Leïla Slimani, 36 anni, è nata a Rabat. Nel 2016 ha vinto il premio Goncourt per il suo romanzo “Chanson douce” (foto LaPresse)

Vive le français

Mauro Zanon

Leïla Slimani, un amore letterario di lunga data per Macron. Ora il presidente l’ha nominata sua rappresentante per la francofonia

Parigi. Si dice che Macron le abbia proposto di diventare ministra della Cultura, lo scorso maggio, quando doveva essere composto il primo governo Philippe. E che lei, Leïla Slimani, scrittrice franco-marocchina insignita del premio Goncourt nel 2016 per il suo romanzo “Chanson douce” (Gallimard), abbia cordialmente declinato per mancanza di tempo, ma forse anche per le vertigini che un posto così importante potrebbe dare, assicurando al presidente, cui aveva espresso la sua preferenza nelle urne, che non avrebbe però rifiutato una seconda proposta in futuro. La nuova chiamata dall’Eliseo è arrivata la scorsa settimana, e questa volta la romancière di Rabat ha detto “oui”, accettando di diventare la “rappresentante personale per la francofonia” di Emmanuel Macron. La nomina è stata ufficializzata lunedì, in occasione dell’annuncio del vincitore del Goncourt 2017, Éric Vuillard, ma l’idea di affidarle un ruolo di rilievo circolava già da un bel po’ di tempo nella testa del capo dello stato. Leïla Slimani, 36 anni, è un amore letterario di lunga data per Macron. Il presidente francese l’aveva scoperta, e apprezzata, già ai tempi del suo primo romanzo, “Dans le jardin de l’ogre” (Gallimard), storia di una ninfomane borghese, Adèle Robinson, una “Madame Bovary X”, come scrisse Libération, prigioniera della sua insaziabile libido. Ma è dopo aver letto “Chanson douce” che l’ex candidato di En Marche! decide di contattarla, in piena campagna elettorale. Tra i due emerge subito una forte intesa, e anche Brigitte, sempre molto attenta alle persone che si avvicinano al marito, specialmente a quelle di sesso femminile, rimane sedotta dalla giovane scrittrice. La conferma di questa approvazione, anche letteraria, arriverà qualche mese dopo, quando la première dame, in occasione del dettato annuale organizzato dall’Association européenne contre les leucodystrophies (Ela), associazione che lotta contro le malattie genetiche rare, sceglierà di leggere proprio un suo testo. A giugno, per consacrare la sua entrata ufficiale nella macronia, la coppia presidenziale la invita a far parte della ristrettissima delegazione che accompagna il loro viaggio di stato in Marocco. Da quel momento in poi, l’ascensione della Slimani è inarrestabile.

 

“Secondo la lettera di missione che ha ricevuto dal presidente della Repubblica, rappresenterà la Francia al Consiglio permanente della Francofonia. Sosterrà il prestigio e la promozione della lingua francese e del plurilinguismo, così come i valori che i membri della Francofonia hanno in comune. Rappresenterà una politica francofona aperta, attiva, incentrata su progetti concreti legati alle priorità del presidente della Repubblica, come l’educazione, la cultura, l’uguaglianza tra donne e uomini, l’inserimento professionale e la mobilità dei giovani, la lotta contro lo squilibrio climatico e lo sviluppo del digitale”, si legge nel comunicato ufficiale dell’Eliseo. “Incarna il volto della francofonia aperta su un mondo pluriculturale. Ed è una donna impegnata”, afferma uno stretto consigliere del capo dello stato, prima di aggiungere: “Fa parte di una nuova generazione che il presidente vuole far emergere”. Il compito, insomma, non sarà certo facile per la giovane plume di Rabat. E questo anche perché Macron punta molto sul dossier della francofonia, privo di responsabili dal 2012, anno dell’ultimo governo Fillon, sotto la presidenza Sarkozy.

 

Apprezzata dall'inquilino dell'Eliseo già dal suo primo libro, "Dans le jardin de l'ogre", storia di una ninfomane borghese

La parola d’ordine è “déringardiser la francophonie”, svecchiarla e modernizzarla, ha detto la Slimani a Rtl, “ridarle lustro, freschezza, dinamismo, promuovere la lingua francese e difenderla in tutto il mondo”. E ancora: “Ho l’impressione che la francofonia non sia ben compresa, che sia per molti un concetto molto polveroso. Abbiamo una visione un po’ datata della francofonia, eppure è una realtà molto vivace e dinamica! Basta camminare in giro per il mondo, in Africa per esempio o nel Maghreb, per rendersi conto quanto sia grande l’appetito per la lingua francese”. Quando le viene chiesto perché è stata nominata “rappresentante personale” del presidente, ricorda che anche il ministero degli Esteri, quello della Cultura e dell’Istruzione si occupano della francofonia, e che il suo ruolo sarà quello di “trovare nuove idee e rappresentare la Francia in seno all’Organisation Internationale de la Francophonie (Oif)”. E quando le viene fatto notare che la sua nomina sta già facendo storcere il naso a molti, suscitando invidie e alimentando malelingue che la considerano troppo giovane e troppo inesperta per ricoprire un tale carica, ribatte così: “La legittimità è qualcosa che si deve dimostrare. Non farò le cose da sola. Cercherò di mobilitare più persone e energie possibili. Invito tutte le persone che vogliono difendere la francofonia a mobilitarsi al mio fianco e accanto a Emmanuel Macron. Cercherò di essere efficace”.

 

La scelta della Slimani certifica la predilezione del neopresidente francese verso le personalità riconosciute nel loro campo, per portare avanti missioni specifiche in nome della presidenza della Repubblica. “E’ una scelta emblematica della macronia, in cui l’expertise ha la meglio sull’esperienza politica e diplomatica”, scrive il Parisien. Come l’autrice di “Chanson douce”, anche Stéphane Bern, celebre volto televisivo e ideatore della trasmissione cult di France 2 “Sécrets d’histoire”, è stato selezionato dall’inquilino dell’Eliseo per condurre una missione di interesse nazionale: identificare i monumenti che a livello locale necessitano di un restauro urgente e cercare delle fonti di finanziamento per salvare questo patrimonio in pericolo. Ora, nonostante le numerose critiche ricevute da parte di molti storici, che hanno messo in discussione le sue competenze, è per tutti “Monsieur Patrimoine”. “Le critiche mi stimolano”, ha detto Bern al Parisien, rispedendo ai mittenti le accuse di aver ottenuto una poltrona, perché è una “missione temporanea”, sottolinea, che non comporta nessuno stipendio.

 

"La prima volta che mi sono sentita libera? Il giorno in cui ho imparato a leggere". Il sapere come via di emancipazione femminile

Anche “Madame Francophonie”, come ormai la chiamano tutti a Parigi, porterà avanti la sua missione “bénévolement”, gratuitamente. Promuovere la lingua di Molière e la diversità culturale, lei che della “diversité” è il volto più emblematico – madre metà francese (alsaziana) metà algerina, padre marocchino – saranno le sue priorità. Ma è sul dossier dell’égalité femmes-hommes che Leïla Slimani è molto attesa. Lo scorso 6 settembre è uscita la sua ultima opera, “Sexe et mensonges. La vie sexuelle au Maroc” (Les Arènes): una raccolta di testimonianze sconvolgenti, dove ragazze anonime, giornaliste, professoresse e ricercatrici raccontano la loro frustrazione quotidiana, in una società che reprime penalmente i rapporti sessuali extraconiugali. In un Marocco che sacralizza la verginità, ma è al quinto posto mondiale per acquisto di film pornografici, la Slimani, femminista di confessione musulmana, racconta senza tabù la miseria sessuale del suo paese. “Ciò che volevo, era liberare il racconto crudo, queste parole vibranti e intense, queste storie che mi hanno sconvolto, emozionato, fatto arrabbiare e spesso inorridito”, dice la Slimani. Ha dato voce a Malika, Nour, Faty, Jamila, donne del popolo ma anche dell’alta borghesia marocchina, ognuna delle quali è testimone della grande ipocrisia che regna in Marocco, che rende complesse le relazioni tra uomini e donne, e genera spirali di frustrazione, sofferenza e violenza. “Sexe et mensonges” è un libro anzitutto politico. “Una donna il cui corpo è sottomesso a un tale controllo sociale non può gioire pienamente del suo ruolo di cittadina. ‘Sessualizzata’, esortata al silenzio e all’espiazione, la donna è negata in quanto individuo”, analizza la Slimani, dinanzi ai numeri drammatici degli aborti clandestini, seicento ogni giorno, degli stupri e degli incesti del suo paese d’origine. Il messaggio del libro, nonostante la crudezza delle testimonianze, vuole essere ottimista: “Queste donne, sono, lo spero, il futuro del mio paese. Attendono soltanto di intravedere la speranza di vivere la loro vita”.

 

Suo compito sarà promuovere la lingua di Molière e la diversità culturale, lei che della "diversité" è il volto più emblematico

A Parigi, per “Sexe et mensonges”, non ha soltanto conquistato i cuori e le menti di moltissime maghrebine come lei, espatriate in Francia per fuggire all’oppressione islamica che la donna subisce in Marocco, ma è stata anche presa di mira dagli islamisti locali e dal Parti des Indigènes de la République (Pir) di Houria Bouteldja. Quest’ultima, autodefinitasi “militante antirazzista contro l’islamofobia e il neocolonialismo della Francia”, ha bollato la Slimani come una “native informant”. Una nozione che gli studi postcoloniali hanno forgiato per designare una donna di colore che, per compensare il suo complesso di inferiorità verso i bianchi, li imita, cercando di piacere e di essere riconosciuta da loro. “Agli occhi dell’egeria del Pir, Leïla Slimani sarebbe una ‘native informant’, perché ha fatto della miseria sessuale e del posto della donna nello spazio pubblico in Marocco il tema centrale della sua opera. Leïla Slimani fornisce dunque ai bianchi quello che vogliono: delle critiche agli arabi del Marocco. Peccato che non sia sua intenzione farsi portavoce di qualcuno (…) E’ marocchina. E’ una giornalista e sa condurre un’inchiesta. Ma siccome non trasmette il buon messaggio, non è legittima. Non ha il diritto di parola”, ha scritto sul Figaro la militante laica Fatiha Boudjahlat, cofondatrice del movimento “Viv(r)e la République”. La lista di queste donne, femministe, di origini arabe e di confessione musulmana, che lottano contro le derive dell’islam, è lunga. Si chiamano Jeannette Bougrab, Lydia Guirous, Djemila Benhabib, Sonia Mabrouk, Zineb El Rhazoui, e come la Slimani, sono liquidate, in Francia, come “collabeurettes”: collaborazioniste delle élite occidentali, ma “beurette”, cioè discendenti da genitori maghrebini emigrati o nati in Francia. Difficile accettare queste accuse, ma anche restare in silenzio dinanzi a quelle banlieue dove sempre più ragazze si mettono il velo, anche quello integrale.

 

In libreria la sua ultima opera, "Sexe et mensonges. La vie sexuelle au Maroc", raccolta di testimonianze sconvolgenti

Su Le360.ma, sito marocchino di opinioni liberali, la Slimani ha preso regolarmente in mano la sua plume per esprimere la sua posizione a favore dell’interdizione del burqa, “uno strumento d’oppressione, un’atroce negazione della donna, un insulto a metà dell’umanità”. Una battaglia che aveva iniziato a combattere già sulle pagine del settimanale Express, dove ha esordito sotto la protezione dell’allora direttore, Christophe Barbier, prima di passare alla rivista Jeune Afrique. Dopo le classi preparatorie letterarie al Lycée Fenelon di Parigi, e il diploma a Sciences Po, fa anche un provino cinematografico. Ma si rende conto rapidamente che la settima arte non è fatta per lei, e che il suo mondo è la letteratura.

 

“La prima volta che mi sono sentita libera? Il giorno in cui ho imparato a leggere”, dice. Cresciuta in una famiglia agiata della capitale marocchina, con una madre dottoressa e un padre banchiere, Leïla, che in arabo significa “notte”, ha imparato fin da piccola che il suo corpo le apparteneva, mentre oltre le mura di casa la società proibiva questa visione. E nella “bolla protetta”, così la definisce, della sua vita borghese, dove si parlava francese e i suoi genitori le hanno insegnato “l’amore per la letteratura e per la libertà”, ha potuto leggere tutti i libri che voleva. “Una fortuna inaudita per una ragazza marocchina”, sottolinea, mentre la maggior parte delle sue coetanee erano obbligate a leggere clandestinamente, o, come una delle adolescenti intervistate nel suo ultimo libro, a educarsi sessualmente attraverso dei libri presi in prestito in biblioteca sotto l’occhio vigile del padre. Militante della causa femminista e contro il fanatismo religioso fin da quando frequentava il liceo francese di Rabat, Leïla Slimani è convinta che la lettura, dunque l’accesso al sapere, sia il principale segreto dell’emancipazione delle donne. E da rappresentante della francofonia del presidente Macron avrà sicuramente la forza politica e diplomatica per condividerlo con il maggior numero di persone possibile.

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