Virginia Raggi (foto LaPresse)

Atac Capitale

Redazione

Con 1,3 miliardi di debiti è la vera struttura che ha messo le mani sulla città

È un’organizzazione che domina la città, la struttura che sopravvive intatta alle amministrazioni di ogni colore e guida le decisioni politiche del Campidoglio, il sistema di relazioni trasversali nel cuore di Roma, il mondo di mezzo in cui partiti e sindacati si scambiano favori, la macchina del voto di scambio e del consenso elettorale, l’idrovora che ha prosciugato il bilancio della Capitale. No, non è Mafia Capitale. È l’Atac. Al di là dei gravi risvolti penali dell’inchiesta sull’organizzazione criminale (che mafia non è), culminati con condanne complessive in primo grado per oltre 250 anni di carcere, è evidente che il peso specifico dell’Atac sui problemi della città sia molto più rilevante. D’altronde gli interessi di Buzzi e Carminati giravano attorno alla raccolta delle foglie e a un campo rom. Mettendo assieme gli appalti si arriva a un giro d’affari di 100 milioni in 10 anni, con un valore di corruzione contestato di circa 500 mila euro. L’Atac, per il pessimo servizio che offre, solo nel 2015 ha prodotto perdite per 80 milioni. Ed è l’anno in cui è andata meglio, perché in dieci anni ha accumulato oltre 1 miliardo e 300 milioni di debiti. Nessuno riesce a metterci mano, perché con i suoi oltre 11 mila dipendenti ipersindacalizzati è una struttura sclerotizzata e politicamente intoccabile. E anche la giunta di Virginia Raggi ha capito al volo come funziona il “sistema Atac”. Il nuovo direttore generale dell’Atac Bruno Rota ha detto che l’azienda è ormai fallita e che i consiglieri M5s lo tampinano con segnalazioni di aziende da incontrare e nomi da promuovere. Siccome i problemi non si risolvono solo per via giudiziaria, c’è un’alternativa: il referendum per liberalizzare i trasporti e liberare Roma dall’Atac. Ma prima bisogna firmare ai banchetti dei Radicali.