Cresce la fronda a Marchionne mentre il boss porta il Multiair in America
Mentre Marchionne è stato oltre Atlantico impegnato in questa operazione, i suoi collaboratori rimasti a casa si sono presi un paio di giorni di respiro. L'amministratore delegato è un ottimo manager, nessuno lo discute, ma è un tiranno. Stare qualche giorno senza vederlo girare per i corridoi con il suo fare imperioso non dispiace ai manager del Lingotto.
Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat, ha fatto un viaggio lampo a Washington per discutere con le autorità federali e i vertici della Chrysler l'alleanza che dovrebbe portare la casa torinese ad acquisire, a costo zero, il 35 per cento di quella di Detroit. Nella sua Borsa assieme a tutta la documentazione del caso, c'è anche il dossier Multiair, il nuovo motore taglia consumi che dovrebbe costituire un atout nel negoziato: il presidente Barack Obama ha detto che concederà aiuti soltanto ai produttori che sapranno lanciare auto con una forte vocazione al risparmio energetico. E il Multiair, stando a quanto assicurano a Torino, sembra fatto apposta per soddisfare le pretese della Casa Bianca. E' una dote più che apprezzabile da portare alla sposa americana che invece è priva di queste tecnologie. Dunque sotto la Mole si aspettano buone notizie dalla trasferta statunitense del loro numero uno operativo.
Mentre Marchionne è stato oltre Atlantico impegnato in questa operazione, i suoi collaboratori rimasti a casa si sono presi un paio di giorni di respiro. L'amministratore delegato è un ottimo manager, nessuno lo discute, ma è un tiranno. Stare qualche giorno senza vederlo girare per i corridoi con il suo fare imperioso, sempre lì con il fiato sul collo di tutti a chiedere, sollecitare, dare ordini categorici non dispiace ai manager del Lingotto. Come dice il proverbio, quando il gatto non c'è i topi ballano. E in questi giorni a Torino lo fanno anche perché il gatto, secondo alcuni, ha perso un po' dei suoi artigli, del suo scatto felino. Fuori dalla metafora: le cose vanno male per tutti i costruttori di auto del mondo e ovviamente anche per la Fiat.
Basta guardare il titolo, sceso in pochi mesi da 24 euro a circa 4, il calo delle vendite, la crescita della cassa integrazione. Tempi duri anche per super Sergio. E i manager che per anni ne hanno subìto le intemperanze, ora molto discretamente si prendono qualche piccola rivincita. Debolezze umane. Per esempio, mentre era a Washington si sono chiesti se Marchionne indossi il maglione negli incontri ufficiali con l'amministrazione come ormai fa sistematicamente in Italia e non solo in azienda, ma anche nelle occasioni pubbliche. Più in generale si domandano se poi sia davvero una grande trovata questa moda ultracasual da lui introdotta e da tutti lodata (da loro, ossequiosamente, per primi) o non sia soltanto una stravaganza di un manager che sull'onda del suo straordinario successo si concede tutto quello che gli viene in mente.
Il tema del maglione sì-maglione no non ha ovviamente importanza. E' significativo però per un fatto: mai in passato i manager Fiat si sarebbero permessi qualche commento negativo sul capo. Ora invece lo fanno e in capannelli nemmeno troppo ristretti. I giudizi non entusiastici vanno ben oltre l'abbigliamento, ma si estendono ai temi della gestione, delle scelte strategiche, delle ricette per affrontare la crisi. Succede così, da sempre, in tutte le aziende quando arrivano i problemi veri. E succede anche alla Fiat.
Con una certa intensità che sa quasi di fronda, tanto che qualcuno, mettendo insieme questi mormorii, i crescenti impegni dello stesso Marchionne nell'Ubs (la banca svizzera in difficoltà della quale è vicepresidente non esecutivo) e alcuni altri indizi, è arrivato a ipotizzare un rimescolamento dei vertici non lontano.
Ipotesi che non regge. Nell'intervista al Sole 24 Ore del primo marzo, Andrea Agnelli, figlio di Umberto e azionista al 10 per cento della cassaforte che custodisce il pacchetto di controllo della Fiat, ha detto che il vertice rimane com'è: Luca Cordero di Montezemolo è stato confermato alla presidenza e Marchionne è stato paragonato al mitico Vittorio Valletta: “Marchionne è qui – ha detto Agnelli – e credo che rimarrà qui”. L'ipotesi è smentita anche dalle circostanze. Un grande gruppo industriale non può cambiare il top management proprio nel pieno di una trattativa come quella con la Chrysler. Sarebbe autolesionistico, soprattutto se si pensa che sullo sfondo si profila, oltre a quella americana, una grande alleanza europea resa indispensabile da questa crisi così dura. Il nome che circola con più insistenza è quello della francese Peugeot.
Questo negoziato se si aprirà davvero (e la maggioranza di esperti propende per il sì) dovrà ovviamente vedere la delegazione italiana guidata da un vertice che nella sua collegialità abbia pienamente in mano l'azienda, cosa impossibile se venisse rimaneggiato. Agli eventuali negoziati parteciperanno (e sedendo al volante, visto che entrambi sovvenzionano il settore) i governi italiano e francese. Un aiuto alla trattativa, così come il Multiair sta facendo in quella americana, potrà venire dall'atomo. In questo senso: l'Italia ha appena annunciato che costruirà quattro centrali nucleari in una joint venture con la Francia; a distanza di poche ore la tedesca Siemens ha invece comunicato la rottura dell'alleanza con la francese Areva proprio nel settore nucleare. Le geoeconomia è composta da tanti elementi. A volte atomi e auto possono seguire percorsi invisibili ai più, ma che si incontrano.


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