Le foto delle Università

Calma ragazzi

Redazione

Il corteo-omnibus dei Cobas e dei Cub sotto la pioggia di Roma, con “protagonisti” gli studenti liceali “preokkupati per il futuro”, anche se il famigerato decreto Gelmini non li sfiora nemmeno. Le “notti bianche” di protesta delle maestre francamente oltre misura poiché nessuno le sta cacciando con il forcone dal posto di lavoro.

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    Il corteo-omnibus dei Cobas e dei Cub sotto la pioggia di Roma, con “protagonisti” gli studenti liceali “preokkupati per il futuro”, anche se il famigerato decreto Gelmini non li sfiora nemmeno. Le “notti bianche” di protesta delle maestre, in ansia con qualche motivo in più, ma francamente oltre misura poiché nessuno le sta cacciando con il forcone dal posto di lavoro. Il furbo presidente pugliese Nichi Vendola addirittura pronto a comportarsi “secondo i principi della legittima difesa”, perché “siamo di fronte ad atti che sono violenti nella sostanza e nel metodo”. Dall'altra parte, un ministro della Pubblica istruzione con qualche evidente difetto di comunicazione e con qualche ingenuità nel portare le sue mosse: errore blu quando si gioca a scacchi, e la scuola è una scacchiera minata. A metà strada tra i due fronti, stanno i fatti e i problemi veri. E sono proprio questi la materia incandescente che gli studenti furiosi e le prefiche della scuola in lutto evitano di affrontare: o li ignorano, o li manipolano.

    Andiamo con ordine. La protesta si è dapprima catalizzata su alcuni provvedimenti in realtà marginali – come il ritorno al voto espresso in numeri o il grembiule nelle primarie – e contro altre decisioni, sacrosante ed effettivamente urgenti: vedi il voto di condotta. Ma la vera bandiera della contesa è diventata presto la questione del maestro prevalente. Ed è qui che alle motivazioni della protesta mancano parecchie pezze d'appoggio. Su questo non ha torto il ministro Gelmini, quando dice di trovarsi di fronte a critiche non motivate. Innanzitutto il tempo pieno – che pur essendo importante non è comunque la scelta prevalente delle famiglie italiane – che non verrà toccato. O la lingua straniera, secondo alcuni addirittura abolita mentre non lo sarà; e semmai il taglio degli insegnanti specialisti l'aveva attuato la Finanziaria Prodi nel 2005. In più, con l'entrata in vigore della riforma Moratti l'inglese alle medie passerà da tre a cinque ore. Analoghe approssimazioni per quel che riguarda il presunto taglio selvaggio dei posti di lavoro, e che invece – come è già stato chiarito anche dal premier Berlusconi e come appare ben chiaro ai tecnici – sarà di fatto un corposo blocco del turnover: non ci saranno 87 mila licenziamenti selvaggi.

    Dunque molte delle critiche ascoltate in piazza sono fuori bersaglio, e va anche detto che la Gelmini non avrebbe agito se non sotto la pressione di una duplice urgenza: le indicazioni finanziarie di Tremonti e il dissesto ereditato dal precedente governo, causato dalle sue non-decisioni in fatto di spesa. Ma proprio per questo qualche critica alla Gelmini può essere rivolta. Innanzitutto, perché per lunga tradizione ministeriale i decreti sulla scuola non si annunciano per aprirci dibattiti, ma si rendono attuativi entro il mese di agosto. In secondo luogo, il ministro avrebbe fatto meglio a bloccare il turnover nelle scuole elementari, e ad affidare la questione didattico-pedagogica del maestro prevalente (non propriamente urgente) a una riflessione meno abborracciata di quella consentita da un decreto di fine estate. I suoi sono provvedimenti di natura gestionale ed economica, come lei stessa giustamente rivendica (“chi protesta ci dica dove trovare i soldi per occupare altre centomila persone nella scuola”), questo è il loro pregio e il loro limite. Infine nessuno, neppure la Gelmini, sottolinea gli aspetti migliori e strutturali dei suoi programmi, come la riorganizzazione degli indirizzi di studio nelle scuole tecniche e dei sistemi di reclutamento dei docenti. Diversa la questione dell'università, dove le critiche agli effetti della legge 133 segnalano invece rischi di un malfunzionamento reale. Qui è necessario avere al più presto idee chiare per intervenire in modo strutturale.

    Invece di limitarsi al populismo retorico, una seria opposizione (persino sindacale) dovrebbe piuttosto puntare a incalzare il governo sulla mancanza di un progetto di riforma complessivo. Quella che abbiamo sotto gli occhi, invece, appare la solita protesta ideologica, anzi pavloviana, ingigantita ad arte dai giornali per motivi politici e gradita ai sindacati perché funziona da copertura ideologica a quelle che sono mere difese corporative. E' dal 1968 che gli studenti (e i sindacati) bloccano qualsiasi riforma e tentativo di farne, e qualcuna magari non era nemmeno così tremenda. Ed è l'assenza di qualsiasi riforma ad aver prodotto questa situazione su cui prima o poi qualcuno dovrà mettere le mani d'urgenza. Stavolta è toccato alla Gelmini. “Non pagheremo noi la vostra crisi”, è lo slogan degli universitari del 2008. E invece è proprio ciò che rischiano di fare, loro e i loro pessimi uffici stampa.

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