Generale Ray Odierno, il pugno di ferro in guanto di Petraeus
Il 20 agosto 2003 il colonnello americano Allen B. West interroga un prigioniero iracheno. Vuole notizie sul prossimo, imminente attacco della guerriglia, l'uomo è stato preso in flagrante, ma risponde con un ghigno: “I love you”. Il colonnello trascina all'aperto il prigioniero, tira fuori la pistola e dice: “Ora conterò fino a cinque”.
Il 20 agosto 2003 il colonnello americano Allen B. West interroga un prigioniero iracheno. Vuole notizie sul prossimo, imminente attacco della guerriglia, l'uomo è stato preso in flagrante, ma risponde con un ghigno: “I love you”. Il colonnello trascina all'aperto il prigioniero, tira fuori la pistola e dice: “Ora conterò fino a cinque”. Al cinque spara un colpo nella polvere, a trenta centimetri dalla testa dell'iracheno. Il guerrigliero confessa il piano, fornisce dati preziosi. Quando viene a conoscenza dell'episodio, il generale Raymond Odierno destituisce l'ufficiale dal comando della sua unità e lo rispedisce a casa. Contro la sua decisione in America si raccolgono 130.000 firme: “Il colonnello West è un coraggioso che ha salvato vite di soldati americani, la political correctness di Odierno ci farà perdere questa guerra”, ma il generale non sente ragioni e non cambia gli ordini.
I trentaduemila uomini della Task Force Iron Horse di Ray Odierno cominciano male la guerra. Aspettano l'ordine di invasione sul versante turco del confine, ma Ankara all'ultimo nega il permesso di passaggio. Tornano in Kuwait e passano da sud, quando arrivano al loro settore di competenza, venti giorni dopo, la guerra è finita, i marine gli passano la consegna. L'area è la più difficile. Triangolo sunnita a nord di Baghdad, il cuore del potere di Saddam Hussein, inclusa Tikrit, la città natale che ospita il clan del dittatore. Il 13 dicembre del 2003 Odierno dà però luce verde all'operazione che finisce il primo tempo della guerra in Iraq: i suoi catturano Saddam Hussein in un rozzo nascondiglio scavato nella terra e protetto da una botola. Per due settimane la faccia e la testa tonda e rasata del generale appaiono sulle televisioni americane, assieme alle immagini dell'ispezione dentale del rais con capelli e barba da naufrago. “Lo abbiamo preso come un topo nel suo buco”. I media tagliano il seguito della frase: “Ma questa cattura potrebbe non essere più così decisiva per fermare la violenza”.
Il 20 agosto del 2004 Odierno è rientrato in America per avvicendamento. Suo figlio Anthony è in Iraq da sei mesi. “Al telefono, prima che lui partisse, gli dicevo farai tutto bene, andrai alla grande”. Una granata a razzo esce dal nulla e centra l'Humvee su cui viaggia la pattuglia di Odierno Jr., passa attraverso la fiancata, strappa il braccio sinistro a lui e uccide il guidatore, Kevin Cummings. Dentro il mezzo scoppia un incendio. Le portiere sono bloccate, Tony Odierno non riuscirebbe ad aprirle in ogni caso perché anche l'altro braccio è ferito, spinge sulle gambe fino a sgusciare fuori dalla torretta del mitragliere in fiamme. Al ritorno dall'Iraq si iscrive alla New York University. Oggi è laureato.
Ray Odierno capisce che vedere al Qaida in Iraq come “un network”, una rete, è un luogo comune buono nemmeno più per i giornali. Elimini i capi nel tentativo di smagliare il “network”, ma quello si rigenera. Dopo l'uccisione di Abu Mussab al Zarqawi, gli attacchi di al Qaida s'intensificano, le bombe aumentano, gli attentati diventano ancora più grandi. In realtà al Qaida si muove fisicamente come un esercito, si sposta sul territorio, occupa spazio, pensa per categorie geografiche come un'armata regolare. Se deve mandare le proprie autobombe a Baghdad dalle officine perse nelle campagne sunnite fa in modo di controllare i quartieri che affacciano sulla rotta degli attentatori. Ma se gli americani ripuliscono quei quartieri, li controllano e costruiscono una sorveglianza anti al Qaida, riuscono a tagliare le rotte del nemico. Clean, hold and build, si chiama la strategia. Prima gli americani arrivavano in forze, mettevano in fuga i terroristi e poi rientravano nelle loro basi. I guerriglieri tornavano subito dopo. “Si aprivano davanti e si chiudevano dietro di noi, come nebbia”. Grazie ai trentamila soldati in più arrivati con il “surge”, Odierno imprime la svolta attesa: le zone ripulite restano ripulite, i soldati rimangono sul campo, negano lo spazio ai nemici, impediscono il loro ritorno, collaborano con la popolazione stanca dell'infestazione e della repressione degli estremisti. Cacciata da West Baghdad, al Qaida si rifugia a ovest verso Ramadi, poi a Samarra, poi nel deserto, poi su a Mosul, al confine con la Siria; a est verso Baquba, poi nelle zone rurali di Diyala, poi verso i solitari monti Hamrin, al confine con l'Iran, come una bolla d'aria schiacciata in un tubo. Mentre il generale Petraeus sovrintende al quadro generale, il vice Odierno comanda giorno per giorno le operazioni antiguerriglia, la grande caccia del 2007. Operazione Fard al Qanoon, per mettere in sicurezza Baghdad. Poi Phantom Thunder, contro i santuari che al Qaida riteneva intoccabili. Phantom Strike, per impedire ai terroristi di raggrupparsi e riorganizzarsi in zone remote. Phantom Phoenix, per inseguirli fino ai confini.
Ray Odierno si converte tardi alla nuova dottrina di Petraeus. Anzi. La sua Task Force impegnata nel Triangolo sunnita nel 2003 e nel 2004 utilizza le tattiche più aggressive dell'intera Coalizione. “Facevamo retate nei villaggi, nel dubbio prendevamo tutti i maschi tra i sedici e i sessant'anni e poi distinguevamo dopo fra buoni e cattivi – raccontavano i soldati – Se loro mandavno uno dei nostri in infermeria, noi mandavamo uno dei loro all'obitorio”. I critici dicono che questi metodi alienarono fin dall'inizio le simpatie della popolazione verso la Task Force. “Erano le condizioni più difficili di tutto il paese”, si giustifica Odierno. Il fatto che lui, il duro, il grosso, passi alla nuova strategia di Petraeus, è un messaggio chiaro all'intero esercito: tutti possono e devono fare la stessa cosa. Uno dei critici più malevoli di Petraeus è uno dei suoi ufficiali, il colonnello Nathan Sassaman, eroe del football americano, che (in congedo) ha scritto un libro contro il generale del “surge”: “Altro che collaborare con la popolazione, siamo qui in guerra per vincere, e per vincere devi terrorizzare i tuoi nemici, non chiedere loro aiuto”. Sassaman però è stato rimosso dall'incarico per un crimine non suo risalente al 2004. Dopo l'uccisione di un capitano, i soldati costringono due iracheni fermati a saltare nel Tigri da un ponte. Uno dei due annega. Sassaman copre i responsabili.
Raymond Odierno non vuole entrare a West Point nel 1972. Lo fa perché è alto 1,99, è veloce, gli piace il football americano, vuole giocare con la squadra dell'esercito, i Black Knights, fare il college militare e poi uscire. Si rompe un ginocchio in partita, resta. Da ieri ha sostituito Petraeus al comando dei soldati americani in Iraq. In famiglia sono fanatici della partita annuale esercito contro marina. Lui, sua moglie Linda, i suoi genitori e i suoceri non ne perdono una da 32 anni. Il rito prevede una station wagon carica con cibo, sedie e tavolini. “Il mio bisnonno – ha detto al Foglio a dicembre – è arrivato a New York da Sarno, vicino Napoli. Do you know?”.


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