Un aborto troppo facile
Giovedì di primo pomeriggio mi telefona il signor Mario, mi presenta la situazione difficile e critica di Rossana, quasi 19 anni e prenotata per un aborto la mattina dopo, venerdì. E' alla quattordicesima settimana di gravidanza, quindi questo passerà come ‘aborto terapeutico'. Chiedo di poter parlare almeno al telefono con la ragazza. Rossana mi chiama, mi dice di non voler assolutamente avere questo figlio per le condizioni difficili in cui si trova.
Giovedì di primo pomeriggio mi telefona il signor Mario, mi presenta la situazione difficile e critica di Rossana, quasi 19 anni e prenotata per un aborto la mattina dopo, venerdì. E' alla quattordicesima settimana di gravidanza, quindi questo passerà come ‘aborto terapeutico'. Chiedo di poter parlare almeno al telefono con la ragazza. Rossana mi chiama, mi dice di non voler assolutamente avere questo figlio per le condizioni difficili in cui si trova. Vive in casa con il padre del bambino, che fa uso di stupefacenti e non vuole saperne, vuole assolutamente che lei interrompa la gravidanza. Lei ha un piccolo lavoro a tempo determinato. La sua famiglia non la sostiene affatto. Le offro subito tutto l'aiuto che possiamo: la possibilità di andare ad abitare in una piccola casa autogestita, con altre ragazze. E un sostegno economico, il solito poco-tanto che riusciamo a dare, trecento euro al mese per diciotto mesi e tutte le ‘solite cose' di cui hanno bisogno una mamma e il suo bambino, pannolini compresi. Lei continua a farmi capire la difficoltà della sua situazione, dovuta certamente anche a una storia personale difficile. La invito per un colloquio: accetta titubante, ‘quasi' volentieri. Ma mezz'ora dopo mi chiama ancora il signor Mario: Rossana non verrà, perché la sua datrice di lavoro non le permette di assentarsi. Domani andrà direttamente all'ospedale”.
Paola Bonzi delle donne che abortiscono si occupa da trent'anni, e adesso lo fa anche da candidata di “Aborto? No, Grazie”, ma la reazione è sempre la stessa, dolorosa. “Mi sento spettatrice di un aborto fuori legge, contro il quale sono completamente impotente. Continuo a pensarci, fino a quando mi risolvo a far contattare da un collaboratore il direttore sanitario dell'ospedale in cui Rossana si recherà, domani mattina, per chiedere che a questa ragazza venga data la possibilità di un colloquio con qualcuno in grado di valutare. I motivi della mia decisione sono chiari: certo, c'è il senso dell'ingiustizia della soppressione di una vita umana, e c'è la consapevolezza del dolore che questa ragazza dovrà sopportare dopo l'interruzione della sua gravidanza. Ma c'è anche la consapevolezza della violazione della legge 194”. E questo è un fatto. Perché Paola Bonzi, che è contro l'aborto, non la vuole abolire la 194, non questo le interessa. “Ma voglio che venga almeno applicata, questo sì. Che non venga aggirata, stravolta, violata. Come accade troppo spesso. Perché per abortire a quattordici settimane occorre un certificato di uno psicologo o di uno psichiatra, che faccia una diagnosi di un ‘grave pericolo' per la ‘salute psichica o fisica della donna'. Io ho parlato, anche se solo per telefono, con questa ragazza e non ho risscontrato nessuno di questi motivi. Anzi, i suoi ragionamenti erano perfettamente consequenziali e la sua lucidità addirittura impressionante. Per questo ho chiesto al direttore sanitario che prima di farla abortire le si offrisse la possibilità di un colloquio che potesse valutare il ‘grave pericolo' per la sua salute psichica o fisica”.
“Ho sperato, ma invano. Rossana ha abortito. Mi ha colpito una cosa che mi ha detto il signor Mario, il giorno dopo: ‘Non ho dormito tutta la notte, pensavo a quel bambino, ancora vivo, al caldo nell'utero di sua madre e che al mattino sarebbe stato spezzettato”. Ma c'è un'altra cosa che colpisce Paola Bonzi ed è che questo aborto, quest'ultimo giorno nella vita di un bambino mai nato, è uno dei tanti aborti indifferenti di un giorno come tanti. “E fatto illegalmente, due volte in violazione della legge 194. La prima, perché la legge dice che nessuna donna può essere fatta abortire per motivi di disagio sociale o economico, e questo è proprio il caso lampante. La seconda, perché dopo quattordici settimane per abortire serve la certificazione di un ‘grave rischio' psichico o fisico, in questo caso il certificato è stato fornito diciamo quantomeno con leggerezza. E' questa la società che vogliamo, per i nostri figli, la società dove vince la legge del più forte?”.
Il fatto è accaduto, finito, andato. Non ci sono sirene da chiamare, streghe da cacciare, nomi da identificare, privacy di una giovane donna (“che poveretta ha già la sua sofferenza”) da violare. Pure i nomi e le date sono fantasia. Non c'è niente di tutto l'armamentario allarmista anti-lista pazza che di solito i moralmente indifferenti scatenano. Ma è una piccola storia ignobile che bisognava raccontare. Per tutte quelle che accadono, uguali, e sono tante. E Paola Bonzi lo sa. E lo sanno anche gli indifferenti.


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