Harold Pinter

Redazione

Quando nel duemilacinque ricevette il Nobel per la letteratura, il Guardian gli dedicò un articolo intitolato “Pause & Effect”, a segnalare che nessuno meglio di lui era riuscito a far tesoro delle pause.

    Franz Kafka ha regalato ai dizionari un solo aggettivo, “kafkiano”, sciaguratamente adoperato anche per situazioni da lunga attesa dell'autobus, meglio identificabili come “fantozziane”. Samuel Beckett genera “beckettiano”, che conserva qualche dignità. Harold Pinter batte entrambi. Siamo sicuri che in cuor suo un po' di soddisfazione l'ha provata, leggendo nell'Oxford Dictionary parole come “pinteresque” e “pinterishness”, entrambe ricavate dai suoi drammi: un miscuglio di silenzi e di battute scarne, pronunciate da personaggi indecifrabili, mentre incombe sul palcoscenico un senso di oscura minaccia. Quando nel duemilacinque ricevette il Nobel per la letteratura, il Guardian gli dedicò un articolo intitolato “Pause & Effect”, a segnalare che nessuno meglio di lui era riuscito a far tesoro delle pause. Per questo fu osannato, messo in scena ovunque, salutato come il più audace commediografo britannico del secondo novecento.
    Il tocco di Harold Pinter, che era figlio di un sarto ebreo e aveva cominciato come attore scespiriano, si riconosce perfettamente nell'ultima sceneggiatura. Kenneth Branagh gli affidò “Sleuth - Gli insospettabili”, perfetto meccanismo teatrale di Anthony Schaffer (già girato nel 1972 da Joseph Mankiewicz, con Laurence Olivier e Michael Caine). Una storiaccia di gelosia maschile, con sfumature di omosessualità che Pinter rese esplicite, confermando la più universale tra le leggi che governano i rapporti tra avanguardia e cultura popolare: la prima nasce vecchia, la seconda resiste e risplende a distanza di decenni.

    Mezzo secolo è passato dal Pinter più pinteresque, che tra la fine degli anni Cinquanta e l'inizio dei Sessanta firmava “Il calapranzi”, “Il compleanno”, “I guardiani”, “Ritorno a casa”. Negli stessi anni cominciò a scrivere per il cinema. Primo grande successo, “Il servo”, sceneggiato per Joseph Losey da un romanzo di Robin Maugham, nipote di William Somerset. A teatro gli servì più tempo per diventare un intoccabile monumento. Negli ultimi anni, già molto malato e più arrabbiato che mai, riscoprì l'impegno che gli aveva fatto rifiutare in gioventù il servizio militare. Diede a Tony Blair dell'idiota. Scrisse “Poesie d'amore, di silenzio, di guerra” (Einaudi) dilettantistici versi sull'invasione dell'Iraq e gli americani assassini.