Perché in Italia si fa il tifo per i comunisti in Moldova

Luigi De Biase

Le statue sono un grosso problema per i paesi dal passato socialista. Il governo dell'Estonia ha rischiato di cadere quando il premier ha deciso di  rimuove un monumento dedicato all'Armata rossa e i servizi segreti di San  Pietroburgo cercano da qualche settimana l'uomo che ha fatto saltare con una  carica di esplosivo un famoso busto di Lenin.

    Le statue sono un grosso problema per i paesi dal passato socialista. Il governo dell'Estonia ha rischiato di cadere quando il premier ha deciso di  rimuove un monumento dedicato all'Armata rossa e i servizi segreti di San Pietroburgo cercano da qualche settimana l'uomo che ha fatto saltare con una  carica di esplosivo un famoso busto di Lenin. A Chisinau, Repubblica di  Moldova, il rispetto per i simboli è ancora sacrosanto e una trinità di eroi  del popolo sorveglia il nuovo palazzo dell'Expo. “La Russia ha fatto molto per  noi ed è ancora un grande paese”, dice Vassili, uno studente sui venticinque  che fotografa due amiche in posa fra le statue di Marx, Engels e Lenin.

    All' inizio di aprile, migliaia di giovani hanno occupato le strade della città per  protestare contro il Partito comunista, che ha vinto le elezioni con il 49 per  cento dei voti. Il paese è un piccolo paradiso per gli imprenditori italiani,  che investono ormai da anni su questo mercato vantaggioso. Il viceministro allo  Sviluppo, Adolfo Urso, li ha incontrati venerdì: è la seconda tappa di un  viaggio nel made in Italy d'oriente che lo porterà presto in Romania,  Bielorussia e Azerbaijan (a febbraio era stato in Ucraina). “Questa terra può  diventare una nuova Romania per la nostra industria – dice Urso – In Moldova c' è un forte contrasto politico, sono qui anche per comprendere l'umore degli  imprenditori italiani. So che si tratta di gente forte, l'ho già visto in  Ucraina nel momento in cui la crisi ha raggiunto l'apice: nessuno aveva voglia  di mollare”.   I problemi dell'economia globale non hanno risparmiato questo angolo d'Europa  ma i motivi per investire qui sono numerosi, dice l'ambasciatore italiano a  Chisinau, Stefano De Leo.

    Il paese ha un accordo di libero scambio con la  Russia, il porto di Giurgiulesti, sul Danubio, assicura accesso senza dazi a  tutto al mercato dell'est, il governo cancella le tasse a chi tiene gli utili  in azienda, gli stipendi degli operai superano raramente i trecento dollari al  mese. La Moldova, però, non è un mercato per tutti. Gli abitanti sono tre  milioni e la manodopera non è in testa alle classifiche dell'Harvard Business  Review: “Alle grandi industrie conviene ancora puntare sulla Romania e sull' Ucraina”, dice al Foglio un manager italiano di Chisinau. Gli affari sono per  le piccole, per i seicento imprenditori del nordest che lavorano da queste  parti. La maggioranza arriva dall'Emilia e dal Veneto, molti investono sul  settore agroalimentare ma cresce il numero di quelli che puntano sui servizi.  Come Fabrizio Pellizzari, piacentino, presidente di una società che fornisce  assistenza alle banche italiane. “A Chisinau abbiamo cominciato con un piccolo  investimento – dice – oggi abbiamo 170 dipendenti, quasi tutte donne. Non ci  sono mai stati grossi problemi, nemmeno il mese scorso, durante i disordini per  le elezioni. Abbiamo avuto soltanto un po' di paura: 170 dipendenti significa  170 scrivanie e 170 computer. Se avessero attaccato la nostra sede, sarebbe  stato un guaio”. 

    La guerriglia è durata giorni, gli studenti delle università hanno preso il  palazzo del Parlamento e hanno sostituito la bandiera della Moldova con quella  della Romania, che qui significa Unione europea. I giornali inglesi l'hanno  chiamata “Twitter revolution”, dal nome del social network usato dai  manifestanti per organizzare le proteste. Un mese più tardi, le strade della  capitale sono di nuovo serene. E' come se nulla fosse mai successo: l' opposizione è in aula, i ragazzi passeggiano fra le vetrine della strada Stefan  Cel Mare, i tavolini di McDonald's sono tutti occupati. “La città non è ancora  tranquilla ma la situazione è decisamente migliore – dice Alexandra, una  studentessa che beve caffè con le amiche al centro commerciale Sun City – Ormai  tutti sanno che la rivolta aveva una regia politica ed era portata avanti da  provocatori”.

    Per gli imprenditori italiani, la fine della rivolta e la  vittoria dei comunisti sono una vera liberazione. “Noi stiamo dalla parte del  governo perché rappresenta la forza politica più stabile del paese – racconta un piccolo industriale – Naturalmente non è facile spiegare questo concetto ai  nostri dipendenti, dato che molti di loro vorrebbero cacciare i comunisti a  calci nel culo. Diciamoci la verità: se i liberali prendono il potere, la Moldova si avvicina all'Ue; se la Moldova entra in Europa, possiamo  dimenticarci di assumere un commercialista con duecento euro al mese”. Ma oggi, a Chisnau, le coppiette si baciano sulle panchine del parco Puskin e questa è l'unica primavera a cui sono veramente interessati.