A proposito della visione cattolica della natura umana
Consigli a Mancuso sui rischi che si corrono nel confondere teologia e filosofia
Parlare dell'uomo significa pensare, in ultima istanza, a un modo d'essere intelligente e libero che è costitutivo di tutti gli individui che vi appartengono, essendo proprio questa inerenza a rendere un singolo una persona umana vera e propria.
Leggi La nostra sacra libertà di morire di Vito Mancuso
Ho letto con attenzione l'articolo di Vito Mancuso. Si tratta di una riflessione filosofica interessante sul concetto di “natura umana”, ottenuta attraverso un fecondo paragone tra la visione evoluzionista darwiniana e la concezione teologica cristiana. Mancuso, in fondo, ritiene che nel passato vi sia stata una tale divinizzazione dell'antropologia, ad opera soprattutto della cultura cattolica, da rendere oggi particolarmente difficile la comprensione del rapporto tra uomo e natura. Vi sono, però, due questioni in sospeso nell'articolo che meritano di essere approfondite.
La prima riguarda la presentazione pacifica che egli fa di una presunta “visione cattolica” del problema. Si tratta, infatti, di un uso un po' improprio dell'aggettivo. Mi sembra che nelle discussioni antropologiche non siano mai state reclamate soluzioni implicanti una risposta di fede. I teologi cattolici, quando si occupano di questi problemi, lo fanno sempre con un procedimento il più possibile razionale, cioè privo di riferimenti diretti alla Rivelazione. Una disamina sul finalismo della natura, o sul rapporto tra necessità e libertà, si definisce esattamente come un confronto laico, vale a dire il cui accesso è garantito dalla sola ragione senza indicazioni specifiche. In effetti, è inutile scomodare la più divina delle scienze, la teologia, quando è sufficiente la più modesta e accessibile analisi filosofica.
Questa considerazione vale ancor di più nel caso in cui la distinzione tra ragione e fede sia smarrita dietro il generico riferimento ad una fuorviante “visione cattolica” che raccoglie tutto. In secondo luogo, bisogna chiarire bene cosa significhi il termine “natura umana”. Con tale espressione si dovrebbe fare riferimento precisamente a quanto definisce e distingue un certo gruppo di esseri rispetto ad altri, specificandone la tipologia. Ogni individuo, infatti, appartiene a una natura che si qualifica con delle caratteristiche che definiscono la specie: inanimata, animata, razionale, ecc. Parlare dell'uomo significa pensare, in ultima istanza, a un modo d'essere intelligente e libero che è costitutivo di tutti gli individui che vi appartengono, essendo proprio questa inerenza a rendere un singolo una persona umana vera e propria.
La dignità di un uomo, quindi, deriva direttamente dalla sua natura, e non da altre definizioni. La condizione di creatura, ad esempio, per quanto reale e decisiva sia, non può essere ammessa come definizione di uomo senza aver dimostrato prima l'esistenza di un Dio personale o senza credervi. Ogni uomo, invece, è intrinsecamente e direttamente dotato di una sua dignità in quanto tale, senza che siano richiesti ulteriori rimandi.
A voler essere precisi, si dovrebbe addirittura affermare che la dignità di un uomo non dipende concretamente da nulla, neanche dalla conoscenza di sé. Ancor meno essa può discendere dalla propria o altrui libertà. Ogni uomo, infatti, possiede per la sola partecipazione alla specie un valore tale da essere indipendente anche dalle sue azioni. Certo, ognuno esprime il suo essere come può, mediante l'esercizio effettivo e libero delle proprie facoltà, ma tutte queste attività non stabiliscono il vero grado qualitativo di nessuno. E' da questa condizione originaria di eguaglianza che deriva il valore universale ed esclusivo che il cattolicesimo attribuisce a ogni vita umana in tutte le fasi dell'esistenza, anche in quelle embrionali o terminali. La dignità universale di ciascuna persona, infatti, precede tutto e si mostra in tutto, benché si riveli in modo particolare quando alla vita non si aggiunge nient'altro, come accade nei momenti estremi di sofferenza quali la nascita e la morte.
Ciò nondimeno vi è nell'articolo un'affermazione di Mancuso con cui non si può non essere d'accordo. Si tratta del fatto che la dignità dell'uomo dipende dalla sua libertà. Essa, tuttavia, non è una forza spirituale e trascendentale che fa volare l'Io sopra gli altri e sopra se stesso, ma l'espressione personale intima di una volontà razionale. Per libertà umana s'intende, in altre parole, la capacità attiva di una sostanza individuale composta di anima e corpo di oltrepassare continuamente se stessa, senza, tuttavia, uscire mai dalla propria natura. E' chiaro, quindi, che quella personale rimane in ogni modo la condizione concreta di una libertà spirituale che può esistere soltanto in un corpo, non potendo svincolarsi mai completamente dalla propria condizione materiale. Neanche quando, disperatamente, non ha più alcun desiderio di restarci.
di Benedetto Ippolito
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