Il film del Babbo Natale delle armi è alla pausa pop corn

Redazione

Qualche anno fa, per sapere che faccia avesse, bisognava mettere le mani su un vecchio passaporto con il timbro dell'Unione Sovietica. Oggi la sua foto è su tutti i giornali del mondo. Maglia arancio, manette ai polsi, sguardo distante. Viktor Bout è il Signore della guerra, il più grande trafficante d'armi degli ultimi cent'anni.

    Bangkok. Qualche anno fa, per sapere che faccia avesse, bisognava mettere le mani su un vecchio passaporto con il timbro dell'Unione Sovietica. Oggi la sua foto è su tutti i giornali del mondo. Maglia arancio, manette ai polsi, sguardo distante. Viktor Bout è il Signore della guerra, il più grande trafficante d'armi degli ultimi cent'anni. La polizia lo ha catturato a marzo in una stanza del Sofitel di Bangkok, in Thailandia, mentre trattava con due agenti della Cia camuffati da soldati delle Farc. Come in un film di Hollywood, ma niente effetti speciali. Lunedì è comparso di fronte ai giudici nel processo per cospirazione e traffico di armi. Pantaloni corti, calze di spugna e risposte rapide: “Non ho commesso alcun crimine. Non sono un terrorista. Mi hanno incastrato perché gli Stati Uniti non vogliono che la Thailandia abbia rapporti con la Russia”.

    Bout è il prototipo dell'imprenditore globale. E' discreto, ben educato, ha il senso degli affari e parla cinque lingue. Non ha biografie ufficiali, la sua storia è una matrioska. Il passaporto dice Bout, Viktor, nato a Dushanbe, Tagikistan, nel 1967. Oppure ad Ashgabat, in Turkmenistan, come ha detto durante un'intervista a una radio russa nel 2002, o in Ucraina, come risulta da un rapporto dei servizi segreti sudafricani. Il nome è soltanto un'etichetta da inserire o togliere a seconda dei casi e lui ne ha avuti tanti. Vadim S. Aminov, Victor Anatoliyevitsch Bout, Victor S. Balkunin, Victor Butt. A marzo, quando lo hanno preso, il New York Times gli ha messo alle costole sette reporter: uno in Russia, uno in Inghilterra, tre negli Stati Uniti e uno in Thailandia. Con poca fortuna. Hanno scoperto soltanto che ha una moglie, forse anche una figlia, che vive a Mosca e che il fratello maggiore, Sergei, lavora nella società di famiglia.

    Dal Congo all'Afghanistan

    La “società” è una multinazionale senza nemici. Per i clienti più affezionati, Bout è “il postino”, uno capace di trasportare qualsiasi tipo di merce in qualunque parte del pianeta. Negli anni Novanta è in affari con il leggendario Ahmed Shah Massoud, il leone dell'Afghanistan, comandante dell'Alleanza del nord, ma allo stesso tempo vende armi ai talebani. Sostiene il governo dell'Angola e i ribelli dell'Unita (Unione nazionale per l'indipendenza dell'Angola), manda un aereo nella giungla per salvare la vita a Mobuto Sese Seko, dittatore dello Zaire, ma pochi mesi prima aveva fornito armi e munizioni ai paramilitari che lo volevano morto. Serve il regime liberiano di Charles Taylor, spodestato da una rivolta pacifica nel 2005, i guerriglieri delle Farc e il colonnello Gheddafi. I suoi Antonov volano sui cieli di Baghdad dopo la caduta di Saddam ma portano pure gli aiuti dell'Onu alle popolazioni colpite dallo tsunami del 2004. Al contrario dei concorrenti – che coprono soltanto mercati regionali, scrivono Douglas Farah e Stephen Braun nel libro “The Merchant of Dead” – gli aerei di Bout riescono ad atterrare ovunque con i loro carichi segreti e proibiti.
    Bout è un figlio dell'Unione Sovietica, ha studiato a Mosca ed è entrato presto nell'esercito. Ha lavorato per il controspionaggio in diversi paesi europei (secondo Farah e Braun, avrebbe vissuto a Roma dal 1985 al 1989 al servizio del Kgb). Quando il comunismo crolla rimane senza lavoro e comincia la sua nuova carriera. Grazie ai rubli dell'intelligence russa acquista alcuni Antonov destinati alle discariche e arruola vecchi commilitoni. E' l'inizio del business. Bout ha soltanto 25 anni ma possiede già una piccola flotta di cargo con base in Danimarca che viaggiano senza sosta verso l'Africa e il medio oriente. I primi carichi sono pistole che provengono dagli arsenali russi; l'instabilità delle Repubbliche uscite dal blocco sovietico gli permette di mettere le mani su razzi, granate e carri armati. Gli aerei di Bout non hanno sigla di riconoscimento e passano dai registri della Liberia a quelli della Guinea ogni volta che le autorità internazionali provano a indagare sul suo conto. I voli partono da un piccolo aeroporto nel deserto degli Emirati, da una città che si chiama Sharija, diventata zona di libero scambio nel 2005. A quel tempo, gli Emirati, il Pakistan e l'Arabia Saudita sono gli unici paesi che riconoscono il governo talebano in Afghanistan. Kabul diventa una delle mete preferite per gli Antonov di Bout. Secondo l'intelligence americana, i guerriglieri islamici avrebbero pagato al mercante russo più di cinquanta milioni di dollari per i suoi servizi. Lui ha sempre negato: nel 2002, mentre i tribunali di mezzo mondo gli davano la caccia, ha rilasciato un'intervista a una radio di Mosca per proclamare la propria innocenza. “Non ho mai avuto rapporti con i talebani. Queste accuse sembrano uscite dalla sceneggiatura di un film”.
    Deve averci pensato anche l'attore americano Nicolas Cage, che ha basato il film “Lord of War” proprio sulla figura di Viktor Bout, uno che ha il fiuto per gli affari e conosce sempre il modo di cavarsela. Quando non ci sono guerre da nutrire, eccolo al servizio delle Nazioni Unite per gli aiuti umanitari ai paesi colpiti dallo tsunami del 2004, oppure al lavoro con i contractor americani arrivati a Baghdad dopo la caduta del regime iracheno di Saddam Hussein. Nel 1994 trasporta i soldati francesi in Ruanda, nel 2000 i negoziatori internazionali diretti nelle Filippine per ottenere il rilascio di alcuni turisti europei rapiti dai terroristi di Abu Sayyaf. Ma il business più grande della multinazionale è in Sudamerica, nelle foreste delle Farc, al confine tra Colombia ed Ecuador, dove porta armi in cambio di droga da piazzare sui mercati di tutta Europa.

    Carne di pollo e aerei da guerra

    Gli americani lo hanno incastrato fingendo di essere guerriglieri colombiani in cerca di esplosivo, lanciarazzi, fucili automatici e missili terra-aria. La polizia lo ha preso in un albergo a cinque stelle di Bangkok, dov'era giunto con un volo dell'Aeroflot. Il governo degli Stati Uniti chiede la sua estradizione ma le autorità thailandesi non hanno ancora concesso il nulla osta. A Bangkok rischia l'ergastolo, una corte di New York lo vuole processare assieme al suo contatto americano, un uomo d'affari con il passato sporco di nome Andrew Smulian che si trova già in un carcere americano. A Mosca dicono di non sapere neanche chi fosse: circostanza strana, dato che viveva in uno dei quartieri più lussuosi della città. Per la Cia, Bout è stato per anni il principale fornitore di armi delle Farc, di al Qaida e di numerosi regimi africani. La caccia al Signore della guerra è diventata più intensa quando il governo di Bogotà ha accettato l'aiuto degli investigatori americani per combattere i terroristi. Negli ultimi mesi, i vertici dell'organizzazione sono stati distrutti grazie alla cattura e all'uccisione dei suoi leader più carismatici. Bout è entrato nelle liste nere del dipartimento del Tesoro nel 2004: le rivelazioni di Smulian avrebbero aiutato Washington a congelare una parte del suo tesoro, 6 miliardi di dollari seminati su conti bancari di mezzo mondo.
    Non è un caso che la sua avventura sia finita proprio sulle spiagge dell'Oceano indiano: qui la mafia russa ha messo radici profonde, ragazze uzbeke e kazake ballano nei locali notturni riservati ai clienti venuti da Mosca. Molti pensano che i servizi russi abbiano avuto un ruolo determinante nella cattura di Bout perché il Cremlino cerca di entrare nel mercato asiatico delle armi ormai da anni. A fine ottobre, l'agenzia Rosoboronexport ha chiuso un affare da nove milioni di dollari con il governo thailandese. Non sono cifre da capogiro, ma è la prima volta che Mosca riesce a rompere il monopolio dell'industria americana in un paese della regione. La commessa riguarda tre elicotteri Mio-17 modificati per uso civile.
    I contatti fra l'agenzia russa degli armamenti e la Thailandia risalgono agli anni Novanta. Nel 2003, l'allora presidente, Vladimir Putin, mette la firma su uno scambio particolare: trentasei milioni di dollari in riso thailandese in cambio di tecnologia spaziale. L'anno successivo cerca di piazzare dodici caccia Su-30 Mki in cambio di carne di pollo, ma l'affare salta all'ultimo momento. E' la stessa strategia usata dal Cremlino per aumentare la propria influenza in medio oriente e in Asia centrale. Non avete soldi per acquistare le nostre armi? Nessun problema, dateci ciò che avete: riso, petrolio, gas naturale. Se non avete nulla non dateci alcunché, faremo i conti più tardi.

    L'industria russa degli armamenti è in piena espansione. La crisi dell'economia ha colpito Mosca più di qualunque altra capitale europea, ma non ha impedito al Cremlino di concedere al settore un budget di 35 miliardi di dollari per il biennio 2009-2011. Putin ha annunciato con orgoglio la decisione all'inizio della settimana. Pochi giorni fa, il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha regalato all'aviazione libanese dieci Mig 29, un dono improvviso che ha sollevato le critiche di Israele e degli Stati Uniti. Il business riguarda anche Siria e Iran, che sono in trattativa per acquistare missili Iskander e un sistema di difesa S-300. Washington segue con grande attenzione gli affari pericolosi di Rosoboronexport, che controlla il 98 per cento delle armi prodotte in Russia. Da due mesi l'agenzia sconta le sanzioni decise dalla Casa Bianca per colpa di una partita di missili ceduta all'esercito iraniano. Secondo il Cremlino sono accuse false (“si tratta di concorrenza sleale”, dice una nota del presidente, Dmitri Medvedev), ma nei giorni scorsi un funzionario del governo di Gerusalemme è volato a Mosca per ottenere chiarimenti. In questo film, Bout parte come tramite e finisce per essere un rivale: con il suo arresto, Roseboronexport ha un concorrente in meno nel sudest asiatico e può allargare il giro d'affari, nonostante le sanzioni dagli Stati Uniti. Il Signore della guerra parla in tribunale e aspetta, manette ai polsi e sguardo distratto. Dice di essere un imprenditore innocuo che ha trovato il modo di far girare bene il suo business. I giudici di Bangkok prendono tempo prima di consegnarlo agli americani. Forse questa è soltanto la pausa pop corn.