Il romanzone del Corrierone all'ultima puntata. Forse

Redazione

Bazoli e Passera hanno già scartato un nome. Geronzi cerca la mediazione finale. I giornalisti annunciano sei giorni di sciopero. A Milano si parla solo di via Solferino. Ma anche da Roma giungono attenzioni interessate. Tre scenari possibili. Ecco tutti i protagonisti.

    Lunedì sera all'Infedele si sono smosse le acque dell'ormai storia infinita del cambio di direzione al Corriere della Sera. Ci siamo. Chi era davanti al piccolo schermo lunedì sul tardi si aspettava di assistere a un dibattito sull'Expo 2015 (quello era l'argomento della puntata) e improvvisamente si è trovato di fronte a una disputa sulla sorte del primo quotidiano italiano e su chi debba sedere sulla poltrona occupata dal 2004 da Paolo Mieli (al suo secondo mandato, essendo già stato al timone di via Solferino fra 1992 e il 1997). Ad accendere la miccia, provocato da Gad Lerner,  è stato Massimo Pini, membro del consiglio di amministrazione e, quello che più conta, del patto di sindacato di Rcs MediaGroup, cioè quella sorta di salotto buono che riunisce i principali azionisti della casa editrice del Corriere della sera. In questo prestigioso consesso, Pini rappresenta Salvatore Ligresti, finanziere (possiede SaiFondiaria), costruttore (sta tirando su tre grattacieli nell'area dell'ex Fiera di Milano), imprenditore (è anche nella Cai, la nuova Alitalia), uomo di potere (è amico del presidente del Consiglio) e azionista della Rcs (ne controlla poco più del 5 per cento).

    Pini ha detto, in poche parole, che l'era di Mieli deve considerarsi conclusa perché il giornale va male e perché la situazione politica è molto diversa da quella che lo aveva portato ai vertici cinque anni fa. Non è stata un'uscita in esclusiva per la platea televisiva della 7. Ieri, parlando con il Foglio, Pini ha confermato punto per punto quanto detto a Lerner e ha aggiunto dell'altro. “I tempi sono difficili in generale per gli editori – ha spiegato – ma lo sono in particolare per la Rcs. La scorsa settimana sono stati presentati i conti e tutti hanno potuto vedere che vanno male. Sarebbe ora che gli azionisti si svegliassero e prendessero dei provvedimenti, non possono continuare a stare lì a cincischiare”.

    I provvedimenti, secondo Pini, devono partire proprio dalla direzione politica: “Mieli, invece di dedicarsi a fare un buon giornale, si occupa di politica, cerca di creare nuovi personaggi, di tirare i fili, vuole fare il king maker. Ma non ha capito che oggi c'è un unico king maker ed è Silvio Berlusconi. Il tempo dei giochetti di Mieli ormai è finito”. Dunque, secondo Pini, bisogna individuare un altro direttore e senza perdere tempo. Ma a chi tocca muovere in questa partita? “Se ne stanno occupando Cesare Geronzi e Giovanni Bazoli (rispettivamente presidenti di Mediobanca e di Intesa Sanpaolo, ndr), ma finora non sono riusciti a venire a capo di nulla, il problema è sempre lì. E Mieli è sempre lì. Con questo sfilacciamento, con gli azionisti che non si decidono ad affrontare di petto il problema, andrà a finire che si rafforzerà ancora di più e chissà fino a quando continuerà a dirigere il giornale”.

    Il tema del ricambio al vertice di via Solferino non è di oggi. E' da tempo, dalla vittoria alle ultime elezioni politiche, che Silvio Berlusconi preme in questa direzione, spinto dalla sua popolarità inondante e dal pensiero che fra pochi mesi si andrà alle urne per le europee e sarebbe più prudente non avere un Corriere della sera ostile, come fu nel marzo del 2006 quando Mieli fece l'endorsement a favore di Romano Prodi. Berlusconi smentisce qualsiasi suo coinvolgimento nella vicenda e proprio ieri ha dichiarato: “Non mi risultano cambiamenti in vista al Corriere e comunque io non c'entro”. Però pochi ci credono. L'opinione più diffusa è invece che c'entri, eccome. In questa sua azione il premier trova però un ostacolo nella natura degli azionisti del primo quotidiano nazionale. Sono, quelli riuniti nel patto di sindacato, una quindicina, tutti rappresentanti del meglio di quel che resta della borghesia imprenditoriale e finanziaria italiana: si va da Mediobanca alla Fiat, dalla Pirelli alle Generali, a Della Valle, a Ligresti appunto, eccetera.

    Questo azionariato così frastagliato non riesce a dare un orientamento chiaro, univoco alla casa editrice. Ed è un interlocutore difficile per chiunque, in quanto multiforme, incostante nelle sue alleanze interne ed esterne influenzate dalle opportunità, dalle amicizie personali. Comunque ci sono state varie mosse per far breccia e ottenere il cambio ai vertici e hanno provocato, come era ovvio, una serie di reazioni. Ultima in ordine di tempo quella del Comitato di redazione, il sindacato interno del giornale che ieri ha emesso un comunicato (pubblicato dal quotidiano) nel quale si criticano gli azionisti perché “il loro silenzio di fronte alla continua rincorsa di voci sui nomi dei possibili nuovi direttori del Corriere della sera sta creando un grave danno all'immagine e all'autorevolezza del giornale”. Il comunicato si conclude annunciando sei giorni di sciopero.

    Tensione sul fronte interno del quotidiano, dunque. Come su quello degli azionisti. A parte Massimo Pini, anche altri sono del parere che la partita in ogni modo vada chiusa, perché nessuna azienda (e meno che mai un giornale) può andare avanti nella perenne imminenza di un cambio della guardia. Anzi, secondo alcuni, la riunione del patto di sindacato, che avrebbe dovuto tenersi il 18 marzo scorso e che era stata rinviata a data da destinarsi, si terrà molto probabilmente già lunedì prossimo. E forse per quel giorno ci saranno delle decisioni invece delle voci e delle ipotesi che a proposito o a sproposito si sono avute finora sulla vicenda. Secondo altri azionisti, non bisogna invece aspettarsi novità. “Ancora una volta si sta facendo tanto rumore per nulla – ha detto al Foglio uno di loro – Con questa pluralità di soci presenti in Rcs, nessuno si espone per prendere decisioni, tutti lasciano correre. E' ormai una consuetudine e dubito stia per cambiare”.

    Vedremo. Chi ha in mano la partita, il pivot, è ovviamente Geronzi. Sia perché Mediobanca è il primo azionista della casa editrice sia perché sta cercando di svolgere un ruolo di trait d'union fra i palazzi del potere politico e i salotti imprenditoriali e finanziari. La prima ipotesi passata al suo vaglio è stata quella di sostituire Mieli con Carlo Rossella, attuale presidente di Medusa, casa cinematografica di Mediaset (gruppo Berlusconi), ed ex direttore de La Stampa, Panorama, Tg1 e Tg5. La candidatura, appoggiata da due importanti azionisti Rcs come Luca Cordero di Montezemolo (presidente Fiat, secondo socio del Corriere) e Diego Della Valle, che sono amici storici di Rossella, e condivisa da Geronzi stesso si è però scontrata con l'opposizione di Bazoli e del suo amministratore delegato in Intesa Sanpaolo Corrado Passera, entrambi concordi sul fatto che Rossella è politicamente troppo espressione di Berlusconi. Pollice verso dunque e ipotesi tramontata, perché il duo Bazoli-Passera è un polo attorno al quale si raggruppano importanti azionisti.

    Il secondo scenario per un eventuale dopo Mieli si chiama Roberto Napoletano. L'attuale direttore del Messaggero di Roma ed ex vicedirettore del Sole 24 Ore ha il suo principale sponsor nel ministro dell'Economia, Giulio Tremonti. Ma è riuscito ad assicurarsi appoggi anche nella parte politica opposta: si è speso per lui (con una telefonata a Bazoli) l'ex presidente del Consiglio Romano Prodi, fra l'altro collaboratore-editorialista dello stesso Messaggero. E fra i suoi estimatori bisogna citare ancora l'ex presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi. Però chi più di tutti vedrebbe con favore la sua ascesa fino in via Solferino a Milano è il suo attuale editore, Francesco Gaetano Caltagirone. Il che è paradossale, ma apparentemente. Si spiega così: soltanto una piccola parte del cuore di Caltagirone palpita per l'editoria, quella principale batte tutta e forte forte per il cemento e le costruzioni, core business del suo gruppo da sempre. Ora succede che a Milano, con l'Expo 2015, si dovrà costruire di tutto e di più. Sono in gioco affari per miliardi di euro e per assicurarsene una fetta avere un amico alla direzione del Corriere non sarebbe un handicap.

    A parte questa, che è sempre in piedi, secondo le voci ci sono anche altre candidadure. Si è parlato di quella di Carlo Verdelli, ex vicedirettore del Corriere e attuale numero uno della Gazzetta dello Sport, che però è giudicata un po' in ribasso dagli esperti delle segrete cose solferiniane, così come l'altra dell'attuale direttore del Tg1, Gianni Riotta. E' ritornato invece a girare il nome di Ferruccio de Bortoli, ora alla guida del Sole 24 Ore e direttore del Corriere fra il 1997 e il 2003. De Bortoli, che è stato nei giorni scorsi candidato alla presidenza della Rai ma ha rinunciato, ha l'appoggio di molti azionisti di diverso orientamento che lo considerano la soluzione professionale di più alto profilo, anche se politicamente non è di certo filoberlusconiano.
    Ci sono ancora tre scenari che stanno prendendo una qualche consistenza e che vanno riportati per dovere di cronaca. Il primo è quello della prorogatio: siccome non si riesce a trovare un accordo sul successore, Mieli resta al suo posto, per sei mesi, un anno, o anche più.

    E se la sua posizione è oggettivamente indebolita dalle continue voci di sostituzione, pazienza: gli azionisti hanno problemi più urgenti cui pensare. Il secondo è quello dell'accoppiata: non si arriva a un accordo sul nome di un direttore? Se ne fanno due: un direttore che sia una firma di grande prestigio (magari alla Sergio Romano) e un condirettore che abbia in mano il giornale (magari l'attuale vice di Mieli, Dario Di Vico). Infine, ultimo scenario: tutti giù per terra. Non solo viene sostituito il direttore politico del Corriere della sera, ma lo seguono in questo destino anche il presidente della casa editrice, Piergaetano Marchetti, e l'amministratore delegato, Antonello Perricone. Così con tre poltrone da distribuire sarà più facile accontentare un po' l'uno e un po' l'altro. E' un'ipotesi remota perché i tempi sono stretti: tutto dovrebbe essere pronto per la prossima assemblea della società fissata per il 29 aprile. Ma non è un'ipotesi così assurda: da sempre in Italia il potere si spartisce. Perché dovrebbe fare eccezione via Solferino?