E' cominciato in prefettura il primo Cdm del governo Berlusconi

Napoli sbudellata

Redazione

Napoli si è sbudellata. Stavolta è diversa dalle altre. Stavolta Napoli è come percorsa da un grande labirinto di viscere a cielo aperto che sono il suo ventre riverso e coleroso. Il respiro dei suoi anelli intestinali, come negli ultimi spasmi di un lombrico caduto in trappola, ha la sonorità crepitante dei roghi alimentati da cumuli di spazzatura in fiamme. Se Alberto Savinio fosse vivo avrebbe finalmente trovato l'ambiente definitivo dove collocare i propri animali antropomorfi.

Leggi l'editoriale del Foglio del 13 maggio, "Come si traduce il Cav. in Europa".

    Napoli si è sbudellata. Stavolta è diversa dalle altre. Stavolta Napoli è come percorsa da un grande labirinto di viscere a cielo aperto che sono il suo ventre riverso e coleroso. Il respiro dei suoi anelli intestinali, come negli ultimi spasmi di un lombrico caduto in trappola, ha la sonorità crepitante dei roghi alimentati da cumuli di spazzatura in fiamme. Se Alberto Savinio fosse vivo avrebbe finalmente trovato l'ambiente definitivo dove collocare i propri animali antropomorfi, ovvero i propri uomini-totem, ombreggiati da un sole che si annerisce e cola per terra come un liquame. C'è un fondale perfino metafisico in quel che sta accadendo nella città della sirena Partenope, nella polis più traforata del Mediterraneo nostro (è tutta una catacomba) il cui ventre cavo era diventato il proscenio ideale in cui Matilde Serao ambientò le sue leggende napoletane, nonché il titolo prescelto per altre gioie d'occasione. Ma a quell'epoca perfino Napoli – perenne città medievale – partecipava a modo suo del sogno progressista ottocentesco, degno vestibolo della successiva Belle Epoque. La sua munnezza era ritratta con lo sguardo lieve e femmineo di chi, piuttosto che l'incubo in gestazione, stava rimirando ancora il pittoresco: “Un'altra strada, le così dette Gradelle di Santa Barbara, ha anche la sua originalità: da una parte e dall'altra abitano femmine disgraziate, che ne hanno fatto un loro dominio, e, per ozio di infelici disoccupate, nel giorno, e per cupo odio contro l'uomo, buttano dalla finestra, su chi passa, buccie di fichi, di cocomero, spazzatura, torsoli di spighe. E tutto resta, su questi gradini, così che la gente pulita non osa passarvi più”.
    Allora la munnezza era al limite l'arma delle sfaccendate matriarche napoletane, il loro strumento di vendetta contro il maschio, una specie di sudicio ready made pre-dadaista. Per il resto era una compagnia familiare, quasi una presenza domestica, come i rovi e le erbacce inerpicate sulle rovine antiche. Dotata d'una densità inimmaginabile ai nostri giorni di plastica e diossine, aveva un fetore tutto suo e naturale. Spazzatura cartacea, grassa e oleosa, acida d'urina e concimante. Il focolare del cortile era il destino fisiologico di quella spazzatura. Tutto si equilibrava nel ciclo di una biologia che a Napoli conserva da sempre qualcosa di speciale. Perché a Napoli anche la sporcizia può essere una figura della delinquenza o della rivolta.
    Oggi lo è ancora, ma in una forma a metà tra la pratica necessariamente pestilenziale e l'istinto autolesionistico. Il giorno di Napoli è un termitaio da investigare con commiserazione severa, una discarica urbana nella quale gli autobus si arrendono ai monticelli di plastica e i pedoni fanno finta di non-fottersene-proprio mentre sperano che topi e insetti (già estivi) e mitili non riportino il colera. La notte di Napoli è punteggiata da roghi che finiscono per conquistare, non soltanto nell'immaginario, pure lo spazio antico riservato ai focheracci delle puttane di strada (ma come faranno a esercitare?). Siccome ovunque “poca favilla gran fiamma seconda”, a Napoli i focolai erano settantacinque soltanto due notti fa. Si tratta di comprendere se erano anche un assaggio di benvenuto offerto dal malaffare al potere che si appresta a scendere da Roma insieme con il re Silvio IV delle Due Sicilie, accompagnato dalla corte di Palazzo Chigi e da valigie piene di promesse: dieci discariche subito, termovalorizzatori come se piovesse (ma fra quanto?) e treni merci per le ecoballe che andranno e riandranno tra Napoli e la Germania. Si tratta di comprendere poi se la camorra vuole o non vuole l'esercito dispiegato in grande stile nei budelli presidiati dalle vedette di quartiere e dalle più nutrite ronde col piombo in tasca; e con in testa un'obbedienza all'antistato da insegnare ogni giorno agli indigeni rassegnati e agli allogeni romeni.

    Natura morta incenerita
    Si tratta infine di verificare se esiste un'anima; se l'intellettuale di strada, epifenomeno residuale del sofista magnogreco, è ancora capace di distinguere quella vecchia melodia blu che era la sua Napoli dalla natura morta incenerita che sta diventando in queste ore. Si tratta di fare tutto questo, con l'occhio amichevole della mente e qualche divinità da evocare prima che sia banalmente tardi. Prima di guardare l'orizzonte, trovarci la sommità del Vesuvio e domandargli se non voglia pensarci lui a purificare la pianura con la sua lava santa.

    Leggi l'editoriale del Foglio del 13 maggio, "Come si traduce il Cav. in Europa".