Casa Saddam
“Come i Soprano, con i missili Scud”, ecco la serie tv sull'ex dittatore di Baghdad e famiglia
Cose da un altro mondo. Almeno per noi, abituati come siamo alle vite dei santi, ai campioni di ciclismo, alle commesse, alle amiche, ai distretti di polizia, ai medici in famiglia.
Cose da un altro mondo. Almeno per noi, abituati come siamo alle vite dei santi, ai campioni di ciclismo, alle commesse, alle amiche, ai distretti di polizia, ai medici in famiglia, a qualche musicista o pittore, gli unici che possono allontanarsi un pochino dalla retta via. Quando spunta una serie come “Crimini bianchi”, viene cancellata perché ansiogena, senza che nessuno obietti: sarà la malasanità a mettere ansia, o la scrittura sciatta? (Non pare infatti che “Dr. House” turbi i sonni di nessuno).
La BBC, assieme alla HBO, ha prodotto una miniserie su Saddam Hussein. Senza preoccuparsi né del poco tempo passato dalla morte del tiranno, né del fatto che allo spettatore potrebbe andar di traverso l'oliva del Martini, né dei pacifisti che si chiamano così perché lasciano i cattivi in pace. Le quattro puntate – dirette da Alex Holmes che le ha scritte con Stephen Butchard, dopo molte interviste a testimoni, studiosi e servitù – sono andate in onda a luglio in Inghilterra, con un certo successo di pubblico e di critica. Gli spettatori americani hanno cominciato a vedere “House of Saddam” dal 7 dicembre, attratti da un manifesto che mostra il dittatore e la sua famiglia in una composizione di poltrone dorate, capelli cotonati, completi bianchi con calze e scarpe scure (più divise militari e bandiere) a metà tra “Dallas” e “La febbre del sabato sera”. Sul sito della HBO, una fotografia ancora più affollata, con la scritta Inner Circle, presenta i personaggi della saga. Chiaro fin dall'inizio il tipo di legalità vigente in Iraq, appena Saddam ebbe il potere: “Non parlarmi della legge. Legge è quel che io scrivo su un pezzetto di carta”.
“'I Soprano' con i missili Scud”, commentò Thomas Sutcliffe, critico televisivo dell'Independent. Nel piccolo mondo italico dove “I Soprano” sono considerati diseducativi perché criminali e nello stesso tempo simpatici, la frase può scatenare un putiferio, meglio chiarire. Diventato presidente nel 1979, Saddam deve disfarsi dei nemici interni, e li fa fuori esattamente alla maniera di Tony Soprano (o di Scarface, o di qualunque altro gangster): una serie di esecuzioni sommarie, per sgominare tutti gli intrighi di palazzo. Anche in famiglia deve vedersela con qualche problema: figlio ribelle, se non psicopatico, genero sleale, fissazione per mammina degna del peggiore James Cagney. Meno noiosa di un documentario, la miniserie potrebbe far venire qualche dubbio. A chi per esempio (pur non facendo di mestiere lo sceneggiatore di soap), mise in giro la notizia “Saddam in carcere scrive poesie”. Come se quattro brutti versi potessero contare qualcosa, e una rima baciata fosse un segno sicuro di umanità. Per i più cocciuti, non rimane che il Saddam Hussein di “South Park”, disegnato da Trey Parker e Matt Stone: a letto con il diavolo, ogni volta che può.


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