Il papa, preoccupato, ha incontrato i vescovi dell'Asia centrale
In Kazakistan la libertà religiosa è una questione di stato
Avrebbe potuto essere una visita di routine. Tutte le conferenze episcopali del mondo ogni cinque anni arrivano a Roma per incontrare il Papa e fare il giro dei dicasteri di Curia. Ma a movimentare la visita ad limina dei vescovi dell'Asia centrale ci ha pensato il governo di Nazarbaev.
Avrebbe potuto essere una visita di routine. Tutte le conferenze episcopali del mondo ogni cinque anni arrivano a Roma per incontrare il Papa e fare il giro dei dicasteri di Curia. Ma a movimentare la visita ad limina dei vescovi dell'Asia centrale ci ha pensato il governo di Nazarbaev. Il 24 settembre la camera bassa del parlamento kazako, il Majilis, ha approvato la nuova legge sulla libertà religiosa che costringe i gruppi delle varie confessioni a chiedere al governo una nuova autorizzazione per operare nel Paese. Si tratta di un giro di vite promosso dal partito del presidente, il Nu Otan, che da tempo ha dichiarato guerra soprattutto alle minoranze religiose e che con questa nuova legge vuole aumentare il controllo su di esse. Il motivo addotto è quello della lotta al fondamentalismo, ma il rischio più che concreto è che, una volta passato l'esame del Senato e ottenuta la firma di Nazarbaev - sembra questione di giorni -, la nuova legge si tramuti in un vero e proprio attacco alla libertà di coscienza e di religione che colpirebbe indistintamente tutte le varie confessioni.
La chiesa cattolica in Kazakhstan è una presenza minoritaria, poco più di 200mila persone, nemmeno il 2% della popolazione. Non rientra nella top list dei sorvegliati speciali di Nazarbaev, ma è sempre tenuta sott'occhio e ogni tanto a missionari e religiosi capita di dover subire qualche azione dimostrativa del governo: chiusure temporanee di istituti o ispezioni lampo che poi non si risolvono in nulla. Ora la prospettiva di questa nuova legge sulla libertà religiosa allarma Roma. E la segretezza con cui sta compiendo il suo iter parlamentare non aiuta a rasserenare gli animi. Dalle poche indiscrezioni trapelate sembra che il nuovo regolamento preveda trattamenti diversi per alcune confessioni maggioritarie (islam e ortodossia), aumenti di molto il potere del Comitato affari religiosi e in pratica consegni al governo il potere di bandire dal Paese interi gruppi religiosi. Sembra anche che la legge preveda l'aumento delle pene per le attività religiose non autorizzate e che ponga un limite minimo di adesioni per rendere idonea una comunità alla registrazione.
Dati questi presupposti si capisce bene il discorso che il Papa ha fatto oggi ai vescovi di Kazakhstan, Uzbeksitan, Kyrgyzstan e Turkmeinstan. Un intervento rivolto ai presuli presenti, ma con chiari accenni destinati tanto ai governanti quanto ai leader delle religioni maggioritarie nell'Asia centrale. Ai presidenti alla Nazarabaev il Papa ha riconosciuto il diritto ad opporsi con adeguati interventi legislativi alla “piaga della violenza e del terrorismo e al diffondersi dell'estremismo e del fondamentalismo”. Ma subito ha aggiunto che “la forza del diritto può trasformarsi essa stessa in iniquità” e non può limitare “il libero esercizio delle religioni, poiché professare la propria fede liberamente è uno dei diritti umani fondamentali e universalmente riconosciuti”.
Alle accuse di proselitismo che spesso vengono rivolte alle comunità cattoliche della regione, Benedetto XVI ha risposto ricordando “che la Chiesa non impone, ma propone liberamente la fede cattolica, ben sapendo che la conversione è il frutto misterioso dell'azione dello Spirito Santo. La fede è dono ed opera di Dio. Proprio per questo è proibita ogni forma di proselitismo che costringa o induca e attiri qualcuno con opportuni raggiri ad abbracciare la fede”. Ai vescovi cattolici ha infine rivolto un appello. Ben sapendo che le comunità locali sono nate soprattutto dalle migrazioni e deportazioni di tedeschi e polacchi durante il regime sovietico, Benedetto XVI ha chiesto in sintesi maggior realismo e senso missionario: “Conservate e valorizzate le valide esperienze pastorali ed apostoliche del passato” e “ricercate, inoltre, con pazienza e coraggio, nuove forme e metodi di apostolato, preoccupandovi di attualizzarli secondo le odierne esigenze, tenendo conto della lingua e della cultura dei fedeli a voi affidati”.


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