, che come Addiopizzo aveva preso per buone le sue credenziali antimafia.
La distratta Palermo di Ferragosto fa così i conti con l'ennesimo episodio, sintomatico dell'esistenza di vere e proprie acquasantiere in cui chiunque cerca di immergersi per emendarsi. Che Francesco Sbeglia sia colpevole non è ancora certo, dato che è stato condannato solo in primo grado, e dopo 13 anni di processo per di più. Quel che è certo è che se sposi la causa dell'antimafia magari qualcuno si dimentica che hai avuto a che fare con la mafia: lo sapeva bene il boss Nino Rotolo, quando consigliava a Francesco Stassi, dipendente di un notissimo imprenditore palermitano, Pino Migliore, di fare aderire il suo datore di lavoro – sospettato di collusioni – alle associazioni antiracket. “Così non gli dirà più niente nessuno”, chiosava Rotolo, ascoltato dalle microspie della polizia. Lo sapeva bene anche Francesco Campanella, il pentito di mafia e politica, consigliere comunale dell'Udeur di Clemente Mastella, pronto a inventarsi – col placet di Provenzano – la cittadinanza onoraria del comune di Villabate per il capitano Ultimo, l'ufficiale del Ros che catturò Totò Riina, e per Raul Bova, l'attore che aveva impersonato Ultimo in una fiction tv. L'antimafia usata come paravento, dunque, per l'ennesima volta. Ma anche una certa dose di ipocrisia, viene fuori da questa vicenda. Il patron della società cacciata, l'architetto Vincenzo Rizzacasa, non si dà pace e mostra i cartelli che per legge si devono esporre nei cantieri, in cui il nome di Sbeglia è fatto a chiare lettere, come direttore tecnico. “Abbiamo sempre agito alla luce del sole”, dice. Perché Addiopizzo si sveglia e restituisce gli ottomila euro alla signora Pecora solo dopo la segnalazione di Scarpinato?
Il risveglio dell'associazione antiracket ha innescato, come si è detto, reazioni a catena. Prima fra tutte quella di Confindustria che in Sicilia ha fatto, della lotta alle estorsioni, una propria bandiera. “Confindustria – insiste Rizzacasa – dice di cacciarci perché abbiamo violato il codice etico. E ora cosa dovrei fare, io? Risolverei tutto, mi è stato detto, licenziando Francesco, o facendolo dimettere. Ma non ci penso nemmeno. Perché dovrei? La sentenza non è definitiva. Se lo diventerà, ci porremo il problema. Fino a oggi comunque non ho nulla da rimproverarmi: subisco le minacce mafiose e le denuncio tutte. E sa, in alcuni casi, chi è andato materialmente dai carabinieri? Francesco Sbeglia”. Se risultasse colpevole, sarebbe l'ennesimo paradosso di questa Palermo ferragostana: la mafia che denuncia la mafia.


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