Nove colonne

Un dicastero per giornale e nessuno si fa male

Redazione

Giornale che vai, ministro che trovi. Impazza il totogoverno nella grande stampa, tutti i direttori nominano i membri del nuovo esecutivo e comincia da par suo il Corriere della Sera con una lussuosa rosa di ministri.

    Dal Foglio del 15 marzo 2008

    Giornale che vai, ministro che trovi. Impazza il totogoverno nella grande stampa, tutti i direttori nominano i membri del nuovo esecutivo e comincia da par suo il Corriere della Sera con una lussuosa rosa di ministri. C'è Giulio Tremonti assiso sul trono della pagine di via Solferino e la scelta dell'intelligentissimo economista di Arcore serve certamente a far dimenticare l'endorsement assegnato a suo tempo all'uomo che sul giornale di Paolo Mieli non si può più nominare, ma anche a fare passino passetto verso la radiosa prossima stagione del Cav. Ma siccome il Corriere è bi-sex (satira, satira, satira, per carità) ecco che Paolo Mieli, da par suo, lancia in duplex (e non in latex, satira) un ministro del centro-sinistra, ossia Pietro Ichino, il giuslavorista che, se pur baffuto, non è impresentabile come Raffaele Lombardo.

    Tutto il Corriere si mobilità per riempire le caselle dei ministeri. La Rodotà, per far dispetto alla Melandrà, piuttosto che alla Brambillà, lancia la bella Madia, prima che vada via. Il vicedirettore Pierluigi Battista, storico di suo, lancia la candidatura di Sergio Luzzato come ministro per la Censura, non sia mai che poi il nuovo governo faccia circolare impunemente i miasmi del neo-ciarrapichismo. L'altro vice, Di Vico, propone invece un ministero senza portafoglio per Clemente Mastella. Indirettamente è una compiacente carezza per un influente membro del patto societario Rcs, Diego Della Valle, sono pur sempre uomini di mondo in via Solferino, e Beppe Severgnini avoca a sé il dicastero dell'ilarità. Così, finalmente, per decreto e con l'intervento della forza pubblica, qualcuno potrà essere costretto a ridere.

    Giornale che vai, ministro che trovi. Non può essere da meno il Tg1 che, sotto la guida di Gianni & Riotto detto Johnny, invoca una dittatura a rete unificate di Totò Cuffaro, l'eroe di Raffadali. Una presa di posizione quella del direttore che turba non poco però la coscienza democratica dell'Isola. Il Giornale di Sicilia e la Sicilia, infatti, in rotta con Riotta, alla guida dell'irredimibile vogliono il duo antimafia. Che non sono né Lo Bello, né Lumia, né santa Rosalia, ma Gianfrancuzzo Miccichè e Marcellino Dell'Utro.

    Giornale che vai, ministro che trovi. Le reti Mediaset lanciano il costituendo “ministero della Femminilità”. Certo, per fare piacere a Berlusconi e coordinare così le richieste di matrimonio con i figli maschi di lui delle precarie dei call center, ma Tg5, Tg4 e Studio aperto vedono già al dicastero la Brambillà e i non candidati Alfredo Biondi e Lino Jannuzzi, presto recuperati nel ruolo di sottosegretari.

    Giornale che vai, ministro che trovi. Anche la Repubblica, pur conscia di votare secondo indicazione di Carlo De Benedetti, ovvero la Tessera n. 2 del Pd, non si sottrae alla responsabilità di indicare un proprio ministro. Ed è la Tessera n. 3 del Pd, ossia Peppino Ciarrapico, ad avere il viatico quale ministro degli Affari riservati. Con un editoriale in prima pagina, scritto di sabato per togliere spazio al Fondatore, c'è il principe Caracciolo in persona che lancia la candidatura del Ciarra: “Saremo in buone mani”, questo il titolo. Ovviamente anche il Fondatore ha le sue idee in tema di ministeri. Quello delle Pari opportunità lo vuole per Io, quello dei Beni culturali lo vuole per Tu e quello dell'Ambiente, infine, per le Rose. Nove colonne ha ovviamente approfittato del non ancora presente ministero dell'Ilarità per strappare una tipica e sciocchina battuta alla Severgnini. Giornale che vai, Severgnini che trovi.