Wall Street non morirà socialista/1
L'Ue ringrazi di aver avuto una Bce davvero monetarista, altro che la Fed
Tra inevitabili errori, gli Usa (dove una versione riveduta del piano Paulson verrà presumibilmente approvata) si stanno muovendo non per seppellire, ma per meglio preservare il capitalismo – ivi compreso quello della finanza – da una crisi in cui è la politica ad avere le prime e più gravi responsabilità. È inevitabile che una crisi finanziaria di queste proporzioni appaia una “crisi del mercato”. Invece – e la differenza non è nominalistica – è una crisi nel mercato. Una crisi che segna, innanzitutto, un fallimento dello stato e che ha dimostrato come il potere “pubblico” di regolazione o intervento possa molto spesso rispondere più all'interesse di alcuni player che all'equilibrio complessivo del sistema finanziario.
Tra inevitabili errori, gli Usa (dove una versione riveduta del piano Paulson verrà presumibilmente approvata) si stanno muovendo non per seppellire, ma per meglio preservare il capitalismo – ivi compreso quello della finanza – da una crisi in cui è la politica ad avere le prime e più gravi responsabilità. È inevitabile che una crisi finanziaria di queste proporzioni appaia una “crisi del mercato”. Invece – e la differenza non è nominalistica – è una crisi nel mercato. Una crisi che segna, innanzitutto, un fallimento dello stato e che ha dimostrato come il potere “pubblico” di regolazione o intervento possa molto spesso rispondere più all'interesse di alcuni player che all'equilibrio complessivo del sistema finanziario.
Non è stato “lasciato solo” il mercato, ma i politici “male accompagnati” (e male informati) ad avere scritto, forse senza neppure saperlo, il copione dello spettacolo di cui stiamo scoprendo il finale. Dice bene Guido Tabellini: sui mutui subprime, vogliamo ignorare che a dettare il tono che ha fatto la musica sia stato il progetto dirigista della “casa per tutti” affidato, in primo luogo, ai mutui facili di due banche parapubbliche come Freddy Mac e Fannie Mae? E' il caso americano a stemperare gli entusiasmi sulla ritrovata supremazia della politica sul mercato. Alcuni esempi della recente storia europea stanno lì a dimostrare che quella di fare dello stato il deus ex machina dell'economia rimane, ovunque, una presunzione fatale che i politici, ma non i contribuenti e i cittadini, hanno l'interesse a coltivare.
L'esempio più eclatante riguarda la Bce. Da quando l'euro prese il posto delle monete europee e la Bce lo scettro della politica monetaria, l'EuroTower è stato il principale bersaglio della politica di sinistra – e spesso anche di destra – di tutto il continente. Il rigore monetarista di Francoforte (priorità a inflazione e base monetaria) ha rappresentato per anni il capro espiatorio della scarsa crescita europea, della disoccupazione e della diffusione di sentimenti anti-europei nell'opinione pubblica del continente. “Guardate alla Fed!”, si diceva. L'indipendenza della Bce è stata messa in discussione: ultimo, nell'ordine, era stato l'attuale presidente di turno dell'Ue, Nicola Sarkozy, a guidare il malcontento nei confronti del rigorismo tecnocratico a cui Duisenberg prima e Trichet poi avrebbero piegato la politica monetaria. In America, si diceva, la concretezza yankee fa sì che la banca centrale operi anche e soprattutto per la crescita economica, visto che al controllo dell'inflazione ci pensa, da sola, l'economia in panne. C'è qualcuno che oggi può negare che ad alimentare gli azzardi morali di operatori spericolati sia stata, accanto alla cattiva regolamentazione, anche il denaro offerto a basso costo?
Quei pochi difensori
Siamo stati in pochi in questi anni a “difendere” la Bce. E non per europeismo ideologico. Chi scrive non perdeva occasione per sottolineare che i problemi europei (e, moltiplicati per due, quelli italiani) si chiamavano e continuano a chiamarsi scarsa produttività, bassa mobilità, alta tassazione, sistemi di welfare iniqui e onerosi. Contestando le colpe dell'Europa dei banchieri, si distoglieva l'attenzione dall'eccesso di dirigismo e dai freni corporativi delle economie europee, che richiedevano e richiederanno, come cura, massicce iniezioni di libertà economica. Anziché affrontare i costi politici di riforme in grado di offrire alle imprese un ambiente più favorevole, si è tentata la scorciatoia di un taumaturgico intervento “politico” sulle autorità monetarie di Francoforte. Oggi il clima è mutato: le scelte di Trichet, all'improvviso, da ottuse sono apparse responsabili.
Molti di coloro che per dieci anni hanno fatto pressioni affinché la Bce cambiasse orientamento, oggi salutano la prudente solidità del modello europeo di politica monetaria contrapposto a quello più interventista della Fed. Insomma, la politica europea dovrebbe oggi “festeggiare” la sua sconfitta, non celebrare la sua rivincita! Nel frattempo, noi “amerikani” ci compiaciamo del fatto che proprio la Bce sia stata in questi dieci anni il maggior interprete di quell'ortodossia monetarista e friedmaniana che del liberismo – anzi, direi di una sana economia di mercato – è una componente essenziale.
di Benedetto Della Vedova


Il Foglio sportivo - in corpore sano
Fare esercizio fisico va bene, ma non allenatevi troppo
