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Si canticchia “Won’t get fooled again”

Obama non voleva fissare la “red line”, gli è sfuggita, dice il Nyt

Barack Obama non voleva dirla, la frase sulla “red line” delle armi chimiche in Siria, gli è sfuggita in conferenza stampa, si sa che non è avvezzo a certe intimità con i giornalisti. Dall’agosto scorso, quando il presidente americano disse che l’utilizzo delle armi chimiche da parte del regime di Damasco avrebbe modificato la strategia (o forse avrebbe fatto sì che gli Stati Uniti se ne inventassero una, di strategia), non si è fatto che discutere della linea rossa, degli arsenali chimici di Bashar el Assad, delle testimonianze di chi gli attacchi li subisce già, dal cielo, da terra, in ogni angolo di paese, ma che “un’esplosione tutta blu” – come scrive Dexter Filkins sul New Yorker, al solito imprescindibile – la sa riconoscere, quando la vede. Leggi anche Raineri Siria, strike e stragi casa per casa

07 MAG 2013

La red line applicata ai morti

Lo chiamano il fiume della morte, dalle sue acque ormai emergono soltanto cadaveri. Tanti cadaveri. Di solito hanno le mani legate dietro la schiena, la bocca tappata dal nastro adesivo, il volto sfigurato dai colpi di pistola. Di solito sono corpi di ragazzi e di ragazze, perché questo è il Queiq River, il fiume che attraversa Aleppo, quella meraviglia di città che sta nel nord della Siria, dove fino a ieri si andava a studiare perché ha università rinomate, e che una volta era l’ultima tappa della via della seta, prima che la costruzione del canale di Suez rivoluzionasse le vie di trasporto e condannasse Aleppo a un’allegra solitudine. Negli anni Sessanta il Queiq divenne secco, perché i turchi, che stanno poco più a nord, s’inventarono dei progetti di irrigazione che prosciugarono il fiume, e ancora oggi gli agricoltori di questa regione non li hanno perdonati, digrignano i denti al solo menzionarli, pure se oggi l’acqua c’è, è stata presa dall’Eufrate, e il verde è tornato. Raineri Perché adesso le armi chimiche ci fanno più paura di 70 mila siriani uccisi

04 MAG 2013

Cinguettii, ansia da tabloid, ansia da Cnn. Che rimbambimento

“Real time is hard”, fare news in diretta è dura, ha sussurrato al telefono al Foglio un cronista americano, a metà della settimana appena trascorsa, quando l’America è rimasta vittima di un rimbambimento mediatico disperato e quasi ridicolo. Le bombe alla maratona di Boston – scoppiate quando in Italia i giornali si avviavano verso la chiusura in giorni già caotici per via del Quirinale – sono state raccontate e interpretate con l’ansia da prestazione: vogliamo sapere chi è stato, vogliamo saperlo subito, azzardiamo.

22 APR 2013

L’addio a Maggie

Uniti per salutare la Thatcher, gli inglesi sorridono per via del pâté

Un signore strizza gli occhi per vedere bene la bara che passa in mezzo alla strada, non tanto lontana, ma ci sono teste, telefonini, scalette, testoline di bimbi che sbucano sulle spalle, è difficile reggere l’emozione, in questa giornata d’addio a Margaret Thatcher. Quel signore ha in mano un drappo bianco con una scritta blu: “But we loved her”. In quel “but”, ma, c’è tutta l’Inghilterra, che ancora fa i conti con il thatcherismo, lo tira un po’ di qui e un po’ di là, lo ama e lo odia, ma nella solennità dell’ultimo saluto si mette in pace con se stessa.

18 APR 2013

Iron lady, sexy lady

Quando Margaret Thatcher decideva che un uomo era finito – un collaboratore, un ministro, un alleato – chiedeva con voce melliflua al suo portavoce di sempre, Sir Bernard Ingham: “Shall we withdraw our love?”, dovremo sospendere il nostro amore, ritirarlo, darlo a qualcun altro? Ci teneva a quel termine, “love”, non lo usava a caso: in quel suo ruolo diabolico di prima donna al potere nel Regno Unito voleva far entrare la malizia dell’amore. Alan Clark, autore dei “Diaries” più famosi della vita politica con la Thatcher, diceva che la signora era molto attraente, anche se precisava: “I didn’t want to jump on her”.

11 APR 2013

La République dei sospetti

Montebourg infila la lama nelle ferite (morali) della Francia di Hollande

Approfittando della crisi dei suoi colleghi, il ministro francese per il Rilancio produttivo, Arnaud Montebourg, intervistato ieri dal Monde, ha tirato una bella mazzata alla politica del rigore, all’austerità, a quella visione che sta portando l’Europa “à la débâcle”. Montebourg, si sa, è il capo della corrente più a sinistra del Partito socialista e del governo: detesta il rigore, vorrebbe nazionalizzare tutte le aziende francesi in difficoltà indipendentemente dalla loro produttività, ama le tasse alte per i ricchi, ed è il più inviso tra i ministri francesi nella comunità finanziaria e imprenditoriale globale.

10 APR 2013

Una lady non è fatta per voltarsi, e nemmeno per tornare a casa

Margaret Thatcher non cercava il consenso, sapeva di avere ragione. “A conviction politician”, si definiva, un primo ministro che aveva le idee chiare e in quella chiarezza la parola compromesso compariva molto poco. E’ così che la Thatcher, morta ieri mattina a 87 anni, ha creato una leadership che ancora oggi è senza eguali, e non perché era la leadership di una donna – la prima (e per ora l’ultima) donna a essere eletta primo ministro in Inghilterra. Fu una rivoluzione, quella, naturalmente: ancora oggi tra le signore della politica ci si contende il titolo di Lady di Ferro con la sua eredità di tailleur, perle e ideologia (vince Angela Merkel, a occhio).

09 APR 2013

L’azzardo di Kuroda-san

Nessuno si aspettava che il nuovo governatore della Banca centrale giapponese, Haruhiko Kuroda, arrivasse a tanto. Aveva annunciato di voler invertire la tendenza – lunga 25 anni – dell’economia del Giappone in depressione con una politica monetaria aggressiva, in collaborazione con il governo di Shinzo Abe che la pensa allo stesso modo. Ma l’aggressività dei giapponesi, storicamente, non siamo mai stati bravi a prevederla e interpretarla, e infatti ci ha preso di sorpresa: quando Kuroda ha dato i numeri della sua strategia c’è stato uno choc euforico di mercati e commentatori. Leggi Le catene di Mario Draghi

08 APR 2013

Inchiesta su un mezzo collasso

Il Corriere della sera e il falò delle sue vanità

Una deportazione. Se non capisci che muoversi da Via Solferino è una deportazione, non puoi capire nulla del Corriere della Sera”. La “deportazione” è il trasferimento della redazione del giornale più influente d’Italia, diretto da Ferruccio de Bortoli, dalla storica sede nel centro di Milano alla periferia nord-est della città, via Angelo Rizzoli, tre palazzi e una torre ideati da Stefano Boeri a due passi dal parco Lambro. Là c’è già un bel pezzo di Rcs Mediagroup, ci sono i periodici con la loro triste fama di essere un buco nero di perdite (“Ora che l’azienda ha annunciato che venderà o chiuderà dieci testate, secondo te chi è che vorrà più metterci un euro di pubblicità, in questi zombie?”), i Libri, la pubblicità, i new media e gli uffici di staff.

31 MAR 2013

Quando Churchill scriveva d’amore

La prima volta che incontri Winston, noti soltanto i suoi difetti. Poi passi il resto della vita a scoprirne le virtù”, dice una signora parlando del giovane Churchill. La frase è riportata nel libro “Young Titan: The Making of Winston Churchill”, appena pubblicato nel Regno Unito e scritto da Michael Shelden, giornalista e saggista che ha già scritto due importanti biografie, quella di George Orwell e quella di Graham Greene.

21 MAR 2013
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