L'Unione europea ha tolto le sanzioni contro Cuba

I misteri di Raul Castro, il vero comunista dell'Avana

Maurizio Stefanini

E' Raúl Castro il vero comunista, non Fidel. Però è anche il fratellino minore. L'uno e l'altro particolare peseranno in maniera speculare, ora che finalmente è diventato il nuovo capo di stato di Cuba. Di cinque anni più giovane, nella faccia Raúl assomiglia molto a Fidel.

    Dal Foglio del 26 febbraio 2008

    E' Raúl Castro il vero comunista, non Fidel. Però è anche il fratellino minore. L'uno e l'altro particolare peseranno in maniera speculare, ora che finalmente è diventato il nuovo capo di stato di Cuba. Di cinque anni più giovane, nella faccia Raúl assomiglia molto a Fidel. Ma la statura più bassa, il fisico mingherlino, l'aver sempre preferito a una barba carismatica due baffetti da barbiere di paese gli hanno dato un'immagine da copia sbiadita. Anche accentuata dall'essergli sempre vissuto nell'ombra. Con lui, oltre che con l'altro fratello Ramón, fu infatti cacciato per teppismo, quando erano ragazzini, dalla scuola salesiana che i tre frequentavano: particolare che Fidel ha ancora di recente raccontato con rabbia nel libro-intervista a Ignacio Ramonet. “Vennero a prendermi i miei genitori, e il direttore disse loro che i loro tre figli erano i tre peggiori delinquenti che avessero mai messo piede in quella scuola. Si figuri, un delinquente Raúl, che era al primo anno! E Ramón, che era un angelo!”. Assieme i due sarebbero stati arrestati dopo il fallito assalto al Moncada del 1953; assieme sarebbero stati amnistiati, esuli in Messico e imbarcati sul Granma; e di Fidel, infine, Raúl sarebbe stato l'eterno vice. La sua elezione di domenica a presidente del Consiglio di stato è venuta non solo a 46 anni dalla sua nomina a numero due del regime, ma anche a 17 mesi dal suo assumere i poteri di fatto lasciati da Fidel dopo la malattia.
    Anzi, in realtà la trasmissione dei poteri non è neanche finita. “Sollecito in questa Assemblea, come organo supremo del potere nello stato, che le decisioni di speciale trascendenza per il futuro della nazione, soprattutto quelle vincolate alla difesa, alla politica estera e allo sviluppo economico del paese, mi permetta di consultarle con Fidel”, ha detto, ricevendo l'ovvia ovazione dei deputati. Lui il ministro della Difesa e l'uomo di riferimento dei militari, dal 16 febbraio del 1959. Lui è l'uomo che nel corso dell'ultima visita di Lula gli ha chiesto di mediare tra Cuba e gli Stati Uniti, secondo quanto ha rivelato la stampa brasiliana. Lui è il regista della pur moderata apertura economica del 1997, in seguito a un suo viaggio a Pechino ad apprendere dal modello del comunismo di mercato cinese. Insomma, chiede la sua supervisione proprio in quei campi dove dovrebbe capirne più di Fidel. Ma d'altronde ha preso la carica recitando la formula: “Assumo la responsabilità che mi si affida nella convinzione che il comandante in capo è uno solo”.

    Basta con le adunate oceaniche
    E' un'immagine dunque tanto dimessa, quella di Raúl, che su di lui sono circolate anche voci di omosessualità: magari calunnie, ma che nessuno sul machissimo Fidel si sarebbe sognato di inventare. Eppure, il rovescio della medaglia è che in realtà era Raúl il militante comunista e il convinto filo-sovietico, all'epoca in cui Fidel aveva addirittura simpatie fasciste, o militava nel confusionario Partito ortodosso di Eduardo Chibás. Fu lui a pilotare sulla rotta per Mosca l'evoluzione di una rivoluzione che in principio si autodefiniva “non rossa, ma verde come le palme”. E, in seguito, è stata sempre la sua minuziosità di burocrate a sostenere la vita corrente del regime, molto più che non il fascino romantico di Fidel. Ci voleva comunque un comunista di vecchia scuola, alla Togliatti, per avere il coraggio di fare la svolta copernicana dell'apertura del 1997, proprio mentre Fidel si baloccava nel suo “socialismo o morte!”. E di questi 19 mesi di interim a Cuba si è detto che non è cambiato niente nel fondo, ma molto nella forma. Non più discorsi interminabili; non più adunate oceaniche; non più presenza permanente del leader in tv. Al loro posto, osservazioni dimesse che forse non significano in realtà niente, ma possono anche far sperare molto. “Bisognerebbe costruire un paese nuovo”, ha detto Raúl ai ministri. “Dalla discrepanza usciranno le migliori decisioni. Discutano a sazietà”, è stata una sua esortazione agli universitari che può evocare i “cento fiori” maoisti. Questa è invece la versione Raúl del gatto che acchiappa il topo e non importa che colore ha di Deng: “Bisogna prima produrre latte perché poi si possa berlo”. Inezie. Ma che avrebbero inquietato Hugo Chávez, che Raúl ha sentito il bisogno di chiamare in diretta tv, per rassicurarlo sulla continuazione dell'alleanza.
    Certo, nel contempo Raúl ha però continuato con i toni da glasnost. Ha promesso di “soddisfare le necessità basiche della popolazione”. Ha garantito la prossima “rivalutazione del peso cubano”, con l'uscita da un sistema di doppia valuta che esclude gran parte della popolazione dai negozi più forniti. Ha perfino promesso di iniziare a sfoltire “l'eccesso di proibizioni e regolazioni”.

    Gli altri passaggi di potere
    Dov'è la cosmesi: nelle riforme o nella fedeltà a Fidel? Al posto del promosso Raúl non è andato come in molti scomettevano il 56enne Carlos Lage, altro padre delle riforme del '97, ma il vecchio oltranzista José Ramón Machado Ventura: un reduce dalla Sierra Maestra di 77 anni, che tutto suggerisce meno che l'immagine di un nuovo che avanza. Per sostituire Machado tra i cinque vicepresidenti di rango inferiore è andato il generale Julio Casas Regueiro, numero due di Raúl alla Difesa. Neanche lui un giovanotto, con i suoi 72 anni. Ma è uno dei “cinque generali” della nomenklatura militare che ha preso in mano l'economia dopo il 1997. Con lui, responsabile della grande holding Gaesa, c'è Ulises Rosales del Toro, ministro dello Zucchero. E Luis Pérez Róspide, direttore della società turistica Gaviota. E Rogelio Acevedo González, presidente della compagnia aerea. E Ramiro Valdés Menéndez, l'uomo dell'industria elettronica. Controllano 300 imprese, l'80 per cento dell'export, metà delle entrate del turismo. Sono loro i possibili futuri oligarchi di Cuba.