Piazzetta Cordusio

Mediobanca pronta a contare in Unicredit (con Geronzi garante)

Redazione

Lunedì prossimo parte l'aumento di capitale di Unicredit da 3 miliardi. Ma le attese del mercato, e anche di ambienti del gruppo bancario guidato dall'amministratore delegato, Alessandro Profumo, dicono che la ricapitalizzazione non verrà sottoscritta dagli azionisti.

    Lunedì prossimo parte l'aumento di capitale di Unicredit da 3 miliardi. Ma le attese del mercato, e anche di ambienti del gruppo bancario guidato dall'amministratore delegato, Alessandro Profumo, dicono che la ricapitalizzazione non verrà sottoscritta dagli azionisti. L'aumento di capitale è stato deliberato al prezzo di 3,08 euro per azione (fissato lo scorso 5 ottobre). Prezzo giudicato “attraente” dalla relazione degli amministratori, ma contestato dai piccoli azionisti visto che è lontano dalle attuali quotazioni del titolo (ben al di sotto dei 2 euro). L'operazione, comunque, sarà garantita da Mediobanca. In altri termini, le nuove azioni saranno emesse, ma quelle inoptate saranno destinate dall'istituto di Piazzetta Cuccia al servizio di un prestito obbligazionario convertibile da 3 miliardi, già prenotato da un gruppo di investitori istituzionali composto in gran parte dagli azionisti di riferimento del gruppo creditizio. Tra questi, oltre alle Fondazioni, anche i fondi sovrani della Libia (da poco saliti a quasi il 5 per cento del capitale) e la stessa Mediobanca (che dovrebbe sottoscrivere 500 milioni del bond convertibile in azioni).

    Con tutta probabilità è da ricollegare all'eventualità che la banca d'affari presieduta da Cesare Geronzi possa diventare azionista di Unicredit attraverso questa operazione la richiesta che da Mediobanca – secondo le indiscrezioni finanziarie corroborate da fonti bancarie – è partita all'indirizzo di via Nazionale, sede della Banca d'Italia, di salire oltre il 2 per cento nel capitale del gruppo guidato da Profumo (con azioni senza diritto di voto). Anche se non è detto che la preventiva autorizzazione sia stata richiesta soltanto in funzione dell'aumento dei capitale già deliberato da Unicredit. Fonti della presidenza di Mediobanca, sentite dal Foglio, smentiscono.

    Il ruolo di Mediobanca in Unicredit, al momento soltanto di garanzia, va messo di pari passo con l'evoluzione dell'azionariato di Piazzetta Cuccia e con la potenziale ricapitalizzazione degli istituti di credito ad opera del Tesoro. L'incremento al 3,13 per cento della quota detenuta dalla Fondazione Cassa di Verona in Mediobanca è stato letto dagli osservatori come un ulteriore rafforzamento di Geronzi. Non è un mistero che i rapporti tra il presidente della merchant bank e il numero uno della Fondazione veronese, Paolo Biasi, si siano intensificati.

    Ciò può avere sviluppi su due versanti. Da un lato in Generali, dove Biasi nel 2003 aveva ambizioni ma fu bloccato da un regolamento del ministero dell'Economia, retto anche allora da Giulio Tremonti, per una questione di incompatibilità di cariche. Dall'altro le buone relazioni tra i vertici di Cariverona e quelli di Mediobanca fanno presagire alleanze in vista di sviluppi ai piani alti di Unicredit. La Fondazione Cassa di Verona è il principale azionista con il 5 per cento del gruppo bancario. Infatti si rincorrono – mai confermate – le indiscrezioni su manovre più o meno palesi che prefigurano avvicendamenti al vertice dell'istituto di Piazza Cordusio, con una girandola di nomi per la successione a Profumo che vedono tra i più accreditati Alberto Nagel, attualmente amministratore delegato di Mediobanca. Ma su questo, nei pour parler anche recenti tra i big bancari coinvolti direttamente o indirettamente, non è emersa un'unità di intenti tra le maggiori fondazioni azioniste della banca capitanata da Profumo.

    Effetti indiretti, anche su questo fronte, potranno arrivare con l'intervento statale. A giorni è atteso il regolamento attuativo del decreto anticrisi che prevede l'irrobustimento patrimoniale degli istituti di credito con l'acquisto di obbligazioni delle banche da parte del ministero dell'Economia. Al di là dei dettagli tecnici ancora da definire (tra cui anche il tasso di interesse), resta un'impressione in ambienti bancari: di fatto, anche per le parole senza perifrasi usate da Giulio Tremonti sui banchieri (“chi fallisce a casa o in cella”), il sostegno statale agli istituti di credito – pur non trasformandosi necessariamente in un'entrata nel capitale sociale – potrebbe essere letto dal mercato come una sorta di sfiducia verso i vertici dei gruppi “aiutati”. Di recente l'economista Alessandro Penati ha scritto su Repubblica: “Se lo stato concede capitali senza porre condizioni al management, fa un regalo a chi ha male gestito; se ne pone, fa entrare la politica nella gestione del credito, garantendo disastri”.