Tra Torino, Detroit e Berlino

Nel poker dell'auto Marchionne punta su Chrysler, sta a vedere con Opel e prepara la carta per il gran finale

Redazione

“Che cosa spinge Marchionne a credere che possa salvare Chrysler?”, si chiede l'Economist. Innanzitutto la consapevolezza di aver compiuto un miracolo simile già a partire dal 2004, con il suo arrivo al Lingotto e la rivitalizzazione del gruppo italiano. Anche con la più piccola delle “tre grandi” di Detroit il manager inizierebbe l'opera di risanamento a partire dalla sua struttura organizzativa, con la possibilità di arrivare al 51 per cento della proprietà – come ha detto ieri Marchionne – nei prossimi sette anni, una volta estinto il debito con Washington.

    Il poker industriale, con una posta molto alta in palio, è un gioco familiare a Sergio Marchionne”, scrive l'Economist, oggi in edicola, in un ritratto dell'amministratore delegato di Fiat, sempre più tratteggiato nelle vesti di dirigente-taumaturgo del settore automobilistico sulle due sponde dell'Atlantico, al centro delle trattative tra l'azienda di Torino e Chrysler, con uno zampino anche in Opel. Mancano sette giorni al 30 aprile – data dell'ultimatum posto dal presidente Barack Obama per concedere gli aiuti di stato all'azienda americana – e il settimanale inglese si chiede: “Che cosa spinge Marchionne a credere che possa salvare Chrysler?”. Innanzitutto la consapevolezza di aver compiuto un miracolo simile già a partire dal 2004, con il suo arrivo al Lingotto e la rivitalizzazione del gruppo italiano. Anche con la più piccola delle “tre grandi” di Detroit il manager inizierebbe l'opera di risanamento a partire dalla sua struttura organizzativa, con la possibilità di arrivare al 51 per cento della proprietà – come ha detto ieri Marchionne – nei prossimi sette anni, una volta estinto il debito con Washington. Nel caso l'accordo si chiudesse, nel board americano entrerebbero dirigenti scelti dalla Fiat e dal Tesoro di Washington.

    Ieri per Marchionne, di ritorno da Detroit, è stato il momento di scoprire alcune delle carte al pubblico. La Fiat ha chiuso il primo trimestre 2009 con una perdita netta di 411 milioni di euro a fronte di un utile di 427 milioni realizzato nello stesso periodo dello scorso anno. La gestione ordinaria fa segnare meno 48 milioni, contro i più 766 milioni del 2008. Con il segno più rimangono invece le previsioni di utile della gestione ordinaria di fine anno: si dovrebbe raggiungere il miliardo, con un margine di circa il 2 per cento.

    L'appuntamento con il consiglio di amministrazione è stato anche il momento per fare il punto sulla missione in terra americana. Nella nota sulla trimestrale, Fiat fa sapere che “se le negoziazioni saranno concluse con successo, i termini finali verranno definiti il 30 aprile 2009 o prima”. Sono quindi ancora in corso i negoziati con il Tesoro americano e gli altri stakeholder, avviati ufficialmente il 20 gennaio scorso con la firma – da parte di Fiat spa, Chrysler LLC e Cerberus Capital, ovvero l'azionista di maggioranza di Chrysler – di una lettera di intenti non vincolante per la creazione di un'alleanza strategica globale. Una risposta indiretta alle voci, rilanciate nella mattinata di ieri dal settimanale tedesco Der Spiegel, secondo le quali la casa torinese sarebbe vicino all'acquisto della quota di maggioranza della tedesca Opel. Ora la partita si fa più complessa, perché la casa madre della Opel è proprio un'altra delle “tre grandi” americane in crisi: General Motors. Le indiscrezioni sono state confermate da Klaus Franz, capo del consiglio di fabbrica di Opel.

    Un analista del settore automobilistico consultato dal Foglio giudica l'ipotesi di un avvicinamento Fiat a una casa europea “razionalmente più comprensibile” della strada statunitense. Mentre Ferdinand Dudenhoeffer, dell'università di Duisburg, è scettico su un'eventuale alleanza: “Assomiglia a una mossa di poker”. E così si torna al tavolo da gioco. L'ad italo-canadese infatti non smentisce. Prima, nel consiglio d'amministrazione, ha definito la divisione europea di GM come “una buona opportunità”. Poi nel pomeriggio ha precisato che Fiat non ha “niente da annunciare” su Opel e che “nulla è deciso” e ha negato che vi sia alcun “colloquio diretto” in corso.

    I contatti italo-tedeschi potrebbero avere una duplice spiegazione. La prima, più intuitiva ma non per questo più verosimile, che vede in Opel un “piano B”: la strada alternativa da percorrere nel caso non vadano a buon fine i negoziati con Chrysler. Questi ultimi sono stati infatti ulteriormente complicati – proprio quando sembrava che sindacati canadesi e statunitensi fossero stati ridotti alla ragione – dallo stallo tra creditori della casa di Auburn Hills e Tesoro. I primi si sono detti disposti a ridurre l'esposizione di Chrysler in maniera minore di quanto chiesto dall'Amministrazione e hanno chiesto che Fiat intervenga con un'iniezione di capitali, non soltanto di know how e tecnologie. Ma ancora ieri il Lingotto ha sottolineato come l'intesa originale non prevedesse alcun esborso di cassa. Fonti industriali tedesche leggono invece nell'avvicinamento a Opel una mossa “politica” utile a superare queste ultime resistenze, non direttamente provenienti da Chrysler. L'obiettivo, con la scadenza del 30 aprile che incombe, è quello di “spingere più rapidamente” le trattative in corso. In termini pokeristici, si parlerebbe di bluff, depurando il termine da qualsiasi connotato moralistico. Pressioni a favore della conclusione dell'accordo Chrysler-Fiat sono venute mercoledì anche da alcuni congressmen e senatori eletti in Michigan e recatisi a Washington per parlare “con franchezza” con il capo dello staff della Casa Bianca, Rahm Emanuel, e il capo dei consiglieri economici di Obama, Larry Summers.

    Nei colloqui si sono contemplati tutti gli scenari che possano consentire alle industrie automobilistiche americane di venire fuori dall'attuale pantano senza fare ricorso alla bancarotta, anche sotto forma di Chapter 11. Secondo il sito del Wall Street Journal – che cita fonti vicino al dossier – l'operazione di Fiat su Opel sarebbe subordinata al successo dei colloqui in corso con Chrysler, essendo parte di una strategia tesa a fare del Lingotto una delle principali case automobilistiche mondiali. Se poi a Marchionne non riuscisse ogni singolo colpo, vale sempre la risposta di uno dei personaggi di Miguel de Cervantes a chi paventava il fallimento di Don Chichotte: “Ci vuole pazienza, cugino. E continua a mischiare le carte”, intanto il titolo Fiat in Borsa ha quasi raddoppiato il suo valore in un mese.