Girotondo del Cavaliere

Redazione

Il Cav. si fa il suo girotondo. A colpi di leggine killer. Il nuovo clima variamente benedetto da ogni parte rischia di incocciare in una tempesta sterminatrice che riporterebbe questo paese dritto dritto al 2001, anno d'esordio del penultimo governo Berlusconi tra un girotondo e l'altro. La questione sollevata dagli emendamenti dei due deputati della maggioranza è sempre la stessa.

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    Il Cav. si fa il suo girotondo. A colpi di leggine killer. Il nuovo clima variamente benedetto da ogni parte rischia di incocciare in una tempesta sterminatrice che riporterebbe questo paese dritto dritto al 2001, anno d'esordio del penultimo governo Berlusconi tra un girotondo e l'altro. La questione sollevata dagli emendamenti dei due deputati della maggioranza (Filippo Berselli e Carlo Vizzini), che azzerano per un anno il processo Mills per corruzione in atti di giustizia a carico del Cav., dandogli tempo di varare una legge di salvaguardia più corposa, sul modello del famoso decreto Maccanico-Schifani sulla tutela dei vertici dello stato dall'invadenza della magistratura, è sempre la stessa. Berlusconi non si fida della giustizia italiana. Le imputa apertamente da molti anni di averlo messo sulla graticola, di averlo perseguitato, non perseguito, in forme accanite, speciali, ad personam. E adesso, dopo aver vinto parecchie elezioni su questa piattaforma antigiustizialista e autodifensiva, torna a rispondere con misure di autotutela ad personam. Queste misure hanno la caratteristica maliziosa di richiamare l'urgenza dei processi contro la criminalità che allarma l'uomo della strada, rinviando quelli che allarmano il presidente del Consiglio.

    Con questa impostazione, non si sa se efficace, non eccezionalmente elegante, ma politicamente comprensibilissima, Berlusconi ha costruito se stesso come candidato alla guida del governo, ha legittimato la propria leadership, cantato il profilo drammaturgico di un uomo o di un eroe popolare al quale una casta togata fa conoscere il dolore dell'ingiustizia per oscure mire politiche e per un riflesso ideologico di invidia sociale. Con mezzi simili Berlusconi ha castigato regolarmente una sinistra da lui giudicata elitaria e antiquata, bacchettona e moralista, che vuole soffocarlo sotto il peso di un conflitto di interessi di cui la gente comune si disinteressa perché ha altro a cui pensare e sa che i beni e gli interessi del suo condottiero sono lì, sotto la luce del sole, esposti al controllo dell'opinione pubblica. Chiedergli ora di rinunciare a battersi contro l'ennesima sentenza destinata a lacerare la sua immagine (per la galera, sorry, non ci sono più i tempi dibattimentali) è un po' curioso. Non lo fa la sua maggioranza, almeno per adesso, forse convinta di uno schema vincente che ha resistito a molte sfide e ha premiato tutti. Lo fa invece l'opposizione, sotto la sferza di Di Pietro, nonostante la strategia del Pd di Veltroni sia nata sulla base dell'accantonamento del conflitto di interessi come architrave della lotta politica e dell'adunata antiberlusconiana, per non parlare di un uso politico della giustizia amministrata dalle procure combattenti come fondamento di un'alleanza contra personam. Ma il morto, si sa, riacciuffa il vivo. Con le conseguenze, un po' monotone, che abbiamo richiamato.

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