Obama non è più Alice
A differenza dei suoi predecessori, che, come si dice, dedicavano il primo mandato a procurarsene un altro e il secondo per entrare nella storia, Barack Obama il suo posto nella storia se l'è già assicurato. Ora deve trovarlo nella politica e in questo è accompagnato da un'enorme speranza.
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A differenza dei suoi predecessori, che, come si dice, dedicavano il primo mandato a procurarsene un altro e il secondo per entrare nella storia, Barack Obama il suo posto nella storia se l'è già assicurato. Ora deve trovarlo nella politica e in questo è accompagnato da un'enorme speranza, condivisa dalla grande maggioranza degli americani e altrettanto diffusa nel resto del mondo. L'attesa naturalmente è accentuata dalle difficoltà ruvidamente reali che l'America deve fronteggiare nell'economia e da quelle, invece largamente esasperate dai media, della guerra in Iraq. Non è chiaro come Obama intenda utilizzare il consenso che circonda la sua figura e come saprà rispondere alle speranze che ha suscitato e che il Wall Street Journal definisce “opache”, contrapponendo la forza della personalità del nuovo presidente al carattere elusivo dei suoi impegni politici.
Per ora, al di là dell'abilità oratoria di cui ha dato prova nel discorso di insediamento, si può solo prendere atto di una promessa di riduzioni fiscali estese a tutto il ceto medio e di una gestione piuttosto trionfale e spettacolare della cerimonia di avvio del mandato e degli eventi che l'hanno accompagnata. Quelli che hanno criticato le spese eccessive sostenute per l'insediamento e la mancanza di copertura per i benefici fiscali promessi sembrano alludere a una politica basata sul “panem et circenses”, ma dimenticano che l'impero che si resse su questi metodi durò per molti secoli.
Far sentire all'America la propria forza, la propria unità di fondo, la consapevolezza delle immense energie di cui dispone è una condizione non solo psicologica perché assuma pienamente la responsabilità necessaria per affrontare la crisi interna ed esercitare la sua funzione internazionale di guida globale. Se l'investitura faraonica può servire a questo, ben venga. Naturalmente sarà necessario da oggi in poi nutrire questa consapevolezza e questa speranza di scelte concrete e difficili e si vedrà se la scelta di Obama di tenersi le mani libere senza rivelare le sue intenzioni sia una tattica per poter poi decidere in base a conoscenze più approfondite oppure se esprima una incertezza di fondo. E' normale che un presidente cerchi di piacere a tutti, anche se è ovvio che non potrà soddisfare tutte le contraddittorie esigenze che si intrecciano nella generica anche se potente speranza di “cambiamento”, che Obama da oggi non si può limitare a impersonificare ma deve realizzare. Il paese delle meraviglie è alle spalle di Alice.
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