Visto dall'Istat

Ecco perché i nuovi dati (un po' in calo) sul pil non spaventano il Tesoro

Redazione

Continua a correre in discesa il pil italiano, ma a una velocità più contenuta rispetto ai mesi passati. Le stime preliminari per il secondo trimestre diffuse ieri dall'Istat confermano infatti una tendenza negativa inaugurata proprio un anno fa, nel secondo trimestre 2008. Ma questa volta il prodotto interno lordo diminuisce dello 0,5 per cento rispetto al trimestre precedente, meglio del meno 2,7 per cento fatto registrare nel primo trimestre 2009 rispetto all'ultimo del 2008.

    Continua a correre in discesa il pil italiano, ma a una velocità più contenuta rispetto ai mesi passati. Le stime preliminari per il secondo trimestre diffuse ieri dall'Istat confermano infatti una tendenza negativa inaugurata proprio un anno fa, nel secondo trimestre 2008. Ma questa volta il prodotto interno lordo diminuisce dello 0,5 per cento rispetto al trimestre precedente, meglio del meno 2,7 per cento fatto registrare nel primo trimestre 2009 rispetto all'ultimo del 2008. In confronto al secondo trimestre del 2008, il calo è del 6 per cento, identico a quello registrato nel primo trimestre. Se nei prossimi sei mesi non ci saranno ulteriori cali, la contrazione del pil a fine anno sarà del 5,1 per cento.
    Governo, sindacati e industriali sono d'accordo su un punto: nessuno si dice sorpreso, vista anche la flessione della produzione industriale di giugno. Ma a divergere sono le interpretazioni sul futuro prossimo. La Cgil, per bocca del segretario confederale Agostino Megale, dice che “la discesa tendenziale del pil conferma che non ci sono segni di ripresa”. Più ottimista Luca Paolazzi, direttore del Centro studi di Confindustria: “Il dato è stato migliore delle aspettative (meno 0,7)” e “per il terzo trimestre 2009 è possibile un piccolo segno positivo”.

    Neanche il ministero dell'Economia esclude la possibilità di tornare al segno più: in un documento a circolazione interna redatto dal Tesoro, che il Foglio ha letto, contenente previsioni del pil ottenute tramite modelli Bridge e frutto dell'elaborazione di dati di diversi istituti, per il terzo trimestre si prevede un andamento compreso tra meno 0,2 e più 0,6 per cento, mentre per il quarto la crescita è tra più 0,8 e più 1,1. Il premier Silvio Berlusconi, nella conferenza stampa di ieri, ha richiamato l'attenzione su altri due dati: primo, “l'Ocse dice che l'Italia è la prima in Europa per segni di ripresa”; secondo, “è in diminuzione l'utilizzo della cassa integrazione”. Ennesima prova, secondo il Cav, che l'esecutivo è riuscito, nel pieno della crisi, “a garantire la pace sociale”. Ma quest'ultima sarebbe a rischio secondo Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl: “Più che aspettare la fuoriuscita dalla crisi, bisognerebbe costruire l'uscita dalla crisi con politiche economiche molto forti e con uno sforzo straordinario sulla spesa e le risorse”. Che lo “stimolo fiscale” sia la via maestra per fronteggiare la recessione in corso lo sostiene anche, dall'altra parte dell'Atlantico, Christina Romer, presidente dei consiglieri economici della Casa Bianca.

    Tracciando due giorni fa, a cinque mesi dalla sua entrata in vigore, un bilancio dell'American Recovery and Reinvestment Act – il pacchetto di stimolo da 787 miliardi di dollari approvato da Barack Obama a febbraio – l'economista ha detto tra l'altro: “Mediamente, le cose sono andate meglio in quei paesi che hanno adottato stimoli fiscali maggiori”. Segue tabella che riporta l'entità degli interventi nei maggiori paesi: “Le politiche fiscali espansive” adottate dagli Stati Uniti sono pari al 2 per cento del pil nazionale, poco meno di Russia e Cina (2,9 e 2,6 rispettivamente). La relazione tra “stimolo fiscale” e ripresa economica, secondo la Romer, è “consistente”: “In media, un paese il cui intervento ha superato per consistenza l'1 per cento del pil, nel secondo trimestre del 2009 ha avuto una crescita più alta del 2 per cento di quanto stimato a novembre dello scorso anno”. Anche ammettendo che la relazione ci sia, rimane il fatto che l'opinione pubblica americana – come confermano sondaggi di Wall Street Journal e Nbc News – è sempre più preoccupata dall'ampliamento del deficit generato da Obama stimato ieri a 1.300 miliardi di dollari. Non solo: ieri l'Ocse ha annunciato significativi segnali di recupero in particolare per Italia e Francia, con il superindice che nei due paesi torna sopra i livelli di un anno fa. Eppure Roma e Parigi, con uno stimolo fiscale contenuto e pari rispettivamente allo 0,1 e allo 0,6 per cento del pil, sono il fanalino di coda della classifica dei “più spendaccioni”. Rischiano così di trasformarsi nel cigno nero che può invalidare la tesi elaborata dalla Romer a difesa dell'Amministrazione Usa.