Oltre Unicredit

Salvi le banche, crolla la Borsa

Redazione

Il banchiere di mercato ha voluto restare fedele a se stesso, ma il mercato che lo aveva portato sugli altari e poi tradito, s'è fatto sospettoso. In un lunedì nero, nerissimo, nelle Piazze di tutta Europa e all'avvio di Wall Street, il titolo Unicredit ha sofferto ancora pene d'inferno (alla fine, meno 5,4 per cento, ma in apertura il tonfo era stato del 13,4 per cento).

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    Il banchiere di mercato ha voluto restare fedele a se stesso, ma il mercato che lo aveva portato sugli altari e poi tradito, s'è fatto sospettoso. In un lunedì nero, nerissimo, nelle Piazze di tutta Europa e all'avvio di Wall Street, il titolo Unicredit ha sofferto ancora pene d'inferno (alla fine, meno 5,4 per cento, ma in apertura il tonfo era stato del 13,4 per cento). Il piano per tamponare la crisi e rilanciare la prima banca italiana non ha convinto gli operatori. Alessandro Profumo ha messo in campo un progetto complesso, il cui scopo è rafforzare il patrimonio, senza un cambio di proprietà e senza ricorrere allo stato. La prima tranche prevede un aumento di capitale pari a 3,6 miliardi, trasformando i dividendi di quest'anno in azioni di nuova emissione. La seconda consiste in un prestito obbligazionario convertibile in azioni, per un totale di circa 3 miliardi di euro, offerto in opzione agli attuali soci (le fondazioni Caritorino e Cariverona sono pronte a sottoscrivere in cambio di “maggiore sensibilità politica”).

    Con queste operazioni, curate da Merrill Lynch e Mediobanca (di cui Unicredit è azionista rilevante), il coefficiente chiamato Core Tier 1 (il rapporto tra base patrimoniale e totale delle attività) salirà dal 5,7 per cento attuale (leggermente inferiore al minimo prudenziale della vigilanza bancaria) al 6,7 per cento, considerato sicuro. Poi, arriverà l'inevitabile cura dimagrante. Verranno cedute partecipazioni nell'est europeo, ma anche pacchetti azionari di lusso in Italia (escluso Mediobanca, quasi certo Generali). Economie fino all'osso quindi, compresi i tagli, ma non ci sono bilanci in rosso, assicurano i vertici (la semestrale presentata nel giugno scorso era tutta rose e fiori) né pericoli di crac all'orizzonte. I contribuenti non pagheranno una lira. I risparmiatori non rischieranno nulla. Allora che cosa indispettisce il totemico mercato?

    Innanzitutto, un sospetto: il management sa esattamente quanti titoli tossici ci sono in tutte le pieghe dei bilanci? E quanti prestiti oggi considerati ragionevolmente sicuri diventeranno a rischio con il progredire della crisi? Ciò vale per l'Italia e ancor più per la Germania. Il collasso di Hypo Re e la crisi immobiliare, il salvataggio amatoriale (a esser benevoli) di Angela Merkel e poi fallito, l'ondata di sfiducia che si diffonde in Europa e colpisce Unicredit, seconda banca tedesca. Profumo ieri ha ammesso “errori” e omissioni. “Abbiamo sottovalutato le condizioni di mercato”, ha detto, iscrivendosi tra i catastrofisti dell'ultim'ora: “E' una crisi che non ha precedenti dal '29”. Allora, è lecito pensare, il mercato fa bene a dubitare che gli interventi siano sufficienti. Intanto, l'intera operazione andrà in porto soltanto a gennaio. Inoltre la crisi sta producendo un processo di iperconcentrazione che lascia in vita ben pochi grandi, giganteschi gruppi bancari. Negli Stati Uniti si contano sulle dita di una mano (JPMorgan, Bank of America, Citigroup e un paio d'altri). In Europa ne resterà qualcuno in più, ma non molti. Qui partono i rumors di Piazza Affari.

    Se il piano d'emergenza non basta, non c'è altra strada che fondere Unicredit. Con chi? Il banchiere di mercato dovrà rivolgersi ai banchieri di sistema. Uno ce l'ha a domicilio: Cesare Geronzi, presidente di Mediobanca, probabile “supervisore” di Generali dalla primavera prossima. In questo caso, si tratta di mettere insieme la banca generalista, quella commerciale e la compagnia di assicurazioni, creando un vero campione europeo, il numero uno della bancassurance. L'alternativa non è molto lontana, appena un tiro di schioppo da piazza Cordusio, quartier generale di Profumo, e si chiama Giovanni Bazoli. Un matrimonio con IntesaSanpaolo porrebbe problemi all'Antitrust (sono i due principali gruppi bancari italiani), ma di questi tempi non si può andare troppo per il sottile. Anche un mercatista indomito come Profumo china la testa di fronte alle ineluttabili leggi schumpeteriane. Per il momento non sono che speculazioni. Ma l'andamento della crisi dà corpo alle ombre. Unicredit ha attorno a sé un sistema di boe. E dove non arriva il mercato, c'è sempre lo stato. Ma finché non sarà chiaro l'approdo, le acque attorno al transatlantico resteranno agitate.

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