Brevi saggi più o meno concupiscenti/26

Ridotti in mutande

Redazione

La discesa delle mutandine è il momento della verità, il più emozionante, soprattutto se si tratta della prima volta. E' la dichiarazione di resa e la presa di possesso. Bisognerebbe poter rivedere al ralenti l'istante in cui le mutandine, sotto la cedevolezza resistente dell'elastico, che dilata e ritarda per qualche attimo la capitolazione, lasciano con un lieve scatto gli umidori del sesso.

Leggi Riparliamo di concupiscenza di Giuliano Ferrara

di Massimo Fini

    La concupiscenza umana – di quella divina non so – è, come ha dato conto la serie del Foglio, praticamente illimitata. Può essere attizzata da qualsiasi cosa. Tranne che dalla fica. Questo essere inqualificabile, il viscido e infido insetto – foca che naviga a mezzo metro da terra. E' brutta, laida, umidiccia, maleodorante, percorsa nei due sensi da deiezioni. Fa schifo. Non ha una forma definita, è un buco slabbrato, un vuoto, un'assenza. Se la donna non l'avesse sarebbe perfetta. Purtroppo (quasi sempre) ce l'ha. E' un'aggravante, particolarmente nelle donne brutte: sei brutta e, per sopramercato, c'hai anche la fica. E pensare che credono di essere sedute sul loro tesoro.

    Molto meglio, e soprattutto più tranquillizzante, se proprio si vuole, è l'altro orifizio. Tanto per cominciare pure essendo anch'esso un buco ha una forma, una definizione, una compiutezza. Possiede, come l'altro, l'attrazione vertiginosa e tenebrosa del vuoto, dell'abisso dell'orrido, ma è sterile e inoffensivo. Non nasconde insidie, se non trascurabili e, in alcuni momenti, persino eccitanti. A differenza dell'altro è consistente ma elastico sicché, dopo una difesa di bandiera e di pura parata, finisce sempre per schiudersi e cedere all'invasore. Perché, come il culo che lo avvolge, lo nasconde e lo rende segreto e prezioso, è fatto per essere strapazzato e profanato. Infine non chiede niente. La fica invece avanza pretese. Esige. Vuole godimento, l'orgasmo e addirittura, a volte, la fecondazione.
    Diciamo quindi la verità una volta per tutte: se potesse l'uomo farebbe volentieri a meno di scopare. E' un dovere biologico e sociale, una fatica, uno stress, implica erezioni problematiche, costringe il maschio a mettersi alla prova, a sottoporsi al giudizio della donna per qualcosa che, in definitiva, va a vantaggio molto più di lei che di lui (“Hanno sempre da guadagnarci con quella loro bocca pelosa”, scrive Sartre ne “L'età della ragione”).
    Molti vanno a puttane. Pagare una donna per fare l'amore, c'è qualcosa di più insensato? Ma come, io faccio la fatica di scoparti e ti devo anche pagare? Siamo diventati matti? Bisogna essere scesi nel pozzo più profondo dell'umiliazione e del disprezzo di sé per arrivare a tanto. Cosa diversa è pagare la ragazza della porta accanto perché si arrampichi nuda sul lampadario. Qui a perderci è lei che vende non la sua fica, che non interessa nessuno, ma qualcosa di infinitamente più prezioso: la sua dignità.

    Lisistrata, quindi, chi la capisce? Capeggiò uno sciopero protofemminista che inibiva ai mariti l'accoppiamento, ma le loro donne e spose continuavano a fare i consueti lavori di casa. Venire accuditi (che è il vero obbiettivo dell'uomo quando cerca una compagna stabile) e non essere nemmeno costretti a scopare: si può immaginare qualcosa di meglio? Il Paradiso Perduto, l'Eden ritrovato. Oltretutto lo sciopero di Lisistrata e delle sue compagne era particolarmente stolido perché aveva lo scopo di far finire una guerra che i Greci delle varie polis si combattevano da decenni, lasciando le donne a casa a fare la calza. Ora, ogni maschio bennato, di fronte alla scelta fra la donna e la guerra non ha dubbi: sceglie la guerra (“Fate l'amore non fate la guerra” è uno slogan femmineo che non ha retto alla verifica della realtà, vero Giuliano?).

    In ogni maschio quindi si nasconde potenzialmente un finocchio, un “buco” come dicono a Firenze. Scopare è il dovere, starsene con gli amici il piacere. Purtroppo il pedaggio sessuale, nel senso di metterglielo nella fica, lo devi pagare. Perché le donne, pur di arrivare al dunque, sono disposte a tutto, a permetterti giochetti sudici, a ballare nude sul tavolo, a camminare a quattro zampe, a mostrarti come fanno pipì e persino, poiché sono delle vere scostumate, a farti vedere il fondo delle loro mutandine, ma alla fine le devi fottere. Perché, per quanto ciò possa sembrare incredibile e anche parecchio sconveniente, a loro piace. E' il loro vizio. La loro funzione. La loro ragione di essere al mondo. Che ci volete fare? Si deve portare pazienza. Prima o poi bisogna accontentarle. Ma dopo ogni pretesto è buono per filarsela: al bar di sotto, a giocare a scopone, a bocce, a poker, ai cavalli, al casinò, allo stadio a vedere la partita. Alzi la mano, e gli sia mozzata per menzogna manifesta, chi dopo il “ciulum” non vorrebbe che lei si volatilizzasse, via, rauss, “foera de ball”.
    Se la fica non è oggetto di concupiscenza, ma piuttosto di disgusto, lo è però, e al massimo grado, quella sua sorta di doppelganger, di “doppio”, di “alter ego” che sono le mutandine con le quali vive in simbiosi, dove le mutandine rappresentano la cultura e la fica la natura.

    Togliere o abbassare le mutandine a una donna significa spogliarla del suo involucro culturale e sociale, e ricondurla, materialmente e simbolicamente, alla condizione di femmina, degradarla da persona, con uno status, un orgoglio, una dignità, ad animale. Il passaggio dal vestito al nudo, dalla donna alla femmina, è più evidente se le mutandine restano abbassate invece di essere tolte completamente. Se infatti lei è interamente nuda viene meno il termine di raffronto. C'è la femmina, ma manca la donna. Una donna è veramente nuda, in quanto donna, solo quando è semivestita. Perché la degradazione rilevi è quindi necessario che sul corpo nudo di lei resti qualche elemento che ricordi la donna. Possono essere gli orecchini, la collana, i braccialetti, l'orologio, la catenella intorno alla vita o al piede, il reggiseno, la camicetta, le scarpe, ma con le mutandine a mezz'asta si raggiunge la perfezione. Non solo perché sono l'ultimo indumento, il più intimo, la fica in chiave simbolica e metafisica, ma perché sono state tirate giù laddove gli altri elementi dell'abbigliamento restano su. Le mutandine abbassate sono dignità e orgoglio di donna abbassati e degradati, la collana o la camicetta o le scarpe sono quanto ne rimane. Con le mutandine a mezz'asta è lei stessa a mezz'asta, non più completamente donna ma non ancora interamente femmina.

    Per cui l'uomo può godere, contemporaneamente, di entrambe, della donna degradata e della femmina nuda. Le mutandine hanno un fondo, ispezionarlo è la violazione massima dell'intimità di lei. Guardare la nudità di una donna, anche nei suoi anfratti più nascosti, implica un giudizio sul suo corpo, ma guardare il fondo delle sue mutandine significa sottoporre a esame le sue emozioni più intime e segrete, la sua personalità e soprattutto la sua pulizia che è l'intrusione capitale. Perché nel mondo moderno e borghese la pulizia, il decoro, l'ordine hanno un valore primario, tanto che il passaggio dal medioevo all'età borghese può essere definito anche come il passaggio dallo sporco al pulito. Non essere trovate “in ordine” imbarazza terribilmente le donne e in fondo imbarazzare una donna è il grande, forse l'unico, piacere dell'uomo. Penetrare quest'ultima intimità è il privilegio assoluto dell'amante. Non possiede la propria donna chi non conosce il fondo delle sue mutandine. Il resto è un optional.

    La discesa delle mutandine è il momento della verità, il più emozionante, soprattutto se si tratta della prima volta. E' la dichiarazione di resa e la presa di possesso. Bisognerebbe poter rivedere al ralenti l'istante in cui le mutandine, sotto la cedevolezza resistente dell'elastico, che dilata e ritarda per qualche attimo la capitolazione, lasciano con un lieve scatto gli umidori del sesso, rivelando il proprio interno, ormai vinte, per poi discendere fluidamente, con un fruscio leggero, lungo le gambe.

    Le mutandine hanno da essere usuali, senza svolazzi, comprate in un negozio normale, stando alla larga dagli specializzati dell “intimo” (espressione già di per sé volgarissima), di colore classico, bianche o nere, o, per la donna che voglia sbandierare fin da subito le proprie propensioni masochiste, rosa o azzurre. I pizzi, i volant, i nastri, gli orpelli vanno lasciati alle cinquantenni che hanno la necessità di puntare sull'involucro più che sul contenuto. Infiocchettare la fica va bene, per attenuare l'orrido, ma non bisogna esagerare. Da evitare i colori violenti, inusuali, il rosso, il viola, le mutandine tigrate o leopardate e quelle che hanno un'apertura in mezzo e che si comprano nei sex shop insieme al vibratore detto anche, familiarmente, “godimichele”. Lei non è una troia da casino, ma la ragazza della porta accanto che deve essere ridotta a troia da casino.
    Quando in un libello che la pretende a erotico trovate espressioni come “Non mi sono messa le mutande per fare prima”, potete buttarlo subito nella spazzatura: si tratta di un romanzaccio pornografico e anatomico buono per le serve che si mettono il borotalco nel culo. Nel miglior romanzo di Alberto Moravia, “Gli indifferenti”, il massimo della tensione viene raggiunto quando lui, dopo averci girato intorno a lungo, le toglie le mutande.

    Con le sue mutandine si possono fare molti giochi divertenti, sui quali però non è il caso di insistere, nemmeno qui dove pur si parla di concupiscenza. In ogni modo, com'è arcinoto, le mutandine si sfilano lentamente, facendole assaporare la capitolazione, e poi tenendole per un lembo con due dita e un'aria un po' disgustata, le si sventolano per un attimo, come un trofeo, prima di mandarle con un gesto leggero, in cui non manca una sfumatura di disprezzo, a raggiungere sul pavimento il collant e gli altri indumenti caduti sul campo. Perché il destino inesorabile delle mutandine, indossate al mattino con orgogliosa sicurezza, è di fare una fine ingloriosa.

    A festa conclusa gliele si restituisce porgendogliele con un sorriso ambiguo. C'è sempre qualcosa di frettoloso, di imbarazzato e di indispettito quando lei se le rimette. Lasciata alle spalle la femmina si rende conto, rientrando con quel gesto nei suoi panni quotidiani, dell'onore perduto come donna. Ma proprio il gesto di ritirarsele su, mentre per un istante ancora restano sospese come un ponte, sconciate fra le gambe leggermente allargate, prima di riprendere la posizione e la funzione cui sono, almeno apparentemente, destinate, sottolinea l'irrimediabilità dell'oltraggio (perché se le ritira su vuol dire, lapalissianamente, che prima erano state tirate giù).
    Le mutandine, per la loro capacità evocativa, mantengono una forte carica erotica anche da sole. La loro autonomia è confermata, oltre che dal feticismo che si concentra su questo indumento più che su ogni altro, dal fatto che in epoche più pudiche non potevano essere nemmeno nominate e venivano chiamate les inexpresibles, le indicibili. E ancora oggi si preferisce parlare di slip (che sono anche da bagno e quindi più neutri) o, nel lessico familiare, di braghette che è un termine vago e onnicomprensivo.

    Se i due elementi del “doppio” possono, dal punto di vista erotico, esistere anche a se stanti, è in dubbio che è in simbiosi che raggiungono la loro massima potenza. Accarezzare il sesso di lei da sopra le mutandine è uno dei piaceri più puri, fa percepire pienamente la fica con però l'inestimabile vantaggio di avere al tatto una superficie liscia e coerente, invece che una carne frastagliata, informe, fradicia. La simbiosi tocca la perfezione quando lei le bagna, dando silenziosa e inequivocabile notizia di una resa già totale (credo che non ci sia nulla di più elettrizzante di una donna interamente abbigliata e appena sfiorata che, con candore disarmante, ti confessa: “Sono tutta bagnata”. Dove in quel tutta c'è il suo identificarsi con il proprio sesso: l'abbandono alla femmina nel momento però in cui, vestita, è ancora donna).

    Essenziali e insostituibili, tanto da suscitare l'interrogativo di come gli uomini riuscissero a eccitarsi nelle epoche buie in cui le donne non le portavano (dovevano fare con la fica nuda e cruda, poveracci). Le mutande cominciano a essere usate abitualmente con la rivoluzione industriale e la produzione di massa dei tessuti. Prima l'ultimo indumento era la camicia, da cui l'obsoleto e ormai incomprensibile “restare in camicia” sostituito da “restare in mutande”. La civiltà occidentale ha inizio con le mutande che, dopo una lunga evoluzione e vari aggiustamenti (caleçons, mutandoni di batista lunghi fino alla caviglia o al ginocchio, calzoncini con i bottoni, culottes), trovano la loro perfezione e l'apogeo nel bikini (che valorizza contemporaneamente anche il seno staccandolo dal resto del corpo) che non a caso prende il nome da un atollo dove fu sperimentata l'atomica. La Bomba e il bikini sono l'emblema della moderna civiltà industriale. E le mutandine, insieme al cesso in casa, la sola invenzione che la giustifichi. (Immagine: The Mutande of Barga, 2005)

    di Massimo Fini

    Leggi Riparliamo di concupiscenza di Giuliano Ferrara

    Leggi gli articoli di Stefania Vitulli, Alessandro Schwed, Fabio Canessa, Andrea Monda, Giorgio Israel, Duccio Trombadori, Mauro Suttora, Massimiliano Lenzi, Ruggero Guarini, Angiolo Bandinelli, don Gianni Baget Bozzo, Oddone Camerana, Andrea Affaticati, Umberto Silva, Luigi Amicone, Sandro Fusina, Saverio Vertone, Giuseppe Sermonti, Edoardo Camurri, Francesco Agnoli, Ottavio Cappellani, Giuliano Zincone, Paola Mastrocola, don Francesco Ventorino, Mariarosa Mancuso e Camillo Langone