Gli ammaina bandiera d'Italia
Bu, bu, bu. Gli sconfitti della partita Alitalia sono sei e curiosamente possono riassumersi in tre urla di disapprovazione. Bonanni e Unicredit, Bertinotti e Unipol, Bonomi e Veltroni. Raccontiamo oggi chi è che esce perdente dalla partita.
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Roma. Bu, bu, bu. Gli sconfitti della partita Alitalia sono sei e curiosamente possono riassumersi in tre urla di disapprovazione. Bonanni e Unicredit, Bertinotti e Unipol, Bonomi e Veltroni. Raccontiamo oggi chi è che esce perdente dalla partita.
Raffaele Bonanni. Il leader della Cisl ha giocato un ruolo molto attivo nella crisi della compagnia aerea. Durante la trattativa con Air France-Klm è stato il capopolo della rivolta, scavalcando – per toni estremistici – Cgil, Sdl (ex Sult) e Cobas. E' stato il primo a gonfiare il numero degli esuberi che proponeva Jean-Cyril Spinetta, inserendoci furbescamente anche i dipendenti di Alitalia Servizi che avrebbero continuato a lavorare sotto il controllo di Fintecna. Travolto dalla sua preferenza per il corregionale Carlo Toto, patron di Airone, ha giocato tutte le sue carte sulla grande stampa per far apparire come Belzebù il manager corso, quasi che le inefficienze di Alitalia fossero responsabilità di Air France e non figlie di un sindacalismo ottocentesco. Dopo aver mandato in malora il piano francese che voleva 2.150 esuberi con uno scenario industriale solido, come potrà Bonanni giustificare il doppio dei tagli proposti da Corrado Passera? La soluzione ideata da Intesa può essere rivendicata dal Pdl poiché mantiene in mani italiane la vecchia compagnia di bandiera, ma da un punto di vista sindacale, dove si contano gli esodi e si pesano con la solidità di scenario, come si può difendere?
Domanda che andrebbe girata anche al leader dei piloti, Fabio Berti (altro nome con la B), che giudicava eccessivi cinquecento tagli e ora se ne vede annunciare settecento. Rispetto alla primavera scorsa questa volta però il sindacato non ha margini di manovra, essendo già la società in commissariamento. Oggi non c'è una minaccia di fallimento. Il default già è realtà.
Unicredit, leggasi Alessandro Profumo. Il banchiere genovese si è lasciato andare a dichiarazioni abrasive e acide sulla cordata Colaninno. Sour grapes, le definirebbero gli americani. “Avremo una compagnia più piccola e un servizio più scadente”, ha dichiarato il capo della seconda banca italiana in aperta polemica con il capo della prima banca italiana. “Profumo vede Passera come uno spettro, appena si leva una critica contro di lui la ricollega a una presunta regia dell'ad di Intesa”, confida una fonte. Oltre a questo primo elemento di antipatia personale, Profumo, dopo aver scommesso su Walter Veltroni, non è stato capace di aprire un canale costruttivo con Giulio Tremonti. Troppo preso dalla battaglia che lo vede soccombente su Mediobanca, nonostante il gioco di sponda con il governatore Mario Draghi. Il fronte avverso fedele a Cesare Geronzi si va rimpolpando anche con membri della cordata quali Marco Tronchetti Provera, Marcellino Gavio e la famiglia Benetton. Particolarmente curiosa poi appare la dichiarazione di rammarico di Profumo sulla riduzione di aerei per l'aerolinea. Al primo tentativo di privatizzazione, la gara pubblica gonfia di paletti ideata da Tommaso Padoa-Schioppa, partecipò anche Unicredit Banca Mobiliare in tandem con Aeroflot. La compagnia russa però si ritirò prima di formalizzare la proposta vincolante. “Anche Aeroflot avrebbe razionalizzato la flotta”, afferma un osservatore che seguì in prima persona il dossier. Le buone entrature in Germania, secondo qualche osservatore, potrebbero chiamare Profumo a un ruolo attivo nel caso venisse scelta Lufthansa come partner strategico.
Fausto Bertinotti. Il candidato premier della Sinistra Arcobaleno puntava molto sull'opposizione dei dipendenti al piano Spinetta. In particolare Rifondazione comunista ha alimentato le tensioni che provenivano dai lavoratori delle officine motori della Atitech di Capodichino. In Campania si profetizzava il superamento della soglia dell'8 per cento alle ultime elezioni politiche. Come Silvio Berlusconi, Bertinotti ha scommesso politicamente sul fallimento della trattativa, ma, al contrario del Cav., non ha raccolto i consensi che si aspettava. Dopo la sconfitta al congresso di Chianciano di Nichi Vendola, non ha più parlato.
Mister Unipol, ossia Giovanni Consorte. L'ex capo della cooperativa delle assicurazioni aveva lanciato un messaggio al Cav. non equivocabile. In un'intervista al Sole 24 Ore il 5 aprile scorso affermava: “Io per Alitalia sono pronto a fare la mia parte. Lo dico perché chi di dovere sappia fin da subito di poter contare su di me”. Si trattava di un'ottima occasione per Consorte di rientrare nelle partite industriali e finanziarie. Berlusconi, che con l'ex presidente Unipol ha un rapporto cordiale e non di ostilità, l'avrebbe accolto volentieri, ma i suoi consiglieri l'hanno convinto a desistere. Troppo recenti le disavventure dei furbetti del quartierino per far salire Consorte sull'aereo di Colaninno. La sua banca d'affari Intermedia, tra l'altro, stenta a prendere il largo.
Giuseppe Bonomi. Anche il presidente della Sea aveva investito molto sul fallimento della trattativa con Air France, ma ora rischia di ritrovarsi con un pugno di mosche. Per far saltare la trattativa con i francesi, Bonomi aveva avviato nel febbraio scorso una causa giudiziaria con richiesta di maxirisarcimento (1,25 miliardi di euro). Azione legale di dubbia legittimità (la scelta di un hub per una compagnia aerea non è irreversibile), ma che aveva finito per spaventare Spinetta per l'astronomico indennizzo richiesto. Con l'arrivo della cordata italiana Bonomi si troverà una nuova Alitalia, dimagrita, non in grado di presidiare Fiumicino e Malpensa. Il piano Fenice, elaborato da Intesa Sanpaolo e Boston Consulting, prevede tra l'altro il superamento del concetto di hub con l'apertura di minibasi in altre città come Venezia, Torino, Napoli e Catania. Senza aver ottenuto un massiccio ritorno di voli Alitalia su Malpensa, Bonomi dovrà far buon viso a cattivo gioco. La cordata Colaninno infatti imporrà due condizioni vincolanti a cui Sea, e Letizia Moratti suo azionista principale non potrà dire di no. Primo: il ritiro della causa. Secondo: la limitazione di Linate, per evitare inutili e dispendiose sovrapposizioni con Malpensa.
Il segretario del Partito democratico. Walter Veltroni ha tutti i diritti di esprimere le sue riserve o di inventare felici definizioni come “compagnia di bandierina”. Quello però che dequalifica l'opposizione del leader del Pd è l'aver dimenticato che per settimane denunciava l'inesistenza della cordata. Ancora a metà luglio Veltroni si chiedeva ironicamente: “Vorrei sapere dov'è questo numero di imprenditori elevatissimo al punto che qualcuno deve rimanere a terra”. E dire che maggiori ragguagli avrebbe potuto ottenerli dal suo ministro ombra allo Sviluppo economico, Matteo Colaninno. Troppo semplicistico buttarla come Pierluigi Bersani (sì, c'è eccedenza di B tra gli sconfitti) sul pseudoricatto di Palazzo Chigi. O sul fatto, come paventa Eugenio Scalfari, che dietro ci siano altre partite ben più remunerative. Un sospetto che stranamente il fondatore di Repubblica non avanzò quando il ruolo di salvatore della patria e di Alitalia faceva gola a Carlo De Benedetti, con il suo fondo salvaimprese Management & Capitali.
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Riceviamo e pubblichiamo: Al direttore - In merito all'articolo apparso in data 31 agosto sul Foglio a firma di Giuseppe Marchini “Gli ammaina bandiera d'Italia”, si precisa che Intermedia Holding non registra in questo momento, come segnalato dal giornalista, “difficoltà a prendere il largo”, né sotto il profilo delle adesioni che delle operazioni finanziarie o della capitalizzazione. Un'ulteriore precisazione: Unipol non è cooperativa, ma una società per azioni quotata in Borsa.
InterMedia Holding S.p.A.


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