Oggi l'addio al maestro scomparso

Dino Risi fu grande perché pensava che il cinema fosse una donna nuda e un uomo con la pistola

Redazione

Non fategli l'ultimo dispetto. Non chiamate i suoi film “commedie all'italiana”. Dino Risi detestava l'etichetta. Erano commedie, e basta. Splendide commedie, che il tempo non ha guastato né l'abitudine sciupato, come capita soltanto ai grandi. Si guardano e si riguardano, come i film di Billy Wilder, restando ogni volta stupefatti per la giustezza dei tempi comici e la feroce precisione dei personaggi.

    Non fategli l'ultimo dispetto. Non chiamate i suoi film “commedie all'italiana”. Dino Risi detestava l'etichetta. Erano commedie, e basta. Splendide commedie, che il tempo non ha guastato né l'abitudine sciupato, come capita soltanto ai grandi. Si guardano e si riguardano, come i film di Billy Wilder, restando ogni volta stupefatti per la giustezza dei tempi comici e la feroce precisione dei personaggi. Dove toccava, lasciava il segno. Non è colpa sua se viveva in Italia, terra più favorevole a “Il sorpasso” che a “Prima pagina”, e dove un regista come lui – convinto che il cinema fosse “una donna nuda e un uomo con la pistola” – era considerato meno rispettabile dei colleghi in colloquio quotidiano con la Musa.
    Nessun lamento, o denuncia, o satira sui premi letterari, riuscirà mai a eguagliare l'episodio dei “Mostri” (1966), dove Vittorio Gassman en travesti – tacchi alti, tubino chiaro, filo di perle al collo, copia conforme di Maria Bellonci – impone sbrigativamente ai colleghi giurati il suo Poldino, giovanotto di sangue caldo quanto incerto nella sintassi, scritta e parlata. Puntuale, la scena viene in mente ogni volta che si discorre di Premio Strega, con relative polemiche sui voti di scambio. Puntuale, l'abbiamo davanti ogni volta che qualcuno saluta la resurrezione della commedia all'italiana, vale a dire quando un film con qualche battuta incassa parecchi soldi al botteghino.
    Nomi e cognomi sarebbero impietosi, vale però una considerazione collettiva. Per strappare la risata, i film italiani d'oggi seguono immancabilmente due ricette: o scelgono un nemico e lo spernacchiano, oppure fanno inciampare sulla buccia di banana (variante: uscire di strada con il carro funebre) un tipo simpatico e molto somigliante agli amici dello sceneggiatore. Basta ricordare anche solo vagamente “Il sorpasso”, uscito nel 1962, per misurare la distanza: uno studente imbranato e un giovanotto cialtrone (nessuno dei due riconducibile al regista), una macchina sportiva, una Roma ferragostana senza tabaccai aperti, un ristorante sulla spiaggia, lezioni di vita a piovere, ghiaccio nei bicchieri del vino. Nel resto del mondo, sarebbe un celebrato road movie, a bordo di una Lancia Aurelia abbastanza malconcia. Perfetto contraltare, in versione pop, del picaresco romanzo “Fratelli d'Italia”, scritto da Alberto Arbasino nel 1963: tutto chiacchiere colte, turismo teatrale o ballettistico, spider color pervinca “intonata ai miei occhi”. Ma provate a dire che “Il sorpasso” è il miglior film italiano di sempre, e che Gassman (per non parlare di Jean-Louis Trintignant) non è mai stato tanto bravo. Chiunque la prenderà come una boutade, cominciando a perorare la causa di Fellini e di Antonioni.

    La Valli non lo chiamò per cinquant'anni
    “Stanco di curare gente che non guariva, mi sono dato al cinema” racconta Dino Risi nella sua autobiografia (“I miei mostri”, Mondadori). Aveva infatti studiato psichiatria, con stage al manicomio di Voghera, ripiegando sul cinema per caso e per amor delle ragazze. A venticinque anni – sul set di “Piccolo mondo antico”, dove Lattuada gli aveva procurato un lavoro da assistente tuttofare – conquistò Alida Valli, mentre Mario Soldati (che dell'attrice era innamorato perso) li spiava, facendosi smascherare dal sigaro fumante. Di ritorno a Milano dal lago Maggiore, lei gli disse: “Ti chiamo domani”. Non lo fece. Si rividero dopo 50 anni, quando il presidente Carlo Azeglio Ciampi consegnò a entrambi il premio De Sica. Altri tempi, altre femmine, altre battute. Quando Risi poteva dire, senza querele (né rimbrotti per “la grave caduta di stile”): “Avete fretta? Camminate Pirelli, sparatevi Beretta, masturbatevi Sandrelli”.