Il presidente del Piano Marshall, dell'Onu e della Nato è stato (dopo un po') rivalutato da tutti

Il precedente di Harry Truman

Redazione

"Io sono Truman e tu sei Ike Eisenhower: ora mi critichi, ma finirai per portare avanti le mie idee”. Così diceva, poco più di un anno fa, George W. Bush a Hillary Clinton. La previsione non s'è avverata, ma su una cosa il presidente americano continua ad aver ragione: in tanto, se non in tutto, la sua parabola politica assomiglia maledettamente a quella di Harry Truman.

    "Io sono Truman e tu sei Ike Eisenhower: ora mi critichi, ma finirai per portare avanti le mie idee”. Così diceva, poco più di un anno fa, George W. Bush a Hillary Clinton. La previsione non s'è avverata, perché alla fine la nomination democratica l'ha ottenuta Barack Obama e non l'ex first lady, ma su una cosa il presidente americano continua ad aver ragione: in tanto, se non in tutto, la sua parabola politica assomiglia maledettamente a quella di Harry Truman. Come Truman, Bush ha vinto un'elezione contro tutti i sondaggi. Nel '48 era talmente certa la vittoria del repubblicano Thomas Dewey che il Chicago Tribune ci fece uno storico titolo di prima pagina, sbagliando previsione. Nel 2004 è stato Bush a battere John Kerry contro (quasi) tutti i pronostici. Come Truman, Bush ha registrato – negli ultimi tre anni – un vertiginoso calo di popolarità dovuto all'opposizione al proseguimento della missione in Iraq, nonostante i successi del generale Petraeus, e all'esplosione della crisi economica, oltre al caso Katrina. Più o meno gli stessi motivi che indussero Truman, nel 1952, a non ricandidarsi alla presidenza, dopo il primo mandato pieno (nel '45, morto Roosevelt, gli era subentrato in quanto suo vice) perché il suo piano per l'economia (il Fair Deal) e la guerra di Corea gli avevano alienato le simpatie dell'elettorato, come dicevano i sondaggi Gallup, appena nati.

    Come Truman, Bush è stato molto amato, tanto da ottenere un consenso del 92 per cento dopo l'11 settembre; il presidente democratico, finita la Seconda guerra mondiale, era ben visto da 87 americani su cento. Le analogie tra i due non si esauriscono con i numeri dei sondaggi e nemmeno nella scelta – determinante per il giudizio dei contemporanei – di intraprendere guerre impopolari. Il fatto stesso che Bush ami richiamarsi a Truman, che pure era un democratico, è indicativo. Nel suo predecessore, il presidente repubblicano vede innanzitutto un precursore della sua dottrina fondata sulla “libertà dei popoli”. Con la differenza che a minacciarla, allora, era il comunismo, mentre adesso il pericolo è rappresentato dal terrorismo islamista che nell'ultimo decennio ha colpito duramente l'occidente a casa sua, da New York a Londra. In questo senso, richiamarsi a un presidente capace – in poco più di un mandato – di vincere una guerra mondiale, fondare l'Onu e pure la Nato, varare il piano Marshall e iniziare il percorso politico che pose fine alla segregazione degli afroamericani è sintomo della volontà di essere ricordato più come statista scomodo che come un politicante inconcludente e amato dalla folla.

    Resta da capire se – come accaduto con Truman, da tempo considerato tra i migliori dieci presidenti nella storia degli Stati Uniti – i posteri tenderanno a rivalutare anche l'operato di Bush. Gianni Riotta, direttore del Tg1, esperto di cose americane, dice al Foglio che “il paragone è difficile, anche se suggestivo. Forse, come diceva poco tempo fa in copertina Foreign Policy, ‘il cowboy ci mancherà', dubito però che i posteri possano rivalutare Bush così tanto. Che sia stato il presidente più impegnato per l'Africa probabilmente non basterà a rovesciare il giudizio dei contemporanei, soprattutto in Europa. Ma è pur vero che gli europei odiavano persino Reagan”. Per Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni internazionali all'Università Cattolica di Milano, “la differenza tra i due è nelle rispettive dottrine. Quella di Truman si rivelò subito efficace. Quella di Bush no. E poi Truman pagò in termini di popolarità la soluzione di grandi problemi. Il presidente uscente, al contrario, lascia più questioni irrisolte che altro”. Chi invece è convinto che un “effetto Truman” ci sarà è Nile Gardiner, dell'Heritage Foundation: “Gli storici e le generazioni future – spiega al Foglio – riconosceranno a Bush il successo strategico nella lotta all'islamismo in nome della libertà e della democrazia. Quello che oggi lo rende impopolare sarà il suo lascito di statista”.