Un laico che ha dubbi

La vulnerabilità del cristianesimo tra tecnoscienza e biopolitica

Roberto Volpi

Il nostro è un ben strano paese. Se appena giro lo sguardo, vedo un laico che ha dubbi, non si capacita, non accetta. Non gli va che Eluana sia morta com'è morta. Magari, quando la cosa è cominciata, aveva un altro pensiero, ma poi ci ha riflettuto meglio, l'andamento della vicenda ce lo ha costretto, e ha rivisto i suoi giudizi, le sue posizioni, vacilla, non sa, s'interroga.

Leggi gli interventi di Ventorino e Introvigne - Leggi gli interventi di Veneziani e Barbieri - Leggi l'intervista di Giancarlo Cesana a Tempi - Leggi Il cristianesimo si ritrova ora solo e vulnerabile di Giuliano Ferrara

    Al direttore - Il nostro è un ben strano paese. Se appena giro lo sguardo, vedo un laico che ha dubbi, non si capacita, non accetta. Non gli va che Eluana sia morta com'è morta. Magari, quando la cosa è cominciata, aveva un altro pensiero, ma poi ci ha riflettuto meglio, l'andamento della vicenda ce lo ha costretto, e ha rivisto i suoi giudizi, le sue posizioni, vacilla, non sa, s'interroga, la questione della morte non è più né astratta né lontana, per lui. E' diventata una faccenda formidabile che non si liquida così, che non si lascia addomesticare da una casa di riposo presa in affitto come un capannone industriale, una compagnia di giro di volontari della buona morte, un padre che cerca di sovrastare il dolore accentuandone fino all'estremo i tratti ideologici. Se appena giro lo sguardo trovo un cattolico che ha dubbi, ma si capacita e accetta. Non gli va che Eluana sia morta com'è morta, ma pensa che c'è un biglietto da staccare per il progresso e la modernità, che in fondo bisogna inchinarsi alla scienza, che medicina e biologia hanno più diritto, e più conoscenze, per dire l'ultima parola, per far calare il sipario. I cattolici, molti cattolici, pensano di avere un prezzo da pagare, per entrare in sintonia con lo spirito che percorre il presente che viviamo. E lo pagano di buon grado, ormai non accorgendosene neppure più, si inchinano alla biomedicina come al nuovo idolo che non sbaglia, non lo facessero avrebbero il timore di passare per oscurantisti, e Dio ce ne guardi.

    I laici, molti laici, sanno di averlo già pagato quel prezzo e cominciano a tirare qualche somma, a pensare in termini più critici, a vedere medici che stanno su fronti esattamente opposti e che impugnano la medicina, la stessa medicina, per funzioni e con obiettivi esattamente opposti. Sono sempre meno disposti a crearsi dei nuovi idoli. Sulla vicenda e la morte di Eluana il pensiero laico si è spostato nel senso del valore della vita, quello cattolico nel senso della relatività della vita. Curioso ma del tutto intelligibile scambio delle parti: i cattolici credono di dover dimostrare d'essere al passo coi tempi per recuperare il contatto con le persone in carne e ossa, i laici cominciano a pensare d'esserci stati così tanto, al passo coi tempi, da aver dimenticato le persone in carne e ossa. C'è un rimescolamento delle carte, è fuori discussione. Ma il “dopo” Eluana è, grazie a lei, più denso e consapevole e aperto del “prima”, molto di più, incomparabilmente di più. Sol che non lo si lasci evaporare come neve al sole.

    E' ora, è questo “dopo immediato” che può imprimere una svolta in direzione di una concezione umanizzante della morte, e per riflesso anche della vita, dopo che il raggelante soffio della biomedicina, con la complicità di un umanesimo cristiano così sfocato, l'ha rinchiusa nelle camere asettiche degli ospedali, nascosta al mondo, ridotta a evento disincarnato, a specchio lontano e infedele di ciò che è stato. Il nostro è un ben strano paese. Un giorno sì e l'altro pure gli italiani sono accusati, e si autoaccusano con grande generosità, di essere menefreghisti, cinici, indifferenti e caciaroni, capaci di interessarsi veramente soltanto di pallone e del Grande fratello. Poi arriva il caso di Eluana (riposi davvero in pace, povera figliola), che ha avuto il percorso che sappiamo, tutti ne parlano, seguono i telegiornali, ne leggono e ne discutono, alzano la voce, si accalorano e appassionano, parteggiano e non lo nascondono, né se ne vergognano, ed eccoci pronti a saltar su per chiedere il silenzio attorno alla vicenda, la compostezza, il controllo e il rigore delle parole e delle espressioni, atteggiamenti pressoché protocollari. Non capisco. E' civiltà, questa, non il contrario. E' democrazia, è espressione e manifestazione di libertà. Perché spaventa tanto una società che discute con passione e pure con una buona dose di anarchia – ma come potrebbe essere diversamente? – su una questione di una tale rilevanza etica e morale, filosofica e prima ancora sentimentale? Fossimo stati nell'Ottocento una tale vicenda avrebbe partorito grandi e sterminati romanzi, di quelli che fanno palpitare, che tengono il lettore in uno stato di continua tensione, sempre sull'orlo delle lacrime o dell'incazzatura, avvinto dalle vicissitudini dei protagonisti non meno che dalle implicazioni sterminate, praticamente universali contenute in quelle stesse vicissitudini e svelate a mano a mano, col procedere delle pagine: veri e propri trattati, nelle forme digeribili del romanzo, sull'antropologia dell'essere e del divenire.

    Siamo nel Duemila e tutti giù a scandalizzarci dei toni: una dichiarazione di Gasparri e apriti cielo, un gesto di rabbia di Quagliariello e Dio ce ne scampi. Posso non essere d'accordo con Gasparri e Quagliariello, ma perché accusarli di sciacallaggio politico? Perché vedere per forza nella passione civile, quand'è impugnata con foga e quel tanto di fuoco irrazionale ch'essa sprigiona, un atto che non può che rispondere a un calcolo politico, anzi al più spregevole dei calcoli politici, quello che si ripromette di lucrare un vantaggio, appunto politico, da vicende umane così dolorose e delicate come quella di Eluana? Perché un qualunque politico che “sta con Berlusconi” non potrebbe essere sincero, nutrire e manifestare sentimenti semplicemente umani, fare battaglie soltanto perché ci crede, accalorarsi perché impossibilitato a non farlo da quel che gli preme in petto e nel cuore? Non è anche questo un modo di “disumanizzare” l'avversario che non fa onore a chi lo pratica e indebolisce – esso sì – la forza della democrazia e la tenuta democratica di un popolo? Il nostro è un ben strano paese. E' in corso un confronto che non disdegna i tratti e i toni dello scontro tra, per dirla con molto schematismo, concezioni diverse della vita e della morte.

    E c'è subito chi vede in ciò non la fisiologia ma piuttosto la patologia della democrazia italiana e che salta su a gridare al golpe o a mettere in guardia da sbocchi peggio che autoritari. Io non capisco. Ma non è stato proprio Beppino Englaro, e tanti con lui, a volere che così fosse? Che la questione del diritto a una morte diversa da quella che sarebbe stata secondo natura (e sia pure una natura assistita secondo modalità oggi pienamente consuete), quando la natura sembra non riuscire ad arrivare in fondo a quello che pure ha iniziato, uscisse dalla marginalità estemporanea del singolo caso per farsi paradigma delle possibilità interpretative e in un certo senso rivoluzionarie del laicismo moderno, dell'illuminismo del Duemila? E non è forse vero che tutti sapevamo e a maggior ragione sappiamo oggi che così sarebbe stato?, che il caso di Eluana Englaro si sarebbe sciolto nella storia proprio in quanto partiva da un oggi a tal punto indefinito sulla questione cruciale della “problematicità” della morte? Piuttosto, io non so cosa ci sia da cantar vittoria circa ad esempio una presunta “riduzione in cenere” della concezione della sacralità della vita e di tutto quel che può avvicinarglisi che ho sentito e letto in certi commenti.

    E non soltanto perché è decisamente un po' troppo presto per trarre certe conclusioni, ma addirittura per tre ragioni che a me appaiono, magari sbagliando, per carità, piuttosto evidenti: (a) intanto perché un nuovo caso Englaro è destinato a non ripetersi né punto né poco (b) poi perché in giro non c'è il benché minimo sollievo per la morte di Eluana, ma dolore, tristezza, partecipazione, e ciò non si accorda proprio col tramonto di una concezione alta della vita nel “fondo” della coscienza delle persone (c) e infine perché questa morte lascia aperto davanti a tutti un interrogativo che costituisce di per sé un formidabile deterrente verso altre avventure: quale sarebbe il destino di circa tre migliaia di persone in stato vegetativo soltanto in Italia se di colpo venisse meno la concezione della vita non tanto sacra quanto non disponibile e tornasse in auge l'altra concezione, quella di una vita degna di essere vissuta, che ha sprofondato l'umanità nella barbarie e nel più cupo degli orrori?

    Leggi gli interventi di Ventorino e Introvigne - Leggi gli interventi di Veneziani e Barbieri - Leggi l'intervista di Giancarlo Cesana a Tempi - Leggi Il cristianesimo si ritrova ora solo e vulnerabile di Giuliano Ferrara