Il mark to market
Tutta colpa di una regoletta: il mark to market. Ossia “valutare secondo il mercato” le attività e le passività finanziarie, tenendo quindi conto dei prezzi correnti.
Tutta colpa di una regoletta: il mark to market. Ossia “valutare secondo il mercato” le attività e le passività finanziarie, tenendo quindi conto dei prezzi correnti. Un principio contabile “sacrosanto”, secondo l'economista Luigi Zingales, ma “che ha contribuito a creare la bolla finanziaria”, dice l'ex ministro Francesco Forte: “Con il mark to market si sono sopravvalutati i valori patrimoniali delle banche, consentendo alle banche di espandere il credito”. Esempio: più credito a bassi tassi ha indotto ad acquistare case; con l'aumento della domanda i prezzi delle abitazioni sono cresciuti; i titoli legati al mattone sono stati valutati nei bilanci in maniera crescente. “Ma il mark to market non è idoneo alle stime dei beni di investimento. E' giusto invece che valga per i beni di magazzino o di trading”, spiega Forte.
Ha scritto Zingales, il primo fra gli economisti in Italia a chiedere due giorni dopo il fallimento di Lehman la sospensione della regola: “Perdite puramente contabili hanno effetti devastanti: in media una riduzione nel valore dell'attivo del 2 per cento si traduce in una diminuzione del capitale del 24 per cento”. Ovvero: dalla bolla allo sboom. Aggiunge Guido Rivolta, direttore del settimanale Borsa&Finanza: “Non dimentichiamo che l'inflazione dei prezzi delle attività in portafoglio serviva a esibire profitti di carta e a far ottenere grassi bonus a supermanager i cui stipendi erano legati agli utili gonfiati per la bolla”. Non tutti però hanno condiviso l'opportunità di non applicare più il principio: “Se il mark to market era popolarissimo quando le cose andavano bene, si giustifica un trattamento asimmetrico quando le cose vanno male?”, si è chiesto l'economista Luigi Spaventa. Alla domanda, sia in America sia in Europa, è stato risposto di sì. Risultato: gli Stati Uniti hanno sospeso da un mese la regola per i titoli di mercati “sotto stress”. In Europa, su indicazione dell'Ecofin, lo Iasb (l'Autorità competente sulle materie contabili) ha seguito la stessa strada a metà. Dice al Foglio Giampaolo Galli, direttore generale dell'Ania (assicurazioni), ed ex dg di Confindustria: “Rimangono ambiguità anche dopo il documento dello Iasb del 31 ottobre per tutti gli strumenti finanziari, tipicamente azioni e obbligazioni quotate, per i quali esistono mercati attivi che esprimono prezzi, ancorché molto distorti”.
La situazione in Europa è confusa. Galli si limita a dire: “Al momento non ci sono criteri comuni. Ci sono soluzioni diverse per valutare stessi asset. La questione è lasciata ai rapporti tra aziende e revisori”. Il direttore generale dell'Ania non vuole aggiungere altro. Ma una fonte del sistema bancario, sotto anonimato, chiarisce il quadro: “Siamo al caos contabile. Le aziende, specie quelle finanziarie, brancolano nel buio. Le ultime trimestrali sono un rebus, non sono confrontabili. La situazione è allarmante. Se non c'è confrontabilità certa tra le medesime poste di bilancio tra tutte le società, la trasparenza latita. E' pazzesco, ma è la realtà”. Ha scritto due giorni fa Alessandro Graziani sul Sole 24 Ore: “Senza la temporanea sospensione dei principi Ias, Alessandro Profumo non avrebbe potuto chiudere il terzo trimestre di Unicredit con l'utile annunciato. E peggio avrebbero fatto Intesa, Deutsche Bank e altri giganti”.
Al momento, dopo la sospensione del mark to market, la situazione è la seguente. Qualche esempio. Un'obbligazione non quotata va valutata al costo storico (o a quello che era indicato al primo luglio). Un'obbligazione quotata dev'essere valutata al 50 per cento al costo storico e al 50 per cento al costo non storico. Ancora più incerto il metodo per le azioni: per i titoli che fanno parte di un “mercato sotto stress” bisogna basarsi sul “valore fondamentale”. E come si calcola? “Boh. Aspettiamo di avere indicazioni precise dallo Iasb”, risponde al Foglio un esperto di contabilità di un gruppo finanziario che non vuole essere citato.


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