Differenze e similitudini
Qualcosa è cambiato
Qualcosa è cambiato. Leggi e rileggi il testo della prolusione del cardinale Bagnasco al consiglio permanente della Cei di lunedì e ti viene in mente l'intervento fatto da Ruini allo stesso identico consesso, ma nel gennaio 2007. Allora erano ancora accese le polemiche legate a Piergiorgio Welby, oggi quelle sulla vita di Eluana Englaro.
Qualcosa è cambiato. Leggi e rileggi il testo della prolusione del cardinale Bagnasco al consiglio permanente della Cei di lunedì e ti viene in mente l'intervento fatto da Ruini (nella foto) allo stesso identico consesso, ma nel gennaio 2007. Allora erano ancora accese le polemiche legate a Piergiorgio Welby, oggi quelle sulla vita di Eluana Englaro; allora come oggi il parlamento aveva iniziato a prendere in esame il tema del testamento biologico e sia Ruini sia Bagnasco segnalano il fatto nei loro interventi. Coincidenze che fanno il paio con giudizi espressi in modo pressoché identico. Ruini affermava “la rinuncia all'accanimento terapeutico non può giungere però al punto di legittimare forme più o meno mascherate di eutanasia e in particolare quell''abbandono terapeutico' che priva il paziente del necessario sostegno vitale attraverso l'alimentazione e l'idratazione”. Bagnasco lunedì ha detto: “Non vengano in alcun modo legittimate o favorite forme mascherate di eutanasia, in particolare di abbandono terapeutico, e sia invece esaltato ancora una volta quel favor vitae che a partire dalla Costituzione contraddistingue l'ordinamento italiano”.
Ma qualcosa è cambiato. Perché Ruini, dopo aver parlato di “volontà del malato”, di “rapporto tra medico e paziente”, di “deontologia medica” aveva aggiunto: “In questa materia tanto delicata appare dunque una norma di saggezza non pretendere che tutto possa essere previsto e regolato per legge”. Qui emerge la differenza tra la lectio ruiniana e quella di Bagnasco. Che non sconfessa il suo predecessore alla guida della Cei, fa un passo avanti. Parla di una “nuova situazione venutasi a determinare in seguito a pronunciamenti giurisprudenziali che avevano inopinatamente aperto la strada all'interruzione legalizzata del nutrimento vitale, condannando in pratica queste persone a morte certa”. Poi si rivolge al Parlamento e invece di appellarsi a “una norma di saggezza” e rimanere nel vago come fece Ruini nel 2007, fa appunto un passo avanti.
Il caso Englaro, con tutto ciò che ha comportato, spinge Bagnasco ad un chiara apertura di credito all'operato del parlamento in carica. Il passaggio del suo intervento è noto. Per l'arcivescovo di Genova e presidente della Cei “si è imposta una riflessione nuova da parte del Parlamento nazionale, sollecitato a varare, si spera col concorso più ampio, una legge sul fine vita che – questa l'attesa − riconoscendo valore legale a dichiarazioni inequivocabili, rese in forma certa ed esplicita, dia nello stesso tempo tutte le garanzie sulla presa in carico dell'ammalato, e sul rapporto fiduciario tra lo stesso e il medico, cui è riconosciuto il compito – fuori da gabbie burocratiche − di vagliare i singoli atti concreti e decidere in scienza e coscienza”.
Cosa ha spinto la Conferenza episcopale italiana a passare dall'evocazione di una “norma di saggezza” all'attesa di una “legge sul fine vita”? Cosa è cambiato dal gennaio 2007 al settembre 2008? Il parlamento e certi “pronunciamenti giurisprudenziali”. Per cui Bagnasco mette insieme le due cose. Preoccupato dal fatto che certe procure possano decidere in materia di testamento biologico a prescindere dall'esistenza di una normativa chiara, considera una legge fatta da questo parlamento come il male minore. Cerca in qualche modo di giocare in anticipo rispetto ad un trend che a quanto pare considera inevitabile e scegli questo momento come il più favorevole dal punto di vista politico. Al punto che si spinge sino ad indicare gli argini entro cui prendere una decisione in materia.
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