Brevi saggi più o meno concupiscenti/14
Il terzismo del desiderio
Le donne che d'estate si spogliano tengono vivo il desiderio triangolare degli uomini. Denudandosi in pubblico le donne seguono le proprie strategie del desiderio e così facendo sanno di stimolare la competizione e la rivalità.
Leggi Riparliamo di concupiscenza di Giuliano Ferrara
di Oddone Camerana
Le donne che d'estate si spogliano tengono vivo il desiderio triangolare degli uomini. Triangolare? Sì, perché civettare, questo termine ormai in disuso, col proprio corpo dice ancora come piaccia ai maschi che il desiderio sia tenuto vivo da quello degli altri. Denudandosi in pubblico le donne seguono le proprie strategie del desiderio e così facendo sanno di stimolare la competizione e la rivalità. Sennonché le cose assumono una intensità diversa quando è il maschio a volere che la sua donna si faccia vedere nuda. Si tratta di una provocazione forte che implica da parte di chi la attiva un disegno particolare: quello di approfittare della bellezza più o meno spettacolare della propria donna per vedere di quanto il desiderio che si prova per lei cresca sull'onda del desiderio altrui. E' il tema della ripresa dell'eros, del rilancio della passione, del desiderio “agevolato”. Niente di perverso e di trasgressivo, ancorché passi per tale. Niente di più conformista infatti dello scambio di coppie, basta essere pronti a subirne le conseguenze.
A far luce su quanto detto, cioè sulle conseguenze del desiderio sollecitato, tema che qualcuno può definire scontato, vengono in soccorso tre storie offerte dalla classicità. La storia del re Candaule, quella dello stupro di Lucrezia e quella de “Il curioso inopportuno” inserita da Cervantes nel Don Chisciotte. Raccontata da Erodoto (Le Storie I,7-13), la vicenda di Candaule è semplice e violenta. Questo re di Sardi, territorio dell'Asia Minore sotto l'influenza greca, persona colta e raffinata, sposa la persiana Nyssia, un sogno di donna per la quale, nel riscriverne la vicenda, Theophile Gauthier non ha paura di usare la definizione di “cette Méduse de beauté”, senza per altro nasconderne le virtù di pudicizia dovute alla sua origine orientale. Un giorno, cedendo al desiderio incontenibile di condividere tanta bellezza con altri, Candaule propone a Gige, capo delle sue guardie, uno stratagemma per mostrargliela nuda, e questi, obbedendo, si presta alla “combine”. Preso posto dietro a una porta lasciata aperta negli appartamenti reali, una sera egli ha modo di assistere nell'ombra allo spettacolo della donna che si spoglia e che nuda si avvia al letto dove Candaule l'aspetta. Sennonché, accortasi di essere spiata, questa fa finta di niente, riservandosi di prendere posizione il giorno dopo. E così accade. Convocato il capo delle guardie e fattagli presente la gravità dell'affronto commesso, lo pone di fronte all'alternativa di morire o di uccidere Candaule. Già avvertito da quest'ultimo che, come ricorda Gauthier, “Nyssia non é tanto buona quanto bella”, Gige è costretto a uccidere il suo re per salvare la vita.
La seconda vicenda è quella di Lucrezia, la cui fine è narrata da Tito Livio (I,57-59) e ripresa da Shakespeare nel poemetto “The rape of Lucretia”, nonché da Duncan-Britten nell'opera omonima. La vicenda prende il via nel corso dell'assedio di Ardea, quando un gruppo di ufficiali romani in guerra con gli etruschi si trova riunito nella tenda del re Lucio Tarquinio il Superbo. E' sera e il tempo sarebbe scivolato via tra i racconti e le lodi rivolte alle mogli rimaste in città se qualcuno dei presenti non fosse stato preso dal desiderio di rientrare in Roma per verificare la veridicità di quanto affermato. E così avviene, mettendo in luce una verità diversa da quella appena udita perché si scopre che le donne erano a ballare e a divertirsi. A queste fa eccezione Lucrezia, sicché la gara è vinta dal marito Collatino che non aveva mancato a sua volta di lodarla. La vicenda non avrebbe avuto seguito se ad ascoltare la descrizione di Lucrezia fatta da Collatino non ci fosse stato Sesto Tarquinio, figlio del re. Il quale, eccitato dalle parole appena sentite e rientrato anche lui come gli altri al campo, se ne allontana poi in gran segreto per raggiungere l'abitazione di Lucrezia, modello di virtù romana. Quello che segue è noto. Costretta a darsi al nobile, eccitato dalla descrizione fattane dal marito imprevidente, Lucrezia lava il disonore con la morte.
E siamo al terzo episodio, quello della novella di Cervantes. Teatro della vicenda è Firenze dove il neosposo Anselmo è deciso misurare la fedeltà della neosposa Camilla mettendola alla prova del corteggiamento dell'amico fraterno Lotario, anche lui fiorentino. L'avvio dell'esperimento non è dei più facili a causa della riluttanza di Lotario, il quale fa presente all'amico l'inconsistenza dell'esito, nel migliore dei casi, pari alla sua pericolosità, nel peggiore di essi. Risultato che può oscillare tra la conferma della virtù di Camilla, dimostratasi adamantina e insensibile alla seduzione, e la prova invece della sua infedeltà, seguita dal dolore di Lotario di esserne stato la causa. Ciononostante Anselmo prosegue nel suo intento, e questo avvviene non senza che dietro la sua ostinazione a che l'esperimento prosegua affiori la segreta voglia che i pericoli elencati dal suo amico di perdita dell'onore siano reali.
E così infatti avviene. Facilitata dalle assenze prolungate e istigatrici di Anselmo, la seduzione di Lotario si fa largo a poco a poco facendo breccia nel cuore di Camilla che alla fine cede. Non mancano, tra gli incantevoli interni d'epoca che si possono immaginare, i colpi di scena e gli appostamenti in cui si alternano nuovi personaggi. Ma il processo della caduta di Camilla è ormai segnato e raggiunge la scena della resa dei conti in cui tutti fingono: Camilla di essere pentita del suo tradimento, Lotario di non aver perso l'amico e Anselmo di esser stato piacevolmente ingannato. Sennonché la realtà ben diversa non tarda ad emergere e lo si vede nel finale quando, abbandonato da tutti, Anselmo muore in solitudine, seguito in questo poco dopo da Lotario che cade in battaglia e da Camilla sofferente e rinchiusa in un convento.
Sia come sia e ricapitolando il tutto, il senso delle vicende rievocate, lo si voglia o no, è che lungo le direttrici del desiderio elaborato sul desiderio altrui tutti soccombono e la catastrofe è assicurata. Sia Candaule che Tarquinio (che verrà punito a sua volta) che Anselmo fanno tutti una brutta fine per avere offerto “l'oggetto” desiderato al rivale dopo averlo provocato. Mossi dal desiderio mimetico compiono i loro errori senza avere il tempo, come Don Chisciotte, di riaversi e riprendersi dalla loro pur normalissima, nella fattispecie erotica, follia imitativa di desiderare che l'essere amato sia loro infedele. Il fatto nuovo è che a nessuno oggi piace riconoscersi in un Candaule o in un Collatino o in un Anselmo, indotti, per rigenerare il proprio desiderio a ricorrere agli stratagemmi descritti. Per riconoscersi in uno di loro bisognerebbe mettere in dubbio il dogma dell'autenticità del desiderio e della sua spontaneità e originalità, e riconoscere la capacità di trasfigurazione dell'oggetto del proprio desiderio attuata dal mediatore o intermediario, si chiami esso Gige, Collatino o Lotario.
E' rifacendosi a questi temi e ispirandosi a Crommelynk, che, con l'aiuto di Diego Fabbri, Ettore Scola e Ruggero Maccari, Antonio Pietrangeli gira nel 1964 “Il magnifico cornuto”. Nel film si racconta la gelosia che un industriale bresciano, interpretato da Ugo Tognazzi, prova per la bella moglie, interpretata da Claudia Cardinale. Un'ossessione che non trova pace se non quando, spinta dalla situazione ad inventarsi un amante di cui non avrebbe bisogno, la donna non riesce a rendere felice il marito facendosi un amante questa volta vero, ma che a quel punto gli terrà nascosto. Se tutto nel film finisce bene, questo non toglie che la sua conclusione pacifica segni il cambiamento dei tempi. Il fatto è che il “desiderio della donna d'altri”, così come la masturbazione, perno per lo meno mentale dei comportamenti descritti nelle storie ricordate, sono ormai esclusi dai divieti e dai comportamenti indicati come fonte di disordine sociale. Diventati dei calmanti e dei diversivi, hanno subito la stessa sorte toccata alle iniziative di Candaule, Collatino e Anselmo, finite nel catalogo delle curiosità culturali e filologiche.
Stando così le cose, pensare il desiderio come ha insegnato René Girard è un'esigenza centrale e un esercizio illuminante. Anche inteso come puro istinto, il desiderio rimane un fenomeno disorientato che non sa dove andare senza l'intervento di un mediatore esterno che lo indirizzi. Tra i vari desideri – di vedere sapere avere –, la concupiscenza carnale è altrettanto eterodiretta. Come il raffreddore e la scarlattina o altre malattie infettive anche il desiderio carnale “si prende” da qualcun'altro per qualcosa e per qualcuno. Come ne “I due gentiluomini di Verona” succede che dove va Valentino va anche Proteo e alla scelta di una donna da parte del primo segue quella del secondo, così, senza intermediario e senza mediatore il desiderio gira a vuoto, anche se sembra il contrario. Le storie esemplari di Candaule, Collatino e Anselmo, per quanto lontane nel tempo, continuano a dimostrarlo raccontando l'impazienza del desiderio anche quando i modelli sono inventati per riattivare il contagio. Alla nascita di esso, come al suo mantenimento, è sempre presente un terzo.
Pensare l'insufficienza del desiderio è dunque capire come a Candaule, a Collatino e a Anselmo non basta avere Nyssia, Lucrezia e Camilla, tutte e tre fiori di bellezze. Ognuno di loro ha infatti bisogno di inventarsi dei rivali. Protagonisti delle tre vicende non sono pertanto la morte di Candaule, o quella di Lucrezia insieme al dramma dell'identità distrutta e infangata dallo stupro, o la triste fine di Camilla, quanto la potenza sconvolgente del desiderio copiato su cui la satira ha fatto luce. L'eros e la concupiscenza, checché se ne dica, sono sempre mimetici e imitativi. Il tentativo di Platone di separare l'amore dalla mimesi e dalla triangolazione per nascondere le realtà del contagio mimetico non è riuscito e per il momento le donne continuano a denudarsi sulle spiagge e sul bordo delle piscine, come si diceva all'inizio.
di Oddone Camerana
Leggi Riparliamo di concupiscenza di Giuliano Ferrara
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