Guida al federalismo che verrà, punto per punto
Ecco di che cosa diavolo stiamo parlando quando parliamo di bozza Calderoli - Il testo in esclusiva
Clicca qui e leggi tutto il testo della bozza Calderoli in esclusiva. Da anni si sente parlare di federalismo, di riforma del titolo V, di decentramento, ma dalle parole si è passati a ben pochi fatti. Oggi, però, le cose sembrano essere diverse. La Lega ha deciso di fare sul serio e quella che nel 1992 poteva sembrare una parolaccia, “federalismo”, appunto, grazie alla bozza Calderoli, a distanza di 16 anni, diventa il termine più ricorrente.
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Roma. Da anni si sente parlare di federalismo, di riforma del titolo V, di decentramento, ma dalle parole si è passati a ben pochi fatti. Oggi, però, le cose sembrano essere diverse. La Lega ha deciso di fare sul serio e quella che nel 1992 poteva sembrare una parolaccia, “federalismo”, appunto, grazie alla bozza Calderoli, a distanza di 16 anni, diventa il termine più ricorrente e urgente. Da nord a sud sono tutti d'accordo nel dire che la situazione della finanza pubblica necessita di una riforma vera e non solo di quelle mezze vie che negli ultimi anni hanno contribuito a spostare competenze verso regioni, province e comuni, senza introdurre un modello efficace di finanziamento delle funzioni.
Federalismo solidale. Il federalismo fiscale (l'applicazione dell'art. 119 della Costituzione) oggi sembra essere la soluzione per il rilancio della competitività del sistema, contro il rischio di spaccare il paese e contro l'esplosione dei costi. Non è un caso che la corte costituzionale abbia sottolineato in numerose occasioni l'urgenza di dare attuazione all'art. 119, che per sette anni è rimasto in sonno. Ora, con la riforma che tra questo e il prossimo Consiglio dei ministri verrà presentata dal governo, il sistema si ribalta completamente e questa volta sembra ci sia la possibilità di arrivare a una soluzione. Si parte dal presupposto che lo stato ha il dovere costituzionale di garantire a tutti i cittadini gli stessi diritti su materie come sanità, assistenza e istruzione. Con la riforma del Titolo V si è data autonomia nella gestione delle funzioni alle regioni, lasciando le risorse a livello centrale (tranne per una piccola quota – cinque per cento – sulla sanità, il decreto 56/2000, che le regioni si gestiscono autonomamente). La distribuzione delle risorse avviene secondo criteri di solidarietà (perequazione, da qui la definizione di federalismo solidale) tra le diverse realtà territoriali. La riforma vuole mantenere le garanzie costituzionali, ma vuole anche abbattere i costi, cercando di ottimizzare la spesa. Questo è il senso dell'introduzione di quelli che sono stati definiti i costi standard per i servizi con il criterio di superamento della spesa storica. In sostanza, si definisce un costo per servizio che sia uguale per tutte le realtà del territorio e questo valore sarà l'indicatore che consentirà all'amministrazione centrale di sapere quanto e in che modo distribuire le risorse. Si supera così quel meccanismo secondo cui le risorse venivano erogate secondo quanto era stato speso negli anni precedenti, il cosiddetto superamento della spesa storica. Per le altre materie, ogni regione potrà chiedere autonomia nelle gestione delle funzioni e dei tributi (art. 116 comma terzo della Costituzione, il federalismo differenziato). Vien da sé che nessun amministratore ha interesse ad alzare le tasse locali e a dare un cattivo servizio. Questo principio dovrebbe infatti garantire processi di virtuosità anche nelle realtà più difficili.
Fiscalità decentralizzata. Il presupposto della riforma Calderoli è che aver mantenuto un modello di fiscalità centralizzata ha generato una situazione istituzionale che oggi rende ingovernabili i conti pubblici e che favorisce la duplicazione di strutture, l'inefficienza e la deresponsabilizzazione. Un sistema come quello che c'è stato finora, con la politica degli aiuti alle amministrazioni inefficienti o con criteri basati sulla spesa storica, ha finito per premiare chi crea più disavanzo, cioè un buco destinato poi a essere coperto dalle tasse di tutti gli italiani. In sostanza, si è finito per consacrare il principio per cui chi ha più speso in passato può continuare a farlo, mentre chi ha speso meno, perché è stato più efficiente, deve continuare a spendere di meno. L'esperienza della sanità è significativa: i costi per l'erario sono quasi raddoppiati in dieci anni, passando dai 55,1 miliardi del 1998 ai 101,4 miliardi del 2008, nonostante le misure di contenimento previste nelle leggi finanziarie. Tra le novità del ddl: il finanziamento integrale sulla base di costi standard delle prestazioni che riguardano i diritti civili e sociali, come la sanità, l'istruzione e l'assistenza (art. 117, “livelli essenziali delle prestazioni”) e un adeguato finanziamento del trasporto pubblico locale. Questi due capitoli di spesa saranno finanziati attraverso il gettito dell'Irap, in attesa che questa imposta sia sostituita da altri tributi regionali da individuare in una fase successiva. La parte residua delle spese viene, invece, finanziata con il gettito dei tributi regionali e con la perequazione, attuata in modo trasparente sulla capacità fiscale.
La finanza locale. Una seconda importante questione riguarda l'assetto della finanza delle province e dei comuni (gli enti locali), in particolare il ruolo di coordinamento svolto dallo stato e dalle regioni. Quest'ultime potranno ridefinire la spesa e le entrate standardizzate degli enti locali secondo i criteri di riparto fissati dallo stato riferiti al proprio territorio. In caso di ritardo o di mancata distribuzione dei fondi da parte della regione, lo stato potrà esercitare il potere sostitutivo nei suoi confronti. Questa novità è fondamentale nella gestione dei bilanci dei comuni, che temevano il passaggio da una gestione centralista a una “feudo-regionale” della fiscalità e il conseguente mancato trasferimento di risorse. Riguardo alle fonti di finanziamento degli enti locali, si prevede che sia lo stato a individuare i tributi propri dei comuni e delle province, a definirne presupposti, soggetti passivi e basi imponibili, a stabilirne le aliquote di riferimento valide per tutto il territorio nazionale. Il ddl prevede un tributo comunale di scopo per finanziare opere pubbliche, oneri dei flussi turistici e della mobilità urbana, la cosiddetta “service tax”. Per garantire l'autonomia delle province è prevista la razionalizzazione dell'imposizione fiscale per gli autoveicoli e le accise sulla benzina e sul gasolio. Gli enti locali dispongono del potere di modificare le aliquote dei tributi di loro competenza e di introdurre agevolazioni. Altra questione riguarda le tariffe per le prestazioni e i servizi offerti su cui comuni e province hanno una piena autonomia. Sono anche previste disposizioni per il finanziamento delle città metropolitane e di Roma capitale (per quest'ultima anche per il relativo patrimonio).
Regioni a statuto speciale. In sintesi, autonomia dovrà diventare sinonimo di efficienza. Proprio per questo è previsto anche, a favore degli enti più virtuosi, un sistema premiante e, dall'altra parte, un meccanismo di tipo sanzionatorio per gli enti meno virtuosi. In particolare gli enti che non hanno raggiunto gli obiettivi non potranno sedere nei posti di ruolo vacanti nelle piante organiche e iscrivere in bilancio spese per attività discrezionali. Sono previsti, inoltre, meccanismi automatici sanzionatori degli organi di governo e amministrativi nel caso di mancato rispetto degli equilibri e degli obiettivi economico-finanziari assegnati alla regione e agli enti locali (gli obiettivi del patto di stabilità interno). Nel ddl, vengono infine enunciati principi diretti a garantire il coordinamento del sistema tributario con la finanza delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, individuando un percorso diretto a prevedere, nel rispetto degli statuti e delle relative norme di attuazione, la partecipazione di queste realtà istituzionali al sistema di perequazione e di solidarietà e all'esercizio dei loro diritti e doveri. Ovviamente, tutto questo meccanismo dovrà avvenire senza maggiori oneri per il bilancio dello stato.


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