La guerra di Bob Gates
Ieri il segretario alla Difesa della nuova Amministrazione americana, Bob Gates, è salito al Congresso per l'audizione di conferma davanti ai senatori della commissione Difesa. La scorsa settimana Gates si era perso la festa mondiale per il giorno del giuramento di Obama perché ha passato quelle ore nascosto sottoterra.
Ieri il segretario alla Difesa della nuova Amministrazione americana, Bob Gates, è salito al Congresso per l'audizione di conferma davanti ai senatori della commissione Difesa. La scorsa settimana Gates si era perso la festa mondiale per il giorno del giuramento di Obama perché ha passato quelle ore nascosto sottoterra, “in un bunker in località segreta”: in caso di catastrofe a Washington, sarebbe stato lui a garantire la continuità di comando in America e la risposta delle Forze armate. Gates è anche l'unico politico americano che in questa fase di clamorosa transizione è rimasto al suo posto. Era già il segretario alla Difesa con George W. Bush, scelto dal presidente repubblicano nel 2006 nel mezzo della guerra in Iraq. Gates resta nel suo ufficio al primo piano del Pentagono per un motivo semplice: l'arrivo di Obama promette il cambiamento in molti campi, ma il nemico dell'America è rimasto lo stesso. E dalle sue basi sicure, nelle aree tribali sul confine tra Pakistan e Afghanistan, nella penisola arabica e nel Corno d'Africa, ha già fatto sapere che la guerra non è cambiata: Obama è la prosecuzione del potere americano con un'altra faccia, “è un maggiordomo negro”, come ha detto al Zawahiri, o “un Bush di colore diverso”, come dice un altro comunicato.
Gates, con i capelli bianchi, ex funzionario della Cia – fino a diventarne vicedirettore – si occupa di Asia centrale, Afghanistan e Pakistan da trent'anni. Ieri davanti ai senatori è stato chiaro e secco. L'Afghanistan è “la sfida militare più grande per gli Stati Uniti”. Per questo entro l'estate manderà altre tre brigate, anche se ovviamente la soluzione “non è soltanto militare”. La chiusura di Guantanamo è una decisione con una percentuale di rischio: il cinque per cento dei detenuti liberati è tornato dentro al Qaida. I tempi di ritiro dei soldati americani dall'Iraq sono imprevedibili, potrebbero non essere quelli promessi da Obama, e quindi superiori ai sedici mesi: “Le opzioni sono ancora sul tavolo”. Lo scudo missilistico in Europa non è contro i russi, ma contro la minaccia dei missili iraniani. Gli Stati Uniti sono preparati ad affrontare dal punto di vista militare anche la Cina. E sugli attacchi con missili sul Pakistan, Gates ha detto: “Sia il presidente Bush sia il presidente Obama hanno detto chiaramente che continueranno a colpire i terroristi ovunque essi siano. E continueremo a farlo”. Un'audizione modello.


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