Non c'è pace senza giustizia

Redazione

Prima il teatro tragico di tangentopoli, poi Forza Italia e l'avviso di garanzia aperitivo del ribaltone, Previti e la corda che tira giù il secchio Berlusconi e dunque i giudici matti, la batracomachia delle toghe, le citazioni di Montaigne, la politologia dello scontro tra poteri, la giustizia che imperversa come una bufera, magnifica e puzzolente; infine le assoluzioni, le prescrizioni, le leggi ad personam e l'incorrere salvifico della Cirielli. Tutto finito?

    Dal Foglio del 1 maggio 2008

    Prima il teatro tragico di tangentopoli, poi Forza Italia e l'avviso di garanzia aperitivo del ribaltone, Previti e la corda che tira giù il secchio Berlusconi e dunque i giudici matti, la batracomachia delle toghe, le citazioni di Montaigne, la politologia dello scontro tra poteri, la giustizia che imperversa come una bufera, magnifica e puzzolente; infine le assoluzioni, le prescrizioni, le leggi ad personam e l'incorrere salvifico della Cirielli. Tutto finito?

    La guerra della politica e la magistratura sembra chiudersi con la campagna elettorale del 2008, a Silvio Berlusconi scapperà una sola volta di proporre test attitudinali a cui sottoporre i giudici, solo una volta e quasi per sbaglio. Qualcosa forse è cambiato. Sembra finito lo scontro distruttivo tra giacobini torquemada e garantisti pelosi, la contesa si allenta e a poco servono le inquietanti comparsate di De Magistris e Forleo alla corte tribunizia di Beppe Grillo. La prosa d'odio dell'Italia impazzita non muore – certo – ma il panico e la guerra sembrano passare dalla tragedia alla tragica farsa. E se persino il ministro ombra della Giustizia, il democratico Lanfranco Tenaglia, dice che “sulla riforma dell'ordinamento giudiziario con il Pdl si può recuperare lo spirito bicamerale”, allora c'è del serio in Italia. Il fatto è che una modifica è intervenuta negli equilibri associativi della magistratura, la riforma Mastella ha mantenuto parte dell'impianto previsto dal suo predecessore Castelli, mentre al contempo Berlusconi ha risolto alcuni problemi giudiziari pendenti. A Milano, dicono gli avvocati del Cav., sono rimasti pochi “insignificanti” processi di “archeologia giudiziaria”, come il processo Mills e la vicenda dei diritti televisivi: “Imputazioni formali che non destano nessuna preoccupazione dal punto di vista sostanziale”.

    Ecco. Come aveva previsto qualche secolo fa il Guicciardini: “Quando sei in parti difficili o in cose che ti sono moleste, allunga e aspetta tempo quanto puoi, poiché quello spesso ti libera”. E una volta libero il Cav., liberi tutti, “tutti a casa”, anche la guerra è finita. “Vero – dice Michele Vietti – ma può anche darsi che il fuoco covi sotto la cenere”. Parola di ex sottosegretario Udc alla Giustizia del governo Berlusconi.

    L'Associazione nazionale magistrati è spaccata. Le ultime elezioni associative al parlamentino dei togati hanno registrato la vittoria di Magistratura indipendente, la parte conservatrice, la destra dei giudici. Contemporaneamente Magistratura democratica e i Movimenti di Armando Spataro, la sinistra schierata in prima linea a difesa delle prerogative costituzionali della magistratura, hanno subito una flessione consistente. Md è passata da 1.976 rappresentanti a 1.582, resistendo solo in Cassazione, dove non si esprime il giovane voto deideologizzato dei magistrati di prima nomina. Una sconfitta della sinistra che tuttavia non ha portato Mi al governo della giunta esecutiva, ma ha modificato gli equilibri spingendo dal monocolore della potente Unicost a un più largo schieramento di centrosinistra che comprende la sconfitta Md e il gruppo radicale dei Movimenti. La nuova giunta – ad eccezione di alcuni duri e puri – è costituita in parte da una nuova generazione di magistrati impegnati nella politica associativa, un gruppo considerato meno ideologico, più trasversale. Specie dalle parti del Pdl. A partire dal presidente stesso della Giunta, Simone Luerti, un pragmatico magistrato milanese che milita in Unicost ma è conosciuto per le proprie simpatie cielline.

    Sembra finita l'era in cui i giudici marciavano schierati in falange; la Giustizia, la Ragione, la Verità non brillano più, come stelle fisse, nel cielo giacobino di Milano. Si chiude forse l'epoca degli Spataro e dei Piercamillo Davigo, la melopea nasale di “noi siamo i migliori, per fortuna ci siamo noi”, o la risonanza tragica del “resistere, resistere, resistere come su una irrinunciabile linea del Piave”, declamato da Francesco Saverio Borrelli appena sei anni fa. Sia la vittoria della destra sia la nuova antropologia della Anm – nel centrodestra – fanno prevedere un clima meno teso e forse la fine dello scontro pregiudiziale nei confronti della politica. I conservatori di Mi si sono presentati come l'alternativa speculare della generazione combattiva che ha caratterizzato la politica togata e il conflitto controriformista negli ultimi anni. Accanto alla difesa delle prerogative costituzionali della magistratura, perno inossidabile del programma di Md, Magistratura indipendente ha rilanciato rivendicazioni di tipo parasindacale. Posizioni che hanno incontrato il favore di una gran parte dei magistrati in sofferenza non tanto per le ipotesi di riforma dell'ordinamento giudiziario, quanto per l'arretramento delle rivendicazioni economiche, l'organizzazione carente degli uffici e il problema dei carichi di lavoro esigibili. I giudici si sono scocciati dello scontro ideologico.

    Un esempio? Nella propria relazione nel corso dell'apertura dell'Anno giudiziario 2008 al distretto di Napoli, il giudice Francesco Cananzi denunciava carenze di personale togato in tutta la provincia; l'inefficienza delle circoscrizioni giudiziarie più piccole; carenza del personale amministrativo (60 per cento del necessario); pensionamento e mancata sostituzione di cancellieri, ufficiali giudiziari e commessi; assenza di risorse materiali informatiche; l'insufficienza dei locali e dunque il conseguente ritardo dei processi. Tutele e rivendicazioni che in passato l'Anm ha messo da parte in nome delle così dette istanze di primo grado: l'indipendenza dalla politica e le prerogative del Csm. Così le nuove leve della magistratura sono meno interessate alla contesa ideologica e di principio, ma pretendono maggiore dignità economica ed efficienza. “Un tempo l'associazionismo per i magistrati era tutto – dice l'ex Guardasigilli Clemente Mastella – ora sono specie i giovani a ritenere che sia una parte e una parzialità. Per un momento, ricordo, è corsa persino l'ipotesi di costituire un vero e proprio sindacato”.
    Il 19 aprile scorso, preso atto dell'esito elettorale, il comitato direttivo centrale dell'Anm ha emanato una risoluzione che chiede al nuovo governo di far decantare la riforma Mastella (solo dopo la sperimentazione “sarà possibile valutare la necessità o l'opportunità di interventi di correzione o modifica”) e di intervenire piuttosto “nella elaborazione di un progetto di riforma che abbia come obiettivi la ragionevole durata dei processi”. Il programma di governo sembra orientato verso entrambe le cose: un intervento tecnico e finanziario sull'organizzazione degli uffici giudiziari, ma pure un “superamento” della riforma Mastella che conduca progressivamente alla separazione delle carriere tra magistratura giudicante e inquirente.

    “Ma è una riforma difficile, da applicare con attenzione e comunque con il massimo di apertura nei confronti del centrosinistra e dei magistrati – dice Niccolò Ghedini, deputato e legale di Berlusconi – La separazione è un indirizzo culturale. Adesso l'importante è finire la riforma Castelli – spiega minimizzando – dobbiamo prima stabilizzare la separazione delle funzioni. Non si può improvvisamente imporre ai magistrati una rivoluzione copernicana. Si potrebbe immaginare di introdurre lentamente un nuovo sistema applicandolo alle nuove leve, ma questo si vedrà con l'accordo della magistratura”. Niente separazione, dice l'onorevole. Avvocato Ghedini, lei non era il falco antigiustizialista del Cav? “Sono sempre stato moderato io, il punto è che sembra superata l'aggressione da parte della magistratura. In cuor mio ho sempre considerato la maggioranza dei giudici gente che lavora molto e si lamenta giustamente delle carenze del sistema giudiziario”. Dov'è finito il Berlusconi che voleva rivoltare la giustizia? E' venuta meno l'emergenza democratica che, all'indomani della sentenza Pecorelli, lo fece sbottare: “Subito la riforma, la giustizia è impazzita, i settori politicizzati della magistratura cercano di cambiare il corso della politica democratica”? Che ne è rimasto delle riunioni fiume tra i forzisti “falchi” che premevano per la separazione delle carriere, il sottosegretario Vietti che mediava al ribasso e i leghisti che caricavano i fucili? Poco, sembra. E dire che fino all'approvazione della riforma Castelli e oltre, se c'era una cosa, una sola, sulla quale Silvio Berlusconi non ha mai arretrato d'un passo, questa era la giustizia. Persino con i suoi uomini, i suoi alleati, che ha sempre governato con leggerezza, lasciando che scalpitassero sulle pensioni o sull'immigrazione, permettendo a Fini di dare dell'arrogante a Tremonti, concedendo a Bossi di insolentire chi gli pareva. Berlusconi al governo fu molto liberale pure sulle quote latte, e aveva persino permesso ad An di votare con i comunisti di Rifondazione per bloccare la vendita dei beni immobili dello stato. Ma sulla giustizia, e qualche altro dossier, no. Su quello il Parlamento è sempre stato il bivacco di un solo cavaliere. Certo, di Pietro e la cultura del sospetto anticamera della verità – lo ha ripetuto pochi giorni or sono – continuano a fare “orrore”, ma tutto il resto sembra cambiato.

    Adesso il Pdl vuole coinvolgere la magistratura, mantenere al ministero il sistema d'integrazione dei giudici e percorre una strada “condivisa e graduale, scaglionata” verso una sempre più improbabile riforma dell'ordinamento. Nel campo della politica associativa, nella magistratura, l'opposizione feroce non ha pagato, ma è stata al contrario sanzionata dal voto della base. A vincere le elezioni è stata Magistratura indipendente quello stesso gruppo che nel 2002, con la giunta di Antonio Patrono, guidava l'associazione: nel pieno della guerra tra i giudici e il ministro Castelli arrivò a un accordo vantaggioso col centrodestra poi saltato per l'intervento della sinistra. Alla mediazione aveva partecipato anche il presidente Carlo Azeglio Ciampi, ma venne proclamata la lotta e si verificò uno dei pochi scioperi della magistratura nella storia repubblicana. Anche tra i giudici i tempi della trincea sembrano lontani.

    A una magistratura meno desiderosa di conflitti ma più attenta alle condizioni di lavoro, corrisponde una maggioranza parlamentare (il Pdl) più forte che nel quinquennio 2001-2006 per l'assenza dell'Udc che, sulla giustizia, con il sottosegretario Vietti, aveva costituito un contraltare all'azione del ministro Castelli. Il centrodestra non è solo più coeso, ma ha perso i toni fracassoni e di virulenza verbale del passato. E non è secondario. Come dice un magistrato romano di Cassazione: “Ai giudici puoi fare tutto, persino separargli le carriere. Ma se dici che sono tutti matti e che devono finire in galera, allora sì che s'incazzano”. E basta ascoltare Alfredo Mantovano, una delle candidature più quotate al ministero della Giustizia, per capire quanto i toni siano cambiati: “La guerra è finita, basta con i contrasti. Lavoreremo per rendere il lavoro dei magistrati meno oneroso e più efficiente”. E ancora Ghedini: “In Italia abbiamo un'ottima magistratura, persone dotate d'un grandissimo senso dello stato”. Tanto basta a intuire che forse poco altro potrà essere aggiunto al capitolo dell'infinito scontro tra il Cavaliere e i giudici. Perché come spiega il solito anziano magistrato, “ciò che ha aggravato lo scontro nel 2001-2006 non furono le proposte dell'ordinamento giudiziario, in realtà piuttosto pacate. Furono l'estremismo di un'ala della magistratura e lo sbraco verbale del centrodestra a esacerbare un rapporto che poteva anche restare nella normale dialettica istituzionale”.

    Si cucinava il ribaltone, con Berlusconi chiuso in una stanza della procura di Milano. Era il 1995 e Clemente Mastella, allora ministro del Lavoro, se ne dolse in un'intervista al Corriere: “Io gliel'avevo detto a Berlusconi: ‘Silvio, tu non puoi fare la guerra a tutti, a Bossi e a D'Alema, alla Banca d'Italia e ai sindacati, ai magistrati e al Quirinale, noi dobbiamo asciugare il rancore sociale, e tu invece lo incrementi'”. Ma dal 1995 Berlusconi è cambiato. Ed è lo stesso Mastella a riconoscerlo tredici anni dopo: “Ha acquisito una postura da statista, prima era più garibaldino, coltivava l'idea del contrasto permanente di tutto e tutti. Ora si presenta come l'uomo che risolve i problemi, non quello che li pone. Se prima uno sciopero dei magistrati lo avrebbe divertito, adesso sarebbe un evento da scongiurare. Scommetto che la scelta del ministro confermerà questa nuova disposizione d'animo”. Così non si fa più il nome di un leghista al ministero di via Arenula, ma di Elio Vito, Claudio Scajola, Alfredo Mantovano. Cosa cambia? La giustizia leghista era il cappio esibito in Senato, la promessa di “liquidare i magistrati con le mani ma anche con le pallottole”, l'idea di “abolire con un referendum l'intero sistema giudiziario”, gli insulti al pm Papalia in difesa del povero golpe della Serenissima per non citare la minaccia di “drizzare la schiena” al giudice Abate, curvato da una poliomielite. Così Mantovano fa respirare la nuova aria che tira: “Il nuovo governo dovrà impegnarsi a risolvere le questioni concrete, come i carichi di lavoro esigibili. Noi vogliamo intervenire sulla moltiplicazione delle circoscrizioni, insomma su problemi che riguardano l'operatività quotidiana. Basta un po' di fantasia e buon senso, la copertura finanziaria ci sarà”. E la separazione delle carriere, gli argomenti di possibile conflitto? “La politica ha ricevuto il consenso della gente su un programma che prevede la separazione delle carriere e la formazione di una corte di giustizia disciplinare per i magistrati estrapolata dal Csm. Si può individuare un cammino condiviso per realizzarle nel modo meno traumatico possibile. Sono istanze che trovano consensi larghi anche nel Pd, per esempio c'era una proposta di Luciano Violante contenuta nei procedimenti della Bicamerale”.

    Si tratta infatti di un'idea presente nella riforma Castelli, e in parte recepita dalla riforma Mastella. Mantovano è più netto del collega Ghedini, ma entrambi colgono la novità: “I giudici sono cambiati”. Già perché la magistratura non è più monolitica nell'opporre una decisa contrarietà all'ipotesi di separazione delle carriere. La posizione ufficiale dell'Anm è quello di un aprioristico rifiuto, ma tra i giovani magistrati e in determinati gruppi organizzati dell'associazionismo il clima è affatto diverso. Mario Cicala, tra i fondatori di Magistratura indipendente, come molti altri, è favorevole alla separazione. “Dal 1948 a oggi il ruolo del pubblico ministero e del giudice sono cambiati – dice – sul piano costituzionale per la riforma dell'articolo 111, che ha sancito il principio secondo cui il giudice deve essere terzo, e sul piano della legge ordinaria per l'attribuzione al pubblico ministero delle funzioni direttive nei confronti della polizia giudiziaria. Ciò ha determinato un diverso approccio psicologico del magistrato, di cui non si può non tener conto”.
    A giugno si terrà il congresso associativo dell'Anm, un super convegno in cui si discute e si approva un ordine del giorno. E' il momento in cui tutti i magistrati intervengono, lo scenario degli scontri più aspri con l'ex ministro Castelli. Sarà a quel punto, quando si conoscerà anche il nome del nuovo Guardasigilli, che l'Anm deciderà se confrontarsi con la realtà nuova del paese, e della propria base, oppure votarsi a uno scontro che per la prima volta rischia di spaccare l'unità intangibile della magistratura.