Ritratti di compagnia/1
Il corso e l'Alitalia
Undici anni di corteggiamento. Jean-Cyril Spinetta insegue Alitalia fin dal primo giorno. Quando s'insedia alla guida di Air France, il 22 settembre 1997, il manager corso trova un'azienda affaticata, senza lo smalto di un tempo, in uno stato di confusione strategica.
Undici anni di corteggiamento. Jean-Cyril Spinetta insegue Alitalia fin dal primo giorno. Quando s'insedia alla guida di Air France, il 22 settembre 1997, il manager corso trova un'azienda affaticata, senza lo smalto di un tempo, in uno stato di confusione strategica. Lionel Jospin, da pochi mesi a Palazzo Matignon, affida a lui il compito di ridare una missione alla compagnia di bandiera. Una scelta che sorprende, poiché Spinetta è un uomo di stato con poca esperienza nel settore dell'aviazione civile. Per tre anni ha sì diretto la piccola Air Inter, ma poi è rientrato nella pubblica amministrazione, collaborando prima con l'Eliseo e poi con Bruxelles alla Commissione europea. L'imperativo affidatogli dal premier socialista è di far uscire Air France dall'isolamento e coprire il gap che la divide da Lufthansa e British Airways. Sul tavolo Spinetta trova subito il dossier Alitalia. A Roma si è dato il via a un faticoso percorso di risanamento e per consolidarlo si cerca un alleato internazionale.
L'amministratore delegato Domenico Cempella ha avviato contatti con Klm e Air France. Spinetta sa di essere la seconda scelta e prova il blitz. Piomba in Italia con un corposo dossier sottobraccio per una cena riservata con il suo omologo italiano. Per evitare orecchie indiscrete è stata prenotata l'intera sala di un noto ristorante romano. Nel documento, “strictly confidential”, il manager francese decanta le virtù di un'alleanza tra i due versanti delle Alpi. Esposizione alta e persuasiva, incastonata tra battute e diagrammi. Cempella ascolta, annuisce e sorride. Al capo azienda italiano piace la determinazione del suo interlocutore, ma di manager affabili ne ha visti passare tanti. Gli bastano due osservazioni per comprendere che l'avvicendamento con Christian Blanc non ha cambiato le carte in tavola. “Monsieur Spinetta, nelle sue slides manca Malpensa e non si fa menzione di merger. Noi cerchiamo un partner con cui studiare un'integrazione, non una semplice alleanza commerciale”. Spinetta prova a replicare che in un secondo tempo si potranno aprire anche queste due strade, ma ora è prematuro. “Intanto partiamo così”, propone invano. Cempella scuote il capo e pochi mesi dopo firma con Klm l'accordo internazionale. “Ah, les italiens”, si rammarica Spinetta.
Due anni dopo un nuovo abboccamento. L'innovativa fusione a cui stanno lavorando italiani e olandesi attira l'interesse del corso. Nel '99, in un incontro riservato a Parigi con Cempella e il capo di Klm, Leo Van Wijk, il presidente francese prova a reinserirsi nella partita. “Perché non facciamo un'integrazione a tre”, suggerisce. Lo schema di governance però non piace ai suoi due interlocutori. Spinetta vorrebbe il 60 per cento per se, e non accoglie una gestione paritetica. Metà Air France, metà Alitalia-Klm. La trattativa muore. “Ah, les italiens”, scuote il capo Spinetta.
Due anni ancora ed ecco il terzo capitolo della saga. Dopo il disastroso avvio di Malpensa, la rottura con Klm, le dimissioni di Cempella, al timone di Alitalia, nel 2001, arriva Francesco Mengozzi. All'ex alto dirigente delle Ferrovie dello stato l'azionista, Iri, chiede di trovare subito un nuovo alleato nello scacchiere internazionale. Candidati non ce ne sono molti in giro. C'è una Swissair che sta conoscendo un periodo di appannamento e un'Air France che invece si è rimessa in sesto. Proprio agli elvetici Spinetta ha sottratto la partnership con Delta Air Lines con cui ha iniziato a costruire un network dal poetico nome di SkyTeam, squadra del cielo. Pochi mesi e Mengozzi chiude l'intesa con Spinetta, con cui inizia a instaurare un rapporto di amicizia che ancora resiste (Mengozzi, responsabile dell'area infrastrutture di Lehman Brothers, è oggi advisor di Air France proprio per il dossier Alitalia). L'intesa raggiunta prevede uno scambio azionario del 2 per cento, l'ingresso dei due capi azienda nei rispettivi consigli di amministrazione e, almeno nelle intenzioni, è un prologo alla fusione.
Gli attentati dell'11 settembre aggravano però la crisi della compagnia italiana e aumentano i dubbi dell'esecutivo guidato da Silvio Berlusconi a procedere nel progetto. Trascorrono altri due anni e nel 2003, stanco dei rinvii di Palazzo Chigi, Spinetta conclude un inaspettato accordo con Klm, di cui acquisisce il controllo (accordo che si formalizzerà nel maggio 2004). Sembra che i destini si debbano nuovamente separare e ancora una volta c'è un olandese che si frappone al corteggiamento alpino. Ma grazie alla tenacia dell'ad Mengozzi il governo di centrodestra prova a recuperare il tempo perduto. In un vertice con Jacques Chirac, il Cav. rilancia l'idea di una fusione a tre. Nella sua maggioranza non tutti sono convinti. La Lega nicchia e le ostilità al disegno la esprime anche Giuseppe Bonomi, presidente Alitalia ed ex deputato del Carroccio. Il Berlusconi II approva il cosiddetto dpcm, il decreto della presidenza del Consiglio che autorizza la privatizzazione della compagnia, ma non ha la forza di sostenerlo in Parlamento, dove si insabbia per le resistenze concentriche di An e Ds.
Altri tre anni, altro giro di valzer. Nel 2006 il nuovo comandante in capo di Alitalia è Giancarlo Cimoli. L'ex presidente delle Fs è stato chiamato al capezzale dell'aerolinea da Giulio Tremonti. Una nomina salutata da unanime consenso da maggioranza, opposizione e sindacati. La luna di miele dura pochi mesi. Cimoli s'immedesima nel ruolo di salvatore della patria e prepara un ambizioso piano industriale che fallisce gli obiettivi. Umorale e dispotico, il capo di Alitalia cambia spesso idea sull'alleato francese. Alla fine dell'anno capisce però di non godere più della fiducia dell'azionista. Prova a tramare un oscuro disegno per farsi rinnovare l'incarico in scadenza, assumendo la regia dell'improvvisa caduta del cda per mancanza di consiglieri (tra cui Spinetta). Il capo di Air France dichiara pubblicamente che le sue ritardate dimissioni sono state richieste da Cimoli, che viene silurato da Tommaso Padoa-Schioppa. Si arriva così al penultimo capitolo, con la tentata vendita ad Air France-Klm gestita da Maurizio Prato.
Una trattativa che Spinetta conduce in prima persona, accettando di interloquire con sindacati dalla dubbia rappresentatività e competenza. Settimane in cui il manager francese sceglie di giocare a carte scoperte, convocando una conferenza stampa per smascherare bugie e finti fraintendimenti con cui si cerca furbescamente di dipingere la sua proposta. Spinetta con i giornalisti è trasparente, secco e dettagliato. Una condotta inedita per chi è abituato a raccontare trattative contorte dove si gioca su doppi sensi. Il tentativo però si infrange sugli scogli di una cieca opposizione sindacale. “Ah, les italiens”, afferma nel suo cda Spinetta.
L'ultima pagina vede il direttore generale di Air France ricevere una nuova delegazione proveniente dal Belpaese con il solito documento nella ventiquattr'ore. Corrado Passera, Gaetano Miccichè, Fabio Canè di Intesa Sanpaolo intensificano i rapporti con Parigi per irrobustire la cordata guidata da Colaninno. Lui ascolta e acconsente. L'Italia, nonostante tutto, gli interessa ancora. Anzi, ora ci sono motivi in più. “Non deve occuparsi di esuberi, non deve trovare accordi con i sindacati e gli viene chiesto un impegno finanziario minore. Per quale motivo non dovrebbe più essere interessato?” afferma un osservatore vicino al dossier. In fondo, è il pensiero di Parigi, in pochi anni si sono avvicendati Mengozzi, Cimoli, Prato e ora Colaninno e tutti alla fine bussano alla mia porta. Ah, les italiens.


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