Monotonia democratica
All'indomani della sconfitta al comune di Roma, giunta due settimane dopo quella alle politiche, il Partito democratico riunì il suo “caminetto”. E qui i sostenitori del segretario dissero che se c'erano divergenze nel gruppo dirigente allora occorreva un congresso, sfidando gli avversari interni a farsi avanti.
All'indomani della sconfitta al comune di Roma, giunta due settimane dopo quella alle politiche, il Partito democratico riunì il suo “caminetto”. E qui i sostenitori del segretario dissero che se c'erano divergenze nel gruppo dirigente allora occorreva un congresso, sfidando gli avversari interni a farsi avanti. Walter Veltroni non sposò la linea del congresso anticipato e non se ne fece nulla, ma i suoi seguaci continuarono a sostenerla. E così si arrivò alla prima riunione della direzione, circa un mese dopo: con i veltroniani a dire che occorreva comunque un chiarimento e, se il congresso non lo si voleva, allora Veltroni si sarebbe presentato con una relazione fortissima, tutta all'attacco, e su quella avrebbe preteso un voto impegnativo; con gli altri, a cominciare da Pierluigi Bersani, che parevano decisi a raccogliere la sfida, facendo così crescere l'attenzione attorno alla riunione, dalla quale molti pronosticavano sarebbe nata la candidatura di Bersani contro Veltroni.
Finì con Veltroni che faceva una relazione tutta sull'importanza delle tessere e delle alleanze, e Bersani che nemmeno prendeva la parola (o forse la prendeva, ma nessuno se ne accorgeva). Insomma, con un accordo tra gentiluomini. Peccato che dal giorno dopo si ricominciasse da capo. Stavolta l'arena dello scontro, si diceva, sarebbe stata l'assemblea costituente di giugno. Anche lì, riportava la stampa, ci sarebbe stato il chiarimento definitivo per gli uni, il grande assalto per gli altri. Una relazione impegnativa messa ai voti, un segretario pienamente rilegittimato, i dalemiani ricacciati in un angolo; anzi no: un segretario sotto processo e i dalemiani trionfanti. Finì come la riunione precedente. Pertanto, con la direzione del prossimo 19 dicembre, preceduta come vuole la prassi prima dalla minaccia di un congresso e poi dalla richiesta di un “voto di fiducia” sulla relazione del segretario, siamo già alla terza replica. Facile prevedere che dallo scontro non resterà in piedi nessuno, perché si addormenteranno tutti. E poi, suvvia, è Natale.


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