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Il Papa e quei cedimenti populisti sul lavoro

Giuliano Cazzola

Davanti alla Cisl, Francesco ha esaltato troppi punti cari alla subcultura nemica dei lavoratori

Al direttore - “Non c’è più religione’’, avranno pensato i dirigenti e i delegati al XVIII Congresso della Cisl. Nelle tesi avevano scritto che il populismo è un nemico dei lavoratori. Poi si sono recati in udienza dal Santo Padre poche ore prima dell’apertura dei lavori e hanno inteso, nelle parole del Papa, alcuni dei principali argomenti che contraddistinguono quella (sub)cultura. A parte la sottolineatura dell’importanza dell’ozio e la giusta condanna del lavoro minorile, vi sono nel discorso del Pontefice alcuni passaggi discutibili. “E quando non sempre e non a tutti – ha sentenziato Francesco – è riconosciuto il diritto a una giusta pensione – giusta perché né troppo povera né troppo ricca: le “pensioni d’oro” sono un’offesa al lavoro non meno grave delle pensioni troppo povere, perché fanno sì che le diseguaglianze del tempo del lavoro diventino perenni’’. Se è così, come la mettiamo con la parabola dei talenti? Il padrone, prima di partire per un viaggio, distribuisce – in misura diversa tra i suoi servi – dei talenti. Quando ritorna, chiede conto della loro gestione; loda e premia i due che hanno raddoppiato il capitale (pur avendo ottenuto molte più monete del terzo), mentre punisce e scaccia (al buio, al freddo e allo stridore di denti) il servo che aveva nascosto il suo talento. Non è un caso che il nome della moneta sia divenuto anche la descrizione del profilo e delle qualità di una persona. Il talento è un dono di Dio, chi lo possiede ha il dovere di avvalersene, di raddoppiare il capitale. Oppure, dobbiamo pensare che al momento della pensione entrino in ballo altre regole del gioco: una sorta di giustizia redistributiva grazie alla quale non viene concesso secondo i meriti, ma secondo i bisogni? Certo. Ci sarebbe molto da dire sul percorso compiuto dal sistema pensionistico da quando, nel fatidico 1969, fu varata una riforma impostata su di un principio che poi si è rivelato insostenibile e sicuramente discutibile: assicurare al pensionato un reddito equipollente a quanto aveva raggiunto in vita, alla fine della carriera lavorativa. Di qui a parlare di “offesa’’ ce ne corre; come a ritenere esenti da qualunque responsabilità coloro che, durante la vita attiva, non sono stati capaci di implementare i talenti che avevano ricevuto in custodia. Il libero arbitrio dell’essere umano si misura anche su questi aspetti. O no? Guai allora a voler semplificare, con un’inesauribile riserva di buonismo, problemi complessi e indicare, dal Soglio di Dio, soluzioni che spettano a Cesare. 

 

Poi il Papa ha parlato di giovani, anziani e occupazione: “E’ allora urgente un nuovo patto sociale umano, un nuovo patto sociale per il lavoro, che riduca le ore di lavoro di chi è nell’ultima stagione lavorativa, per creare lavoro per i giovani che hanno il diritto-dovere di lavorare. Il dono del lavoro è il primo dono dei padri e delle madri ai figli e alle figlie, è il primo patrimonio di una società. E’ la prima dote con cui li aiutiamo a spiccare il loro volo libero della vita adulta’’. Così Francesco. Ma lo sa il Papa che in Italia sono state tentate più volte operazioni come quelle da lui proposte? La ultima prevedeva una forma di part-time agevolato sia a livello contributivo che retributivo; ma è stata utilizzata da meno di 300 lavoratori. Arriverà una scomunica anche agli anziani che pretendono di continuare a lavorare? Francesco ha detto delle parole importanti sul lavoro, la sua dignità, la sua “funzione terapeutica’’ e i suoi diritti: perché allora non aggiungere che tutti i lavori sono decenti e che rifiutare un’occupazione – succede molto spesso ai nostri giovani – è un’offesa a coloro che (di solito i lavoratori stranieri tanti cari al Papa) quelle mansioni accettano di svolgere ? “E’ una società stolta e miope – insiste il Papa - quella che costringe gli anziani a lavorare troppo a lungo e obbliga una intera generazione di giovani a non lavorare quando dovrebbero farlo per loro e per tutti’’. Anche questo è un luogo comune perché in Italia – nonostante la riforma Fornero – la maggioranza dei pensionati (soprattutto se maschi) conserva ancora la possibilità effettiva di ritirarsi poco più che sessantenni. E che dire delle attese di vita meglio di quanto non si trova in una pubblicazione della Cei sul cambiamento demografico? “La popolazione degli ultrassessantacinquenni (i nonni) supera già adesso di oltre mezzo milione quella con meno di vent’anni (i nipoti), ma nel 2030 potrebbe superarla di ben sei milioni’’. Il lavoro degli anziani non è solo richiesta ai fini di un minore squilibrio dei conti previdenziali, ma rappresenta una necessità del mercato, anche perché, come scrive ancora la Cei “un sistema di aspettative e di valori legati al lavoro non regge più e va rivisto alla luce della più cruda realtà odierna’’.

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