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Il regime di Damasco è forte

La Russia è pronta, con missili e navi, a tenere insieme la Siria in pezzi

Le navi da guerra russe sono infine arrivate nel Mediterraneo, nel porto di Tartous, in Siria, l’unica base militare fuori dal blocco dell’ex Unione sovietica, mentre la diplomazia internazionale si illudeva di aver allentato l’abbraccio di Mosca a Damasco. Qualche giorno fa il premier britannico, David Cameron, è andato a Washington dal presidente americano, Barack Obama, fiero di comunicargli che Vladimir Putin sta cambiando idea su Assad. Sarà, ma intanto la Russia sta mettendo a punto il più grande schieramento militare in mare dai tempi della Guerra fredda, anzi alcuni a Mosca sostengono di voler resuscitare proprio quelle missioni sovietiche per controbilanciare la Sesta flotta della marina americana.

18 MAG 2013

Tra memo e road map

Obama ci riprova: vuole chiudere Gitmo. Hillary gli ha dato una dritta

Barack Obama vuole riprovarci con Guantanamo: vuole chiuderlo. L’articolo di copertina di Newsweek, firmato da Daniel Klaidman, autore di un libro bellissimo sulla guerra al terrore di Obama, “Kill or Capture”, dice che il presidente terrà, al massimo entro un mese, un grande discorso su Guantanamo (e sui droni, vasto programma) con l’obiettivo di proporre una road map di chiusura del supercarcere di Cuba. Klaidman dice che da marzo il presidente ha ricominciato a organizzare incontri su Gitmo, dando vigore a un dossier scivolato dalle priorità con naturale indifferenza. Marzo è l’altroieri, a dire il vero.

17 MAG 2013

Nell’Ue malata, i tedeschi paiono venire da un altro continente

Ogni anno il Pew Research Center, noto istituto di rilevazioni americano, s’occupa d’Europa in modo intensivo: un mese di interviste, circa una decina di paesi dell’Unione europea coinvolto (quest’anno otto paesi), molti grafici e un verdetto. In sintesi il 2013 conferma una sensazione che già conosciamo: il malato d’Europa è l’Unione europea. Ma a spulciare i risultati della ricerca c’è qualche sorpresa. Sarà, ma i tedeschi ridono sempre. La Germania ha una percezione migliore dell’economia rispetto a tutti gli altri paesi, e per migliore si intende davvero tutt’un’altra prospettiva. Il 75 per cento dei tedeschi pensa che la loro economia vada bene: la media europea è del 9 per cento.

15 MAG 2013

L’abbaglio dell’occidente

Quanto ci affascinava Assad a cena, ma già sapevamo com’era fatto

Abbiamo sempre perdonato tutto, a Bashar el Assad. Con quell’aria spaesata, il figlio che non doveva essere l’erede della dittatura siriana, ma è stato trascinato a Damasco quando il fratello maggiore, il predestinato, è morto in un incidente automobilistico (un attentato, presumibilmente), ci è sempre sembrato più credibile dei suoi colleghi dittatori. La faccia pulita, gli abiti eleganti, un’aspirazione fugacemente propagandata, all’inizio del suo mandato, al riformismo, la bella moglie, i tre figlioletti, gli studi all’estero, l’incapacità di maneggiare le armi (lacuna poi colmata) l’hanno reso a lungo un interlocutore non soltanto accettabile, ma persino credibile.

10 MAG 2013

Calcoli e spettri

Quanto paga un intervento in Siria in termini di politica interna? Le domande di Obama

La sintesi del pragmatismo con cui l’America addolcisce la pillola dell’indifferenza alla questione siriana è contenuta nell’ultimo articolo di Dexter Filkins, sul New Yorker. Filkins ripercorre la storia recente delle crisi umanitarie e dell’approccio di Washington. Quando parla della Bosnia e dell’intervento clintoniano dopo la strage di Srebrenica individua due lezioni da trarre: la prima è che, quando il mondo ha bisogno dell’America, l’America deve farsi sentire, ci vuole un attimo a tornare indispensabili. La seconda è che, “in termini di politica interna, non ci fu molto da guadagnare dall’intervento in paesi stranieri: c’era molto da perdere se le cose andavano storte”. Boutourline Sulla Siria, Teheran fa il verso a Obama con il “piano Suleimani” - Non aspettiamo una nuova Srebrenica

08 MAG 2013

Si canticchia “Won’t get fooled again”

Obama non voleva fissare la “red line”, gli è sfuggita, dice il Nyt

Barack Obama non voleva dirla, la frase sulla “red line” delle armi chimiche in Siria, gli è sfuggita in conferenza stampa, si sa che non è avvezzo a certe intimità con i giornalisti. Dall’agosto scorso, quando il presidente americano disse che l’utilizzo delle armi chimiche da parte del regime di Damasco avrebbe modificato la strategia (o forse avrebbe fatto sì che gli Stati Uniti se ne inventassero una, di strategia), non si è fatto che discutere della linea rossa, degli arsenali chimici di Bashar el Assad, delle testimonianze di chi gli attacchi li subisce già, dal cielo, da terra, in ogni angolo di paese, ma che “un’esplosione tutta blu” – come scrive Dexter Filkins sul New Yorker, al solito imprescindibile – la sa riconoscere, quando la vede. Leggi anche Raineri Siria, strike e stragi casa per casa

07 MAG 2013

La red line applicata ai morti

Lo chiamano il fiume della morte, dalle sue acque ormai emergono soltanto cadaveri. Tanti cadaveri. Di solito hanno le mani legate dietro la schiena, la bocca tappata dal nastro adesivo, il volto sfigurato dai colpi di pistola. Di solito sono corpi di ragazzi e di ragazze, perché questo è il Queiq River, il fiume che attraversa Aleppo, quella meraviglia di città che sta nel nord della Siria, dove fino a ieri si andava a studiare perché ha università rinomate, e che una volta era l’ultima tappa della via della seta, prima che la costruzione del canale di Suez rivoluzionasse le vie di trasporto e condannasse Aleppo a un’allegra solitudine. Negli anni Sessanta il Queiq divenne secco, perché i turchi, che stanno poco più a nord, s’inventarono dei progetti di irrigazione che prosciugarono il fiume, e ancora oggi gli agricoltori di questa regione non li hanno perdonati, digrignano i denti al solo menzionarli, pure se oggi l’acqua c’è, è stata presa dall’Eufrate, e il verde è tornato. Raineri Perché adesso le armi chimiche ci fanno più paura di 70 mila siriani uccisi

04 MAG 2013

Cinguettii, ansia da tabloid, ansia da Cnn. Che rimbambimento

“Real time is hard”, fare news in diretta è dura, ha sussurrato al telefono al Foglio un cronista americano, a metà della settimana appena trascorsa, quando l’America è rimasta vittima di un rimbambimento mediatico disperato e quasi ridicolo. Le bombe alla maratona di Boston – scoppiate quando in Italia i giornali si avviavano verso la chiusura in giorni già caotici per via del Quirinale – sono state raccontate e interpretate con l’ansia da prestazione: vogliamo sapere chi è stato, vogliamo saperlo subito, azzardiamo.

22 APR 2013

L’addio a Maggie

Uniti per salutare la Thatcher, gli inglesi sorridono per via del pâté

Un signore strizza gli occhi per vedere bene la bara che passa in mezzo alla strada, non tanto lontana, ma ci sono teste, telefonini, scalette, testoline di bimbi che sbucano sulle spalle, è difficile reggere l’emozione, in questa giornata d’addio a Margaret Thatcher. Quel signore ha in mano un drappo bianco con una scritta blu: “But we loved her”. In quel “but”, ma, c’è tutta l’Inghilterra, che ancora fa i conti con il thatcherismo, lo tira un po’ di qui e un po’ di là, lo ama e lo odia, ma nella solennità dell’ultimo saluto si mette in pace con se stessa.

18 APR 2013

Iron lady, sexy lady

Quando Margaret Thatcher decideva che un uomo era finito – un collaboratore, un ministro, un alleato – chiedeva con voce melliflua al suo portavoce di sempre, Sir Bernard Ingham: “Shall we withdraw our love?”, dovremo sospendere il nostro amore, ritirarlo, darlo a qualcun altro? Ci teneva a quel termine, “love”, non lo usava a caso: in quel suo ruolo diabolico di prima donna al potere nel Regno Unito voleva far entrare la malizia dell’amore. Alan Clark, autore dei “Diaries” più famosi della vita politica con la Thatcher, diceva che la signora era molto attraente, anche se precisava: “I didn’t want to jump on her”.

11 APR 2013
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