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Quando i pacifisti non protestarono per la bara davanti alla sinagoga

Vista l'abitudine assodata alla bugia secondo la quale l'antisemitismo sarebbe un fenomeno degli ultimi tempi, ecco il ricordo di una delle sue (numerose) manifestazioni in tempi più lontani

Vista l’aggressività di un radicalismo islamista il cui relativo declino a casa propria, grazie a Israele, non fa il paio con il declino del suo strategico attacco all’Europa, al contrario. Visto il modo ridicolo ma grottesco in cui le maggiori istituzioni culturali e universitarie italiane ed europee gareggiano nell’espulsione degli ebrei dal mondo accademico. Vista l’imbarazzante continuità con cui personaggi influenti della sinistra coprono sentimenti antiebraici già troppo diffusi. Viste le prossime manifestazioni per lo sciopero del 12 dicembre indetto dalla Cgil, dietro le cui ospitali bandiere sfileranno migliaia di giovani antisemiti coccolati da meno giovani compagni. Visti i grotteschi richiami alla Memoria, richiamata solo allorché la Memoria stessa possa essere presentata nel suo modo più retorico, meno vivo e più scontato. Vista infine l’abitudine ormai assodata alla bugia secondo la quale l’antisemitismo sarebbe un fenomeno degli ultimi tempi,  proviamo allora, per l’ennesima volta, a ricordarne una delle molte manifestazioni in tempi meno recenti.


  Nel 1982, 43 anni fa, comparvero sui muri di via Garfagnana, a Roma, scritte che dicevano: “Bruceremo i covi sionisti”. Negli stessi giorni, un corteo della potentissima Cgil (toh!), che si voleva allora cinghia di trasmissione del Partito comunista italiano, depose una bara sui gradini della sinagoga. 


Una bara. Non si ricorda che il mondo progressista e pacifista italiano di allora, a proposito di album di famiglia, ex ’68 compreso (e me nel mio minimo, pure), abbia protestato granché. Qualche mese dopo, era sempre il 1982, al Fatah, lanciò bombe contro la sinagoga all’uscita dei riti del Sabato e del Bar Mitzvah per i ragazzini. Morì un bambino di due anni, Stefano Gaj Taché, suo fratello di quattro anni, Gadiel Gaj Taché, venne colpito alla testa e all’addome. La bara della Cgil aveva coronato la sua funzione. All’estrema destra, ma poi non troppo estrema, si fecero cenni di assenso. Furono due gli uomini politici la cui solidarietà venne ritenuta sincera, Marco Pannella, radicale sul serio, e Giovanni Spadolini, debordante repubblicano. 


Gli altri stavano ricevendo in Parlamento, e ovunque, e con tutti gli onori, Yasser Arafat, capo dell’Olp e degli attentatori della sinagoga, cioè dell’Hamas allora in formazione, tecnicamente guidata da Abu Nidal. Tra  gli squisiti ospiti, il presidente della Repubblica, il sindaco di Roma e il Papa di allora. Nessuno di essi partecipò ai funerali del piccolo Stefano. Bruno Zevi, ebreo e riconosciuto intellettuale di sinistra, 43 anni fa scrisse e disse dell’antisemitismo ormai diffuso e della fuga dello stato davanti alla protezione degli ebrei, come del modo pomposo e fraterno con cui i preti avevano accolto Arafat, che i media: “Salvo rare eccezioni, hanno distorto fatti e opinioni”, così concludendo: “L’antisemitismo non nasce nel 1948, con la nascita d’Israele, né crediamo all’antisionismo filosemita perché si tratta di una contraddizione in termini”. 43 anni fa. Quando Netanyahu era un perfetto sconosciuto. Sipario e annamo a magna’.

 

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