L'animalismo teorico è nemico della ragione (e degli animali)

Redazione

Nella Spagna di Zapatero che si accinge a legiferare in base al Progetto Grande Scimmia, nato dall'animalismo come filosofia e programma politico, è l'inizio di una rivoluzione che vuole riscrivere il significato del termine “diritto”?

    Roma. Nella Spagna di Zapatero che si accinge a legiferare in base al Progetto Grande Scimmia, nato dall'animalismo come filosofia e programma politico, è l'inizio di una rivoluzione che vuole riscrivere il significato del termine “diritto”? Francesco D'Agostino, che è filosofo del diritto e presidente onorario del Comitato nazionale di bioetica, dice al Foglio che “prima di tutto va distinto un animalismo che definirei ‘spontaneo', sempre più diffuso nel buon senso comune, e un animalismo dottrinale e teorico: è quest'ultimo a essere davvero pericoloso e, direi, addirittura ripugnante. Il primo è il semplice atteggiamento di chi vede negli animali creature del buon Dio. Quando, a livello di esperienza comune, sentiamo esprimere dolore per un animale domestico morto che magari ha tenuto compagnia per anni a una persona, dobbiamo pensare che questo atteggiamento è un fortissimo antidoto contro la crudeltà”.

    Non è da esso che dobbiamo aspettarci uno svilimento dell'umano, dunque, “semmai una diminuzione della crudeltà, un desiderabile riconoscimento delle sofferenze altrui. L'animalismo che chiamerei ‘del buon senso comune' è un ottimo antidoto alle pulsioni di crudeltà, che possono essere smussate quando si ha un rapporto con un animale domestico. E' la ragione per cui ai bambini fa bene avere un animale, sotto il controllo dei genitori. Un bambino che si abitua ad aver cura di un animale ne ha sicuramente ottimi benefici, perché entra in rapporto con un essere di cui impara che non è una macchina e verso il quale impara anche a essere responsabile. Se si accetta l'antico precetto, ‘prenditi cura di tutto', dunque di te stesso, degli altri esseri umani, del mondo, perché non anche degli animali?”.

    Dal punto di vista appena descritto, prosegue D'Agostino, “non solo l'animalismo ha dimensioni positive, ma sarebbe giusto addirittura incrementarle, in un mondo in cui purtroppo è facile, al contrario, vedere aumentare l'indifferenza e il sadismo a tanti livelli. Fatta questa premessa, tutt'altra cosa è l'animalismo dottrinale e teorico, che è preoccupante e, come dicevo, ripugnante per varie ragioni. E' ottuso dal punto di vista filosofico, perché si ostina a non voler prendere atto di una verità che sta sotto gli occhi di tutti e che tutti i filosofi, prima di Singer e colleghi, hanno saputo mettere a fuoco. E cioè che per quanta somiglianza ci sia tra noi e gli animali, la dissomiglianza è sempre maggiore”. Questo significa che “anche se tra noi e gli animali, e soprattutto gli animali superiori, ci possono essere molti elementi di somiglianza, addirittura innumerevoli, gli elementi di dissomiglianza rimangono comunque prevalenti”.

    Una constatazione che, del resto, non scoraggia Singer e i suoi epigoni. Essi apertamente rimproverano alla specie umana il peccato di “specismo”, termine coniato a metà degli anni Settanta per descrivere l'asserita ultima frontiera di discriminazione dopo il razzismo e il sessismo. Gli esseri umani tendono a favorire gli esseri umani, e a Singer la cosa non piace. Non gli piace l'idea stessa di “appartenenza” all'umanità, un'appartenenza che diventa colpevole se in suo nome si “discriminano” gli animali: “La più imperdonabile colpa degli animalisti teorici – spiega ancora D'Agostino – è infatti quella di negare la differenza, di perdere il senso della diversità umana, per appiattire il rapporto uomo-animale in chiave ‘sensista': anche gli animali soffrono, quindi siamo uguali. L'imperativo diventa evitare la sofferenza, sia per gli animali sia per l'uomo”, da cui una serie di corollari ai quali Singer è molto affezionato. Detto con parole sue: “Anche con la più assidua assistenza possibile, alcuni neonati gravemente ritardati non potranno mai raggiungere il livello di intelligenza di un cane… La sola cosa che distingue il neonato dagli animali, agli occhi di chi vuole attribuirgli un ‘diritto alla vita', è il fatto che esso sia biologicamente un membro della specie homo sapiens, laddove scimpanzé, cani e maiali non lo sono. Ma usare questa differenza come base per garantire un diritto alla vita del neonato e non agli altri animali è, naturalmente, puro specismo” (“Liberazione animale”, Mondadori).

    Commenta D'Agostino: “Il dramma di questo animalismo, alla fine, è che invece di accrescere la nostra conoscenza della realtà animale, impoverisce la nostra conoscenza della realtà umana. Facendo una filosofia degli animali, Singer fa una pessima antropologia e contribuisce a destrutturare la riflessione antropologica. Una perdita secca su due fronti”. Una perdita che può portare a soluzioni assurde, come quelle avallate da certe scelte in tema di ricerca. Raccontava proprio sul Foglio Assuntina Morresi che un progetto finanziato dal VI programma quadro dell'Unione europea (si chiama Reprotect, vi partecipano trentacinque tra università, centri di ricerca e industrie) prevede l'uso di cellule staminali embrionali umane, anziché di cavie animali, per effettuare test di tossicità sulle sostanze usate nei cosmetici. Secondo D'Agostino “è solo uno dei paradossi inaccettabili ai quali porta il rovesciamento di prospettiva che privilegia l'animale rispetto all'umano. In Italia, per esempio, la legge consente l'obiezione di coscienza sulla sperimentazione animale. Qualunque tecnico di laboratorio può rifiutarsi, ed è coperto dalla legge, di fare sperimentazione sugli animali, ma se il direttore di ricerca gli chiede di fare sperimentazioni sull'uomo non può rifiutarsi”.

    D'Agostino aggiunge una buffa spigolatura: “Faccio parte di una commissione che esamina i film. Nell'ultimo ‘Resident Evil', il rappresentante animalista nella commissione ha chiesto di tagliare le scene con due cani zombie cattivissmi, uccisi dalla protagonista, Milla Jovovich, mentre nulla aveva da obiettare sui massacri tra umani, più o meno zombie”. E' l'animalismo teorico che lavora concretamente a un declassamento dell'umano? D'Agostino non ritiene che “esista un progetto subdolo con questo obiettivo. Credo piuttosto che siamo sempre meno in grado di pensare seriamente a chi è davvero l'uomo. Questo favorisce la nascita di pseudo-antropologie: una è quella dei ‘diritti degli animali'. L'altra è quella dei cyborg. ‘I robot hanno diritti?', sentiamo chiedere. Se elaboro un'antropologia illuministica e infantile, che riduce l'uomo alla capacità di ragionare, devo concludere che un robot computer vale più di un uomo qualsiasi. Ma il valore umano non può essere ridotto a un razionalismo calcolante e nemmeno alla dialettica piacere-dolore”.