• Il Foglio di Oggi
  • Il Foglio Weekend
  • Il Foglio Sportivo
  • Il Foglio Review
  • Il Foglio AI
Il Foglio
  • Abbonati
  • Il Foglio AI
  • La guerra in Ucraina
  • Medio oriente
  • Podcast
  • Editoriali
  • Leggi il Foglio
  • Newsletter
  • Lettere al direttore
Il Foglio
  • Politica
  • Esteri
  • Chiesa
  • Bioetica e diritti
  • Giustizia
  • Economia
  • Cultura
  • Sport
  • Salute
  • Scuola
  • Cinema
  • Scienza
Abbonati
Leggi il foglio
  • Il Foglio di Oggi
  • Il Foglio Weekend
  • Il Foglio Sportivo
  • Il Foglio Review
  • Il Foglio AI
  • Gran Milano
  • Roma Capoccia
  • Il Foglio europeo
  • Un Foglio internazionale
  • Terrazzo
  • Una Fogliata di Libri
  • Il Figlio
  • Mobilità
  • Agrifoglio
  • Rubriche
  • Conosci i foglianti
  • Lettere al direttore
  • Le vignette di Makkox
  • Gli articoli del direttore
  • Gli articoli di Giuliano Ferrara
  • Il Foglio Arte
  • Il Foglio della Moda
  • Podcast
  • Editoriali
  • Iscriviti alle newsletter
  • Stage al Foglio
Conosci i foglianti
  • 1
  • ...
  • 251
  • 252
  • 253
  • ...
  • 265

Se Erdogan perde la testa

Finché c’è la Turchia, con il suo miscuglio di islam e democrazia, c’è speranza per il medio oriente: se regge il modello creato da Recep Tayyip Erdogan, l’islam al potere continua ad avere la sua chance. La comunità internazionale s’è aggrappata al premier turco, l’ha nominato suo broker mediorientale, corteggiandolo maldestramente con una membership europea mai davvero voluta, e ignorando i lati oscuri dentro la Turchia degli ultimi dieci anni – i blitz contro il potere laico incarnato dai militari, i processi ai tycoon legati all’élite kemalista, la minirivoluzione islamica nelle università e nei centri culturali, contro i giornalisti e gli scrittori “critici”, le revisioni costituzionali, tutti quei veli nelle foto ufficiali.

04 GIU 2013

Non perda tempo, ministro Bonino

Victor Davis Hanson, che è un esperto di storia militare, ha cercato di spiegare ieri sul Wall Street Journal perché alcune guerre sono tanto efferate, perché la guerra in Siria è così barbara, come dimostra il famoso video del mangiatore di cuore (che poi era un polmone, e nessuno l’ha mangiato; che poi i massacri delle forze del regime, i corpicini accatastati e buttati negli angoli delle strade sono ben più barbari, e ben più frequenti). Hanson spiega che la storia delle guerre è disseminata di episodi barbarici, inutilmente efferati, e poi precisa: “Il prolungamento dei combattimenti è un modo sicuro per ritrovarsi con cicli brutali di violenza”: più passa il tempo più la soglia di violenza si alza. Raineri Cosa sappiamo di Hezbollah in Siria

31 MAG 2013

Il regime di Damasco è forte

La Russia è pronta, con missili e navi, a tenere insieme la Siria in pezzi

Le navi da guerra russe sono infine arrivate nel Mediterraneo, nel porto di Tartous, in Siria, l’unica base militare fuori dal blocco dell’ex Unione sovietica, mentre la diplomazia internazionale si illudeva di aver allentato l’abbraccio di Mosca a Damasco. Qualche giorno fa il premier britannico, David Cameron, è andato a Washington dal presidente americano, Barack Obama, fiero di comunicargli che Vladimir Putin sta cambiando idea su Assad. Sarà, ma intanto la Russia sta mettendo a punto il più grande schieramento militare in mare dai tempi della Guerra fredda, anzi alcuni a Mosca sostengono di voler resuscitare proprio quelle missioni sovietiche per controbilanciare la Sesta flotta della marina americana.

18 MAG 2013

Tra memo e road map

Obama ci riprova: vuole chiudere Gitmo. Hillary gli ha dato una dritta

Barack Obama vuole riprovarci con Guantanamo: vuole chiuderlo. L’articolo di copertina di Newsweek, firmato da Daniel Klaidman, autore di un libro bellissimo sulla guerra al terrore di Obama, “Kill or Capture”, dice che il presidente terrà, al massimo entro un mese, un grande discorso su Guantanamo (e sui droni, vasto programma) con l’obiettivo di proporre una road map di chiusura del supercarcere di Cuba. Klaidman dice che da marzo il presidente ha ricominciato a organizzare incontri su Gitmo, dando vigore a un dossier scivolato dalle priorità con naturale indifferenza. Marzo è l’altroieri, a dire il vero.

17 MAG 2013

Nell’Ue malata, i tedeschi paiono venire da un altro continente

Ogni anno il Pew Research Center, noto istituto di rilevazioni americano, s’occupa d’Europa in modo intensivo: un mese di interviste, circa una decina di paesi dell’Unione europea coinvolto (quest’anno otto paesi), molti grafici e un verdetto. In sintesi il 2013 conferma una sensazione che già conosciamo: il malato d’Europa è l’Unione europea. Ma a spulciare i risultati della ricerca c’è qualche sorpresa. Sarà, ma i tedeschi ridono sempre. La Germania ha una percezione migliore dell’economia rispetto a tutti gli altri paesi, e per migliore si intende davvero tutt’un’altra prospettiva. Il 75 per cento dei tedeschi pensa che la loro economia vada bene: la media europea è del 9 per cento.

15 MAG 2013

L’abbaglio dell’occidente

Quanto ci affascinava Assad a cena, ma già sapevamo com’era fatto

Abbiamo sempre perdonato tutto, a Bashar el Assad. Con quell’aria spaesata, il figlio che non doveva essere l’erede della dittatura siriana, ma è stato trascinato a Damasco quando il fratello maggiore, il predestinato, è morto in un incidente automobilistico (un attentato, presumibilmente), ci è sempre sembrato più credibile dei suoi colleghi dittatori. La faccia pulita, gli abiti eleganti, un’aspirazione fugacemente propagandata, all’inizio del suo mandato, al riformismo, la bella moglie, i tre figlioletti, gli studi all’estero, l’incapacità di maneggiare le armi (lacuna poi colmata) l’hanno reso a lungo un interlocutore non soltanto accettabile, ma persino credibile.

10 MAG 2013

Calcoli e spettri

Quanto paga un intervento in Siria in termini di politica interna? Le domande di Obama

La sintesi del pragmatismo con cui l’America addolcisce la pillola dell’indifferenza alla questione siriana è contenuta nell’ultimo articolo di Dexter Filkins, sul New Yorker. Filkins ripercorre la storia recente delle crisi umanitarie e dell’approccio di Washington. Quando parla della Bosnia e dell’intervento clintoniano dopo la strage di Srebrenica individua due lezioni da trarre: la prima è che, quando il mondo ha bisogno dell’America, l’America deve farsi sentire, ci vuole un attimo a tornare indispensabili. La seconda è che, “in termini di politica interna, non ci fu molto da guadagnare dall’intervento in paesi stranieri: c’era molto da perdere se le cose andavano storte”. Boutourline Sulla Siria, Teheran fa il verso a Obama con il “piano Suleimani” - Non aspettiamo una nuova Srebrenica

08 MAG 2013

Si canticchia “Won’t get fooled again”

Obama non voleva fissare la “red line”, gli è sfuggita, dice il Nyt

Barack Obama non voleva dirla, la frase sulla “red line” delle armi chimiche in Siria, gli è sfuggita in conferenza stampa, si sa che non è avvezzo a certe intimità con i giornalisti. Dall’agosto scorso, quando il presidente americano disse che l’utilizzo delle armi chimiche da parte del regime di Damasco avrebbe modificato la strategia (o forse avrebbe fatto sì che gli Stati Uniti se ne inventassero una, di strategia), non si è fatto che discutere della linea rossa, degli arsenali chimici di Bashar el Assad, delle testimonianze di chi gli attacchi li subisce già, dal cielo, da terra, in ogni angolo di paese, ma che “un’esplosione tutta blu” – come scrive Dexter Filkins sul New Yorker, al solito imprescindibile – la sa riconoscere, quando la vede. Leggi anche Raineri Siria, strike e stragi casa per casa

07 MAG 2013

La red line applicata ai morti

Lo chiamano il fiume della morte, dalle sue acque ormai emergono soltanto cadaveri. Tanti cadaveri. Di solito hanno le mani legate dietro la schiena, la bocca tappata dal nastro adesivo, il volto sfigurato dai colpi di pistola. Di solito sono corpi di ragazzi e di ragazze, perché questo è il Queiq River, il fiume che attraversa Aleppo, quella meraviglia di città che sta nel nord della Siria, dove fino a ieri si andava a studiare perché ha università rinomate, e che una volta era l’ultima tappa della via della seta, prima che la costruzione del canale di Suez rivoluzionasse le vie di trasporto e condannasse Aleppo a un’allegra solitudine. Negli anni Sessanta il Queiq divenne secco, perché i turchi, che stanno poco più a nord, s’inventarono dei progetti di irrigazione che prosciugarono il fiume, e ancora oggi gli agricoltori di questa regione non li hanno perdonati, digrignano i denti al solo menzionarli, pure se oggi l’acqua c’è, è stata presa dall’Eufrate, e il verde è tornato. Raineri Perché adesso le armi chimiche ci fanno più paura di 70 mila siriani uccisi

04 MAG 2013

Cinguettii, ansia da tabloid, ansia da Cnn. Che rimbambimento

“Real time is hard”, fare news in diretta è dura, ha sussurrato al telefono al Foglio un cronista americano, a metà della settimana appena trascorsa, quando l’America è rimasta vittima di un rimbambimento mediatico disperato e quasi ridicolo. Le bombe alla maratona di Boston – scoppiate quando in Italia i giornali si avviavano verso la chiusura in giorni già caotici per via del Quirinale – sono state raccontate e interpretate con l’ansia da prestazione: vogliamo sapere chi è stato, vogliamo saperlo subito, azzardiamo.

22 APR 2013
  • 1
  • ...
  • 251
  • 252
  • 253
  • ...
  • 265
Il Foglio
  • Privacy Policy
  • Contatti
  • Pubblicità
  • FAQ - Domande e risposte
  • RSS
  • Termini di utilizzo
  • Change privacy settings
Torna All’inizio