Il viaggio di Daniele Raineri a Casal di Principe
Camorra a occhio nudo
Ovviamente Casal di Principe, capitale della camorra, sembra la Svizzera. Segnaletica impeccabile, strade in ottima condizione, cartelloni pubblicitari sostituiti di fresco, neanche una scritta sui muri (in verità una scritta c'è, sul muro della scuola media, e informa che “il preside è un ricchione”), ogni metro quadrato di campagna attorno è lavorata da mani operose.
Casal di Principe. Ovviamente Casal di Principe, capitale della camorra, sembra la Svizzera. Segnaletica impeccabile, strade in ottima condizione, cartelloni pubblicitari sostituiti di fresco, neanche una scritta sui muri (in verità una scritta c'è, sul muro della scuola media, e informa che “il preside è un ricchione”), ogni metro quadrato di campagna attorno è lavorata da mani operose. I bivacchi della prostituzione si fermano rispettosamente almeno venti chilometri prima, tra Aversa e Capua, e poi riprendono in crescendo verso il mare, sulla Domiziana, da tempo ribattezzata “la nigeriana”. I ciclisti passano a gruppi e indossano il caschetto regolamentare. Chi si aspetta un territorio perduto, un angolo di casertano fuori controllo e da favela, resta deluso. Ci sono è vero i sacchi di spazzatura ammonticchiati all'ingresso del paese, ma questo è un problema di tutta la regione, e comunque qua persino l'immondizia è buttata con disciplina in un piazzale periferico, come da chi è rassegnato: il problema appartiene all'ordine delle cose e sarà presto risolto in altro modo che non è quello della contestazione o dell'improvvisata chiassosa (due giorni dopo, proprio quando è arrivato Walter Veltroni, l'immondizia è stata fatta sparire nel nulla). Questo è territorio controllato alla perfezione. L'omicidio dell'imprenditore edile Michele Orsi, avvenuto tre domeniche fa, è il primo nella zona da tre anni. Chi arriva a Casale svizzero per vedere il crimine da vicino fa soltanto una confusione grossolana tra il produttore e il prodotto: è come arrivare al tavolo del consiglio di amministrazione della British Petroleum e stupirsi di non vedere bidoni di benzina. Qualcuno qui ricorda uno scippo? “Mai sentito”.
Il controllo è anzi doppio, è come se i ventimila casalesi vivessero nella giurisdizione di due tribunali concorrenti, quello dei clan – scrivilo, mi raccomando, i clan, i casalesi non sono un blocco unico – e quello dello stato. Che non è affatto assente. Da qualche anno c'è un'intera compagnia di carabinieri, settanta-ottanta uomini, e appena prima dell'omicidio Orsi sono arrivati anche cinquanta poliziotti, per ora sistemati in hotel e appartamenti in affitto, in attesa che i lavori nella nuova sede finiscano: molto presto, considerato che procedono con efficienza germanica, l'autorizzazione del Comune agli scavi per la linea telefonica è arrivata “in giornata”, un record mai registrato prima nella storia dei lavori pubblici campani. Il controllo di polizia è così ostentato che quasi dà fastidio: i carabinieri fanno posti di blocco a gruppi di quattro-cinque, indossano il giubbotto antiproiettile e tengono la pistola fuori dalla fondina, in mano, come se da un momento all'altro dovessero difendersi dall'agguato quotidiano. “Chisti stanno proprio convinti”, ridono dietro le finestre e nei bar. Probabilmente hanno molta più paura dell'arrivo di una buona squadra di fiscalisti. Come hanno imparato a loro spese tutti gli eserciti regolari alle prese con i guerriglieri, il controllo fisico del territorio è poca cosa se non hai il controllo sugli uomini, se non hai alcun appiglio sulle persone.
Questa è la scena dell'uccisione di Michele Orsi, nove giorni fa (che è stata una cafoneria nel mezzo di Casale, un rutto nel centro del salotto degli stake holder). Il gruppo di fuoco lo ha aspettato a bordo di una Smart: la solita motocicletta di grossa cilindrata con i sicari a bordo doveva sembrare una precauzione inutile. Gli investigatori hanno dovuto stabilire l'ora della morte a spanne, tra le 13 e 25 e le 13 e 35, perché nessuno ha risposto alle domande. Nessuno sa dire la direzione presa dall'auto per uscire di scena. Quelli si sono fatti sotto e lo hanno fulminato? No. Gli hanno sparato davanti al Roxy Bar: dall'altra parte c'è un campo protetto da una rete, la strada è larga al massimo 5-6 metri, due pistole hanno esploso 18 colpi, come nel tiro alle oche, di cui solo cinque sono andati a segno, quattro se si esclude il colpo di sicurezza, dato da pochi centimetri di distanza. Hanno scelto la pioggia di spari dall'altro lato della strada. La saracinesca del bar è andata giù subito, le finestre si sono chiuse e si sono riaperte soltanto quando la polizia ha cominciato i rilevamenti.
Gli ideologi di al Qaida in Iraq lo spiegavano bene ai loro uomini: non è importante che la zona nostra diventi impermeabile al passaggio degli americani e che loro non riescano a mettere più piede qua, perché in fondo tutti i territori sovrani si devono rassegnare a essere violati di continuo nel proprio spazio, con satelliti-spia e aerei, non esistono più palizzate e muraglie in grado di tenere fuori i nemici: ma è importante che la gente del posto continui a essere leale e obbediente e rispettosa con l'emiro e l'organizzazione e le sue leggi. Giovedì i ragazzi del liceo hanno deposto un mazzo di fiori sul luogo dell'esecuzione.Venerdì mattina non c'era già più: “Il vento lo avrà portato via”. E se si cercano manifesti funerari se ne trovano soltanto tre, su una decina che sono gli spazi d'affissione pieni in tutto il paese.
Il giorno dopo l'omicidio, il Mattino ha scritto di caroselli in macchina dei clan, con clacson e mani a forma di pistola in piazza. Gli abitanti e pure le forze dell'ordine smentiscono: nulla di nulla. Pare una cafonata, per chi amministra questo tipo di giustizia, fatto di intimidazioni e omicidi, in modo puramente utilitaristico, senza passione, come per appianare una sporgenza o sciogliere un contratto di affari che oramai non si sa più come risolvere altrimenti. La camorra non strombazza, tantomeno dopo essersi ritagliata questo pezzo di cuneese a venti chilometri da Napoli. Giovedì scorso, mentre in chiesa si celebravano i funerali di Orsi – corteo funebre semideserto, nessun politico, il sindaco ha scelto di presenziare alla vicina Festa dell'Arma dei Carabinieri – a meno di un chilometro s'è sposato un figlio di Francesco Schiavone, “Sandokan”, il capo dei capi dei casalesi. La polizia è arrivata al banchetto nuziale sul mare per identificare tutti i duecento invitati – è anche la scena iniziale del Padrino di Mario Puzo – mentre la madre dello sposo minacciava la crisi di nervi. Ventisei pregiudicati presenti, tutti con le carte in regola per essere lì. In un angolo del ristorante però c'erano tre tavoli con la scritta “amici”. Vuoti.
La presenza della camorra, a Casale, s'indovina così, in assenza, come fanno gli astronomi quando studiano l'esistenza di un buco nero, punto senza luce invisibile verso cui precipitano tutti i corpi celesti attorno, una non presenza che deforma e distorce il paesaggio. E' un 2+2 =5 che suona fesso, cavo. I cartelli al comizio di Veltroni dicono: “Castellammare contro il clan D'Alessandro”; “Pompei contro il clan Cesarano”; “Torre Annunziata contro il clan Gionta”. Ma come, fai una manifestazione “Distruggere la camorra” a Casal di Principe e non c'è nemmeno il cartello contro i casalesi? Sarà volato via col vento anche quello, con il mazzo di fiori.
Davvero non c'è traccia alcuna di camorra sul viso di Casal di Principe? Non è proprio così. Che si tratti di una zona militarizzata è evidente dalle abitazioni, da come sono state costruite e modificate negli anni: sembra incredibile, ma ci sono strade nel paese in cui tutte le case non hanno porte né finestre. Ci sono invece enormi portoni di ferro o di legno massiccio, alti anche quattro metri, senza nemmeno una fessura. Da dietro arriva solo il rimbombo metallico di qualche cane che latra. Le finestre non ci sono, sono state murate, se ne vede solo una fila appena sotto il tetto. Rigorosamente chiuse. Sul citofono non c'è scritto nulla, per l'aurea regola “Se lo sai lo sai, se invece non lo sai che cazzo vuoi qua?”. E' camorra applicata all'architettura. Su ventimila abitanti, mille sono imprenditori edili, pronti a trasformare il paese secondo le indicazioni ricevute. Il Roxy Bar, dove è stato freddato Orsi, ha quattro colonne doriche sul davanti. Walter Schiavone, fratello di “Sandokan”, ha consegnato all'architetto direttamente la videocassetta di Scarface, il film di Brian de Palma con Al Pacino, e gli ha detto: “Fammene una copia esatta, con le due scalinate circolari, la fontana e tutto”. Una casa, a poca distanza dal Roxy Bar, ha invece la facciata e le larghe finestre composte a forma di numero dieci: in onore dello scudetto del Napoli, quando Maradona era attaccante. In generale, lo stile scelto è quello delle grandi hacienda messicane: alti muri bianchi, portoni impenetrabili, giardini freschi dove nessuno può guardare. E telecamere che sorvegliano l'esterno (molti pregiudicati casalesi hanno l'obbligo, disatteso puntualmente, di non installare sistemi di videosorveglianza al di fuori dei propri portoni).
Un altro dettaglio stona, in questo cantone ordinato di casertano: il numero di Mercedes Benz, di Audi, di Jaguar. “La verità – dice un ragazzo sotto al palco di Veltroni che parla – è che da qua parecchie imprese edili vanno a lavorare onestamente in tutta Italia, fatta eccezione per il meccanismo truccato di assegnazione degli appalti regolato dai clan: tutto il paese vive di quel lavoro pulito che arriva in modo sporco. Considerato che nella maggior parte dei casi i camorristi si ammazzano tra di loro, se qui ci fosse un referendum di conferma i casalesi vincerebbero”.
Giù in città
Poco più in là, a meno di una ventina di chilometri, comincia già a' sfaccimme, il suk arabo, la conurbazione sbudellata. Aversa, Melito di Napoli, Napoli area nord, a' 167, la cintura residenziale tirata su con la legge 167 sull'edilizia che finanziava la costruzione di alloggi popolari. Un canyon di case basse lungo una quindicina di chilometri conduce senza interruzioni fin dentro la città. Due carreggiate, piramidi di sacchetti di spazzatura che cominciano a smottare e promettono peggio quando arriverà il caldo vero, traffico bloccato a meno di dieci chilometri all'ora. Passo d'uomo. Acqua ca nun cammin' fa pantane e fete, l'acqua che stagna si fa palude e puzza. Il guidatore dell'autobus legge i titoli del giornale, il camionista butta dal finestrino la carta del pranzo. Si sbuca infine a Secondigliano. La grande differenza tra la “camorra di campagna” e quella urbana è che qua il controllo militare è ossessivo. Sulla sinistra, in salita, dopo le tre grandi rotonde di Scampia, comincia lo smercio al dettaglio di droga, il via vai di consumatori, gli eroinomani che non riescono ad aspettare e si bucano accovacciati in gruppetti agli angoli dei marciapiedi, sotto la luce del sole. La milizia locale del clan ha fatto un buon lavoro: nessuno si sogna di accompagnare dentro un giornalista, è zona tabù. I tassisti si negano, “Che cercate? Laggiù non c'è nulla”, i ragazzini indicano la direzione ma rifiutano di fare da guida. “Levateve o' casco, fa paura”. La camorra è una cosa seria, è lavoro in opera, è castigo puntuale e veloce, qui è una delle poche cose in movimento perpetuo, che non fa pantano e non fete. Non si può muovere un solo passo dentro o' territorio dei clan senza che le loro sentinelle armate entrino in allarme. Non ci si può avvicinare alle grandi volte buie delle Vele che nascondono il passaggio di mano veloce, soldi contro droga, e nemmeno alle facciate che cadono a pezzi: da ogni angolo le vedette si fanno sotto, sono appena maggiorenni, fiutano l'elemento estraneo da lontano un chilometro, fissano duro: “Chi cerchi?”. C'è il business in corso, non si può disturbare. “Vai via”. Temono i raid della polizia. In alto, dalle fessure dell'alveare di cemento qualcuno osserva, seduto sui magazzini di droga e sugli arsenali di armi.
Se a Casale i boss si sono fatti la villa in mezzo alle case, a loro immagine e somiglianza, e hanno trasformato il paese in un dedalo di muri ciechi, a Scampia la camorra ha già trovato tutto fatto, un obbrobrio finto futurista che inviterebbe chiunque a costituirsi in clan armato, in comunità offesa e con licenza di offendere. In questi giorni nei cinema è uscito “Tropa de Elite”, un film sul crimine nelle periferie di Rio de Janeiro, zeppo di ragazzini con gli occhi pieni di droga che scorazzano e si sparano con fucili d'assalto. Paragonate alle piramidi depravate di Napoli, le favelas brasileire che fanno da sfondo nel film sono gruppi pittoreschi di casupole che si arrampicano su colline smeraldo alle spalle della città. Il controllo militare del territorio così esasperato da parte della camorra ricorda da vicino le “no go area” del medio oriente, le aree interdette alla presenza dei soldati governativi. I campi profughi sunniti in Libano, gli emirati autoproclamati dagli estremisti in Iraq, le signorie dei contrabbandieri sciiti nel sud. Dove il casino da banlieues comincia ad alzarsi di livello, a diventare prova tecnica di feudo. Visti in questo modo, tutti i gesti di ossequio della gente hanno un senso. I casalesi non uccidono nessuno per un mazzo di fiori posato sulla scena di un omicidio, o per qualche cartello innalzato durante un comizio politico di un'ora, o per finestre tenute aperte all'arrivo della poliza, e non pudicamente sbarrate. Loro sono businessmen spicci, che badano al soldo, minimo sforzo e massimo risultato. Ma intuiscono che le esibizioni di rispetto, soprattutto quando non richieste, sono arcana dominationis, tecniche che aiutano nell'esercizio del potere.
Il nuovo mercato
Eppure anche qui alle Vele è arrivato il tempo del declino. La polizia in borghese che circonda la zona dice che da tre mesi a questa parte le cose stanno cambiando, c'è troppa attenzione, la visibilità interferisce con gli affari, il traffico illecito ha bisogno di santa pace per scorrere. “I boss sono in difficoltà, questa è gente abituata a spendere 500 euro al giorno, ora che gli raccontano alle mogli?”. “E' tutto diverso rispetto a prima, adesso non usano nememno più i telefonini, mandano direttamente i ragazzini a fare da ambasciatori, mi vorrei incontrare con te alla tal'ora nel tale posto. Segno che si sentono pressati”. Sono veramente così pressati? “C'è sempre stato un codice tacito, quando loro ci vedono si comportano normalmente e ci evitano l'obbligo di intervenire, ma ora hanno tutti gli occhi puntati addosso. Non per nulla adesso il mercato si sta spostando a San Giovanni a Teduccio, è la nuova zona di riferimento”. Quartiere ammare, direzione Portici, con zone già ben posizionate sulla scala Gomorra della fama criminale, come il rione Bronx e quello Pazzigno.


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