Le riserve di Repubblica e la pax repubblicana

Così si allarga l'influenza di Mauro e CDB negli altri giornali e non solo

Redazione

Le riserve di Repubblica si chiamano Mario Calabresi, Giulio Anselmi, Luigi Contu, Concita De Gregorio, Giovanni Maria Bellu, Mario Orfeo, Paolo Garimberti, Enzo Cirillo. Sono l'ultima espressione del formidabile potere esercitato – sia nel giornalismo sia nella politica – dal direttore e dall'editore di Rep: Ezio Mauro e Carlo De Benedetti.

    Le riserve di Repubblica si chiamano Mario Calabresi, Giulio Anselmi, Luigi Contu, Concita De Gregorio, Giovanni Maria Bellu, Mario Orfeo, Paolo Garimberti, Enzo Cirillo. Il primo è prossimo direttore della Stampa (la notizia è di ieri), il secondo e terzo futuro direttore e futuro presidente dell'Ansa, il quarto e il quinto direttore e vicedirettore dell'Unità, il sesto candidato alla direzione del Tg2, il settimo presidente della Rai, l'ottavo direttore di E-polis, sono tutti ex giornalisti di Repubblica e sono l'ultima espressione del formidabile potere esercitato – sia nel giornalismo sia nella politica – dal direttore e dall'editore di Rep: Ezio Mauro e Carlo De Benedetti. Non esiste momento migliore di questo – nei giorni in cui non c'è nomina di tg e di giornale dove non salti fuori un uomo di Rep – per comprendere come sia cambiato il modo con cui il giornale di Mauro esercita ogni giorno di più il suo potere, e per capire qual è in fondo la principale differenza tra la prima Repubblica di un Eugenio Scalfari e la seconda Repubblica di un Ezio Mauro.

    Se fino a poco tempo fa la forza di Repubblica era quella di riuscire a dettare, e a influenzare, l'agenda della politica, nonostante rovesci strategici continui, oggi Repubblica si dà da fare con i suoi uomini nelle stanze dei bottoni. L'esempio della Rai – con la nomina di Garimberti alla presidenza di viale Mazzini – è uno dei tasselli più significativi per verificare come quello che sta succedendo attorno al direttore di Rep. sia qualcosa di più che un ordinario esercizio di potere.

    Secondo molti osservatori, Mauro si ritrova oggi in una posizione di forza in cui non era mai stato prima. Non solo per il notevole numero di riserve di Rep. scelte per dirigere i più importanti organi di informazione nazionali; non solo perché Rep. riesce a suggerire l'agenda del Partito democratico come nemmeno gli riusciva ai tempi di Veltroni (Franceschini, De Benedetti e Mauro sono molto amici, si sentono spessissimo al telefono e non hanno perso l'abitudine di cenare insieme con una certa frequenza); ma anche perché Mauro è considerato oggi il giornalista che più degli altri sa quali sono modi e toni giusti per dettare i tempi sia al mondo della politica sia a quello dell'establishment. Ed è anche per questo che c'è chi dice che Mauro abbia in effetti le carte giuste per ereditare quel ruolo di grande influenza – non solo giornalistica – che fino a pochi giorni fa gli era conteso in modo competitivo dall'ex direttore del Corriere della Sera, Paolo Mieli. L'operazione Rai, a questo proposito, ha avuto l'effetto di dare vita a una sorta di “pax repubblicana”, che ha persino portato Rep. ad avere un atteggiamento meno conflittuale con il centrodestra. Si veda il caso Vauro (Repubblica, a parte l'eroica resistenza di Michele Serra, non ha dato battaglia sull'argomento). Si veda come sono migliorati i rapporti con Gianni Letta e con Gianfranco Fini (che qualcuno a Rep. considera più o meno seriamente come il miglior candidato possibile alla successione di Franceschini).

    Si veda infine il rapporto con Gianni Alemanno: poco tempo fa l'Ingegnere Carlo De Benedetti ha chiesto di incontrarlo. In fondo anche la severissima rubrica del sabato di Giovanni Valentini – “Il sabato del Villaggio” – è uno dei sintomi più interessanti per studiare come sia davvero cambiato l'atteggiamento di Rep. nei confronti dell'opposizione, e non è un caso se quei lunghi e indignati articoli sul “Pensiero unico del teledittatore” (13 dicembre 2003), sul “Male assoluto del regime televisivo” (29 novembre 2003), su “L'informazione taglieggiata” (6 dicembre 2003) e sulla “Libera informazione? Una materia proibita” (25 ottobre 2003), siano stati sostituiti da argomenti come la “Sfida della qualità per la nuova Rai” (28 marzo 2009), “Che tempo che fa nella tv pubblica” (21 marzo 2009), “Se Facebook lancia una lista del sole” (9 marzo 2009) e “Se ci tolgono il pane e anche i circenses” (6 dicembre 2008).

    Può dunque sembrare paradossale, ma il capitolo più delicato che si aprirà ora nel mondo di Rep. è quello che riguarda proprio la successione di Mauro. Raccontano che rispetto a qualche mese fa – quando le dimissioni dalla presidenza della Cir di Carlo De Benedetti avevano fatto pensare che l'Ingegnere fosse pronto a lasciare sempre più spazio anche nel mondo del Gruppo Espresso al figlio Rodolfo – nella testa del direttore ci sia un po' meno l'idea di lasciare la direzione del quotidiano per andare a fare il corrispondente da New York (anzi, ha preso casa in Maremma).

    Le ragioni sono due. La prima è che a Repubblica non esiste un giornalista così gradito all'Ingegnere che sia in grado di succedere a Mauro. La seconda è che i due giornalisti candidati a occupare la poltrona all'ottavo piano di Largo Fochetti sono appena diventati direttori dei due giornali concorrenti di Rep: la Stampa e il Corriere della Sera. Se per Mario Calabresi arrivare a dirigere Repubblica sarebbe stato difficile (i pezzi grossi del giornale lo volevano, ma CDB un po' meno) la storia che riguarda Ferruccio De Bortoli è diversa – dato che poco prima che arrivasse l'idea di Letta e Franceschini di candidarlo alla presidenza Rai l'accordo con CDB era il rumor più forte dell'ambiente. E' anche per questo che a Rep. – nel momento in cui gli uomini di Mauro sono diventati un contropotere del mondo del Cav. (come notato ieri da Franco Bechis su Italia Oggi) e nel momento in cui l'influenza politica dell'ex vice di Paolo Mieli ha toccato vertici mai raggiunti prima – c'è chi dice che esista un solo modo possibile per vedere Mauro andare via da Largo Fochetti. Che qualcuno – si dice scherzando a Rep – gli chieda di guidare non un giornale, ma un partito che si scrive con una P e una d.