Sul pubblico impiego Cgil, Cisl e Uil ragionano su un'ipotesi: rinnovo del contratto contro il "sì" alla stretta sui fannulloni

Sotto sotto, i sindacati propongono uno scambio a Brunetta

Redazione

Le vie del pubblico impiego sono tortuose, e anche un tipo determinato come Renato Brunetta, alla fine, ne ha tenuto conto. Dopo la falsa partenza della scorsa settimana, causata da un intoppo procedurale l'indirizzario è stato corretto.

    Roma. Le vie del pubblico impiego sono tortuose, e anche un tipo determinato come Renato Brunetta, alla fine, ne ha tenuto conto. Dopo la falsa partenza della scorsa settimana, causata da un intoppo procedurale (gli inviti del ministro non erano indirizzati ai sindacalisti giusti, ne erano derivate irritazioni da ambo le parti, con immediata interruzione della trattativa), l'indirizzario è stato corretto e così almeno la cerimonia d'apertura di quella che dovrebbe essere la grande rivoluzione del pubblico impiego è stata celebrata, sia pure con qualche perplessità anche sulle nuove modalità di convocazione: un primo tavolo, definito informale, fra il ministro e i leader confederali Guglielmo Epifani, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, seguito da un tavolo tecnico, protagonisti i dirigenti del ministero e un'ampia delegazione dei sindacati di settore. Secondo Carlo Podda, leader del Pubblico Impiego Cgil, il risultato è che il primo tavolo ha i poteri decisionali ma non la materia tecnica su cui decidere, e il secondo la materia ma non i poteri. Il rischio è che così tutto si riduca a una trattativa “poetica”: “Il problema non è di metodo ma di merito: c'è o no la possibilità di discutere qualcosa di concreto? Perché se si tratta solo di fare un accordo antifannulloni, per dire che vogliamo più efficienza, meno sprechi e più produttività, siamo tutti pronti. Il punto è: come vogliamo arrivare a questo risultato?''. I problemi da risolvere, secondo i sindacati, sono molti e decisamente concreti: il numero dei dipendenti (pochi? troppi?), la loro dislocazione sul territorio (da cui la necessità di un'accurata mappatura), la separazione della politica dalla gestione (i punti di crisi maggiore nel comparto sono infatti sanità ed enti locali, dotati di consistenti risorse e controllati da una politica voracissima), l'estensione della contrattazione aziendale e della detassazione degli straordinari.

    Al di là dei tecnicismi, il punto cruciale sembra quello di trovare la strada per sottrarre poteri alla contrattazione interna, spostando alcune decisioni sul versante legislativo: in pratica smontando la riforma del 1993, che privatizzava il rapporto di lavoro pubblico equiparandolo a quello delle altre imprese. Da allora, però, la negoziazione fra le parti non è risultata in grado di sfondare alcune porte blindate del pubblico impiego: in particolare la misurazione della produttività (da cui il niet alla proposta di Pietro Ichino) e la mobilità dell'inamovibile personale. Il potere di veto nel settore è tale da scoraggiare gli stessi sindacati, i quali, probabilmente, non sarebbero quindi del tutto ostili al giro di vite imposto dal ministro. Ma prima di muoversi vogliono capire se Brunetta intende correre da solo o in loro compagnia. Soprattutto vogliono certezze sul rinnovo del contratto, scaduto a fine 2007 e per il quale il governo presieduto da Romano Prodi non aveva stanziato le risorse necessarie. Il capitolo quattrini, tuttavia, richiede l'entrata in scena di un altro interlocutore, e cioè Giulio Tremonti.

    Fra Tremonti e Brunetta c'è quella che si potrebbe definire una sana e robusta competizione. Entrambi di matrice socialista (Tremonti è cresciuto alla scuola di Rino Formica, Brunetta a quella di Gianni De Michelis), entrambi forzitalisti, qui finiscono i punti di contatto. In passato i loro rapporti sono stati difficili: Tremonti nel 2001 si oppose alla nomina di Brunetta come capo del dipartimento economico di Palazzo Chigi, dove l'attuale ministro della funzione pubblica riuscì ad approdare soltanto in seguito all'uscita di Tremonti dall'esecutivo. Per contro proprio Brunetta criticò le politiche di Domenico Siniscalco, che nel frattempo aveva sostituito Tremonti all'Economia. Nella trattativa che si avvia avrà un peso anche il carattere dei due. Le controparti sindacali temono che né Brunetta né Tremonti abbiano “la santa pazienza di Maurizio Sacconi'', capace di tenere un tavolo fino allo sfinimento ma anche fino all'accordo. Però per Brunetta questa è una partita decisiva: se condurrà in porto la trattativa con almeno una parte dei risultati che si è prefisso otterrà un grande successo personale e politico.