Mojito - Foto Pexels.com

Le proteste anti schiamazzi di Fassino e il mojito di Che Guevara

Marianna Rizzini

C’è voluto il “Che” (e quattro lunghe ore di film proiettato a Cannes sul “Che”, appunto) per dirla tutta: le foglie di menta nel mojito non vanno triturate, mai. Regola che è stata ribadita sullo schermo (come ci assicura una zelante spia alcolica sulla Croisette) e noi ci fidiamo, essendo il mojito del “Che” sicuramente migliore di quelli che beviamo noi – e d’altronde anche i poliziotti di “Miami Vice” andavano a bere il mojito direttamente alla Bodeguita. Ci rendiamo conto che il bell’attore Benicio del Toro (interprete del “Che” e vincitore della Palma d’oro) è un testimonial più efficace di un’aperitivista mojitista romana, però da oggi ci sentiamo autorizzati a dire ai baristi del romanissimo bar a piazza delle Coppelle (resa famosa dalle proteste anti-schiamazzi di Piero Fassino) che le foglie di menta nei mojitos colà serviti – così ridotte a pezzettini – si allontanano pericolosamente dallo standard guevariano.

C’è voluto il “Che” (e quattro lunghe ore di film proiettato a Cannes sul “Che”, appunto) per dirla tutta: le foglie di menta nel mojito non vanno triturate, mai. Regola che è stata ribadita sullo schermo (come ci assicura una zelante spia alcolica sulla Croisette) e noi ci fidiamo, essendo il mojito del “Che” sicuramente migliore di quelli che beviamo noi – e d’altronde anche i poliziotti di “Miami Vice” andavano a bere il mojito direttamente alla Bodeguita. Ci rendiamo conto che il bell’attore Benicio del Toro (interprete del “Che” e vincitore della Palma d’oro) è un testimonial più efficace di un’aperitivista mojitista romana, però da oggi ci sentiamo autorizzati a dire ai baristi del romanissimo bar a piazza delle Coppelle (resa famosa dalle proteste anti-schiamazzi di Piero Fassino) che le foglie di menta nei mojitos colà serviti – così ridotte a pezzettini – si allontanano pericolosamente dallo standard guevariano. La nostra spia alcolica sulla Croisette ci informa altresì che ingollare dalla bottiglia gin puro o assenzio taroccato potrebbe farci assomigliare a una triste caricatura di giovane bo-bò (vedere, per credere, Louis Garrel, figlio capelluto del radical chic Philippe, in “La frontière de l’aube”, nelle vesti di un fotografo che frequenta gente allergica alla convenzionale bevuta dal bicchiere). Meglio, allora, imitare Javier Bardèm e le ragazzotte americane di “Vicky, Cristina, Barcelona”, ultima opera di Woody Allen, che si inebriano di vini pregiati serviti in grandi calici (epperò, ohimé, sul desco non v’è traccia di tapas).

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.